Alberto Moravia e Villa Giorgina

Nel 1925, a diciotto anni, Alberto Moravia comincia a scrivere “Gli indifferenti” un romanzo che sembra un’opera teatrale, ambientata in una villa, in salotto, in sala da pranzo, in camera da letto. La villa che il giovane scrittore ha in mente quando scrive il romanzo era vicino casa sua. E’ la villa che lo scrittore ha di fronte a casa durante l’infanzia segnata dalla tubercolosi ossea secca (“il fatto piu’ importante della mia vita”, ha detto) che lo costringe a letto per cinque anni, dei qual i primi tre trascorsi in casa. Si chiamava Villa Levi, oggi si chiama Villa Giorgina, e ha l’entrata in via Po 27.

 

La casa di Moravia era un villino in via Gaetano Donizetti. “Davanti a casa nostra c’erano campi di grano, la gente ci veniva a fare l’amore”. In più occasioni lo scrittore racconta l’episodio della madre che prende una carrozza a piazza Barberini, chiede di essere portata in via Giovanni Paisiello e si sente dire dal vetturino: “E che, abiti alla foresta nera, signo’?”. Da casa sua, bastava attraversare la strada per trovasi sotto il muro di villa Levi (l’attuale edificio basso chiaro della discoteca Histeria su via Ruggero Giovannelli, oggi pizzeria Gaudì, non era stato ancora costruito). Ed è proprio lì dentro che lo scrittore immagina di chiudere i personaggi del suo romanzo.

In perfetto accordo con la struttura del romanzo, un teatro che si fa in salotto, in sala da pranzo, in camera da letto, nel film di Maselli del 1964 gli esterni si contano sulla punta delle dita. Cene interminabili in puro stile Festen (n.d.r. Festen – Festa in famiglia è un film del 1998 scritto e diretto da Thomas Vinterberg, vincitore del premio della giuria al 51º Festival di Cannes). Tanto che Maselli riesce ad essere fedele al romanzo anche girando il film ad Ascoli Piceno. Quello che conta è lo spazio che sta al di la’ del muro, superata la macchia nera del cancello, i due pilastri bianchi, il fogliame scuro di un grande albero curvo sotto la pioggia, la ghiaia fradicia, le pozzanghere del parco, il vestibolo buio, il corridoio immerso nell’oscurità, la scala, l’anticamera… L’esterno è ostile, un’area perturbata dove l’animo si perde. Il paesaggio urbano è assente dagli Indifferenti, se non sotto forma di “panorama della vita”. Moravia punta alla psicologia della città e arriva a rappresentare Roma senza mai descriverla.

Viene quasi da pensare che Gli indifferenti sono uno di quei romanzi, e poi di quei film, che se li porti all’aperto rischiano qualcosa. La luce, l’aria, la polvere… quest’ultima è l’elemento più temibile. Non in senso figurato (la polvere del tempo) bensì per quella capacità che ha il pulviscolo di insinuarsi negli appartamenti e depositarsi in un lieve strato sopra ogni cosa facendola sembrare chissà sporca o morta, o contagiata da un di fuori dove regna la confusione plebea. Uno dei capisaldi della vita borghese, si sa, è quello di tenere lontana la polvere dalle proprie stanze. La tradizionale copertura dei mobili con i teli prima della villeggiatura ne era un simbolo evidente.

In una conversazione con Dacia Maraini a proposito dei luoghi della sua infanzia Moravia parla del giardino della prima casa in via Giovanni Sgambati, dove ha abitato fino agli otto anni, una palazzina di quattro piani, all’angolo con via Pinciana, affacciata su villa Borghese “un tipico giardino da quartiere di villini, con fontanelle, aiuole, vialetti ghiaiati. L’aveva fatto mio padre riempiendolo perfino di troppe piante e di alberi… C’era un berceau ricoperto di roselline bianche molto piccole dal profumo acuto e polveroso”. “Come polveroso? Erano coperte di polvere? Polvere di strada?” chiede divertita Dacia. “Non so da dove venisse la polvere. Allora la polvere era dappertutto. Non e’ che fossero ricoperte di polvere, ne erano velate. Il vento portava la polvere dalla campagna…” .

Il padre di Alberto Moravia è l’ingegnere e architetto Carlo Pincherle, a cui si devono alcuni villini in via Piemonte, via Pinciana, via dei Gracchi. Anche il villino in via Sicilia 136, che è stata la sede della casa editrice Mondadori, e quindi della rivista «Nuovi Argomenti» (fondata da Alberto Moravia e Alberto Carocci nel 1953) è un suo progetto, come anche sua è la palazzina in via Po 12, sede dell’«Espresso» (per il quale Moravia fece il critico cinematografico).

A villa Giorgina viveva quella che diventerà la moglie di Renato Guttuso, Mimise Dotti. Guttuso è stato amico di Moravia e ne ha dipinto uno dei migliori ritratti.

Il villino dove abitava la famiglia Moravia in via Gaetano Donizetti fu demolito, al suo posto c’è una palazzina costruita dall’impresa Garboli. La casa di via Giovanni Sgambati è diventata l’Albergo Villa Borghese.

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