C’era una volta lo zoo, di Marco Lodoli

Un breve racconto tratto da Isole. Guida vagabonda di Roma di Marco Lodoli che parla del Giardino Zoologico di Roma (per i romani Zoo), oggi Bioparco.

“C’era una volta lo zoo di Roma: adesso c’è il bioparco. Oltre al nome sono cambiate altre cose, la sistemazione degli orsi bruni, ad esempio, che adesso vivono in un ambiente ampio e ospitale, con tanto di cascatelle e prati verdi; oppure la vita di alcuni buffi pennuti, tipo il pavone, che passeggiano come signore per il parco e a volte si spingono persino fuori, verso i prati di Villa Borghese. Ma c’è ancora tanta pena in quelle gabbie strette e feroci, fa male al cuore vedere i gorilla e le pantere imprigionati tra le sbarre, mille miglia lontani dagli spazi aperti dell’ Africa.

Per non incrociare i loro sguardi spenti e rassegnati, per non sentirmi responsabile della loro atroce malinconia e di quelle grida disperate, giro vigliaccamente subito a destra e punto il Rettilario, un edificio circolare e silenzioso come un bunker. Li dentro si conserva il nostro passato più remoto, li abitano i nostri trisavoli scagliosi e sibilanti, ex padroni del mondo. Stanno rinchiusi e immobili in sofisticate teche di vetro, e a volte sembra davvero di osservare cinture di serpente e strane borsette pitonate immerse in un habitat inventato da qualche fantasioso vetrinista di via Condotti. C’è sabbia distesa con cura, ci sono stecchi rinsecchiti e minuscoli cerchi d’acqua, e in un angolo quelle forme primitive, raggomitolate, mostruose, che hanno nomi incontrati solo nelle favole: lo scinco d’Algeri, il drago barbuto, l’eloderma sospetto, l’ululone, il matamata e la rana pomodoro.

E poi, d’improvviso, qualcosa si muove, imprevedibile come un pensiero sommerso, quasi dimenticato: una testolina guizza, due spire s’allentano, una coda freme, e dalla schiena ci sale nella nuca un brivido che non è solo raccapriccio. In quegli occhietti minerali di colpo cogliamo una luce fredda che illumina il buio più profondo, e per quanto ci paia assurdo sentiamo che quegli spaventosi scherzi della natura sono una parte di noi che soffre e non capisce perché. Quella parte rimane oltre il cristallo e sembra ci guardi e c’invidi: tu che puoi andare via, camminare, amare, non ti dimenticare di me che resto qui, sepolto in queste squame, giù nelle fondamenta della vita.”

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