Villa Riccio. Approfondimento

Il complesso della Cooperativa di Villa Riccio è realizzato per una cooperativa di postelegrafonici nel 1919 su progetto di E. Negri insieme ad altri tecnici incaricati dal Ministro dell’Economia e delle Ferrovie pro tempore, ing. Vincenzo Riccio.

Il progetto del complesso è caratterizzato, in un primo tempo, da diverse palazzine di tre piani, con grande cura per i dettagli e con ampi spazi verdi interni (piazzette, cortili e giardini) che avrebbero dovuto fungere da punto di ritrovo per i residenti. Le prime palazzine dovevano essere circondate da terreni adibiti a orti, la Grande Guerra è terminata da poco, senza disdegnare una particolare cura nella scelta di piante pregiate da inserire nei giardini. Il progetto originario inoltre prevede in modo lungimirante la costruzione di box sotto ogni immobile e di un balcone per ogni appartamento.

Già  nella fase preliminare dei lavori però devono essere adottate delle modifiche. Intanto per la scoperta di una falda acquifera piuttosto superficiale porta ad annullare quei box (garage). Inoltre, l’esigenza di assicurare una degna sistemazione a un consistente numero di famiglie induce i progettisti ad aumentare il rapporto tra le superfici edificate e quelle messe a verde, realizzando lungo il contorno del lotto palazzi di sei piani al posto delle palazzine a tre piani. Qualche altra economia scaturisce pure dall’eliminazione della quasi totalità  dei balconi.

Nonostante questo, tutti gli edifici sono dotati di sottostanti cantine e locale lavatoio contumaciale (cioè a distanza). La Grande Guerra è ancora troppo vicina perché la mente non andasse a quei lavatoi , dove venivano lavati e bolliti i panni e le bende dei soldati feriti e dei portatori di malattie infettive. E quegli orti, originariamente previsti attorno ad alcune palazzine ma inizialmente non realizzati, fanno la loro temporanea apparizione ad opera di alcuni residenti durante la seconda guerra mondiale per sopperire alla scarsità  di cibo.

Oggi la ormai ex Cooperativa Riccio (oggi Condominio) è strutturata su otto palazzi a sei piani e sedici palazzine a tre piani, all’interno del complesso e su lungotevere Flaminio, contrassegnati con numeri romani da I a XXV (la scaramanzia infatti consiglio l’esclusione del XVII).

La posa della prima pietra, presso quello che sarebbe dovuto essere il monumento dell’alza bandiera, avvenne il 19 ottobre del 1919, in una mattina fredda e cielo velato. I centocinquanta invitati arrivano con carrozze, auto e camionette. Una volta scesi in corrispondenza dell’attuale ingresso grande di viale del Vignola, proseguono a piedi per qualche decina di metri su un tavolato provvisorio che copriva le strette rotaie della ferrovia a scartamento ridotto realizzata per lo spostamento dei materiali nel cantiere, fino a raggiungere il luogo designato per la cerimonia: l’attuale slargo dell’alza bandiera, al centro del futuro agglomerato. Là è stato predisposto un palco sorretto con travi di legno e sormontato da un grande drappo rosso amaranto bordato d’oro, a significare i colori comunali di Roma.

L’on.le Vincenzo Riccio, che dopo qualche mese sarebbe diventato Ministro dei Lavori Pubblici, con un breve discorso, racconta della nascita della nuova Cooperativa (che allora non si chiamava Villa Riccio) e porta il saluto del Governo alle maestranze e ai convitati. Dopo essere sceso dal palco, prende una spatola, ci passa una mano di malta e, tra gli applausi, pone il primo mattone del complesso.

La madrina dell”evento, Leda Gys, una delle più famose attrici dell’epoca, allora allieva e amante del poeta Trilussa recita un sonetto del grande poeta dialettale dal titolo La Politica: Ner modo de pensà  c’è un gran divario: mi’ padre è democratico cristiano, e, siccome è impiegato ar Vaticano, tutte le sere recita er rosario; de tre fratelli, Giggi ch’er più anziano è socialista rivoluzzionario; io invece so’ monarchico, ar contrario de Ludovico ch’è repubbricano. Prima de cena liticamo spesso pe’ via de ‘sti principi benedetti: chi và qua, chi và là … Pare un congresso! Famo l’ira de Dio! Ma appena mamma ce dice che so’ cotti li spaghetti semo tutti d’accordo ner programma.

Alla procace attrice è offerto un mazzo di rose rosse e gli invitati si avviano verso un lungo bancone apparecchiato con pane casareccio, salame, lonza, olive, bino bianco e altre semplici leccornie. Non ci dimentichiamo infatti che allora lì siamo praticamente in campagna.

Ma la gente fa appena in tempo ad affollarsi intorno al tavolo e prendere le prime cose che comincia a piovere. Non essendoci riparo alcuno nel cantiere, non c’è scelta: tutti i convenuti escono su viale del Vignola per tornare a casa, non senza prima inzupparsi di pioggia e imbrattarsi completamente con il fango del cantiere. Ma nessuno si preoccupa, erano altri tempi!

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