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“Quando a piazza Ungheria arrivarono i carri armati” di Corrado Iannucci

Il 10 giugno 1940, l’entrata in guerra trovò il quartiere intorno a piazza Ungheria già in parte costruito, con palazzi, palazzine e villini spesso firmati da architetti importanti. Tuttavia questa parte della città era ancora vista come un qualcosa non ancora del tutto integrata con il resto dell’abitato dentro le mura.  Continue reading

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Centro Archivi del MAXXI

Questa pagina è dedicata alla sezione del MAXXI che gestisce le collezioni di architettura e fornisce nella Sala Studio la possibilità di consultare direttamente i documenti e i data-base relativi alle collezioni del Novecento e del XXI secolo. Continue reading

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“Quando per curarsi si andava al mattatoio” di Bruno Caracciolo

I medici, si sa, sono sempre stati creativi nell’ideare terapie sempre nuove da somministrare ai loro pazienti.  Purtroppo, prima che si affermasse la medicina basata sulle prove di efficacia, un’infinità di cure inutili, quando non dannose, sono state diffusamente praticate nel corso del tempo.  A noi nati negli anni ‘50 è stata risparmiata da bambini la somministrazione quotidiana del disgustoso olio di fegato di merluzzo che aveva afflitto le generazioni precedenti.  Non ci sono state risparmiate, però, cure “ricostituenti” che hanno “ricostituito” soprattutto i bilanci delle aziende farmaceutiche che le producevano.
Con le conoscenze attuali sembra impossibile che non più di un secolo fa venissero somministrati sciroppi a base di oppio ai lattanti per lenire i dolori della dentizione o che si facesse largo uso di sostanze radioattive per le patologie più disparate.  Chissà se i titolari di un’erboristeria attualmente in esercizio a via di Torre Argentina sanno che negli stessi locali cento anni fa era possibile comprare le sanguisughe che venivano applicate per “cavare il sangue in eccesso”.
I medici erano tanto ansiosi di trovare nuove cure che non esitarono, ad esempio, a proporre terapie coi raggi N.  Dei fisici francesi ritennero di averli individuati nel 1903 sull’onda dell’entusiasmo derivante dalla recente scoperta dei raggi X.  L’anno successivo il fisico Wood dimostrò che si era trattato di un abbaglio: i raggi N non esistevano, ma nel frattempo alcuni medici ne avevano vantato le proprietà terapeutiche in numerosi articoli pubblicati su riviste scientifiche.

Il mattatoio del Popolo

Nel 1824 papa Leone XII decise, per motivi di igiene, di porre fine alla macellazione degli animali all’interno della città presso i singoli macellai e di far realizzare un moderno stabilimento situato appena al di fuori di Porta del Popolo, in un’area tra le Mura Aureliane e il Tevere, approssimativamente corrispondente all’area tra le attuali via Luisa di Savoia e l’asse via della Penna e via dell’Oca.  Il mattatoio venne inaugurato l’anno successivo, l’area si prestava bene perché era in prossimità del mercato del bestiame, era vicina al Tevere (dove si potevano gettare i resti della macellazione) ed era fornita di acqua dall’acquedotto Vergine, che passa lì vicino e, all’epoca, alimentava tutte le fontane della zona.  Il Belli, reazionario e contrario a tutte le innovazioni, non gradì e scrisse un sonetto per lamentarsi di non poter più godere, a causa della realizzazione “dell’ammazzatore”, della vista delle mandrie che entravano a Roma e, soprattutto, dello spettacolo comico del fuggi fuggi generale quando una bestia imbizzarrita scappava per le vie del Tridente di piazza del Popolo.

Le cure

A partire dal 1829 all’interno del mattatoio si cominciarono a praticare due nuove terapie portate da Mentone a Roma dal dott. Giacinto Grana e che oggi troveremmo raccapriccianti: i bagni zootermici e la bevanda di sangue.

La zootermia era una pratica terapeutica destinata a diverse patologie e consisteva nell’immergere la parte malata nelle cavità viscerali dei bovini appena macellati, o più di frequente, nel loro contenuto travasato in delle vasche.  Nei primi tempi la terapia veniva praticata direttamente all’interno del mattatoio, ma per ovviare agli inconvenienti dovuti alla mancanza di riservatezza e alla convivenza con un ambiente sgradevole e pericoloso, nel 1860 venne realizzato dall’architetto Gioacchino Ersoch un edificio apposito che prese il nome di “fabbrica ad uso di bagni calorico-animali”.
In ciascuno, dei primi due piani vi era un “bagno” per gli uomini e uno per le donne; al primo piano si prestavano cure gratuite, mentre al secondo i trattamenti erano a pagamento, 50 centesimi per mastello di contenuto gastrointestinale.  Il terzo piano ospitava l’abitazione del custode.  I locali a pagamento erano arredati con certo lusso e dotati di tutte le comodità necessarie.  Si usavano grandi vasche di zinco o di latta per l’immersione totale, vasche per semicupio e vaschette più piccole per il trattamento ai singoli arti.  Dopo l’immersione, la vasca era chiusa con un coperchio di zinco e avvolta da una coperta di lana per mantenere il calore.  Per accedere ai bagni era necessaria una prescrizione medica.  Le indicazioni terapeutiche erano le più varie: problemi reumatici, cutanei come la scrofola (linfadenite tubercolare), ma anche dolori di capo, amenorrea, malattie veneree e gotta.
Per la cura si consigliava l’ora di pranzo e lo stomaco vuoto, di preferenza d’estate.  La seduta durava mezz’ora o tre quarti e, al termine, gli inservienti pulivano, prima con una spugna e poi con un asciugamano, le parti del corpo del paziente che erano state immerse, escludendo un lavaggio con acqua calda, perché questo avrebbe ostacolato “la continuazione dopo il bagno dell’assorbimento delle materie rimaste sulla cute, tanto più che il leggiero puzzo superstite è tollerabile ed appena avvertito dall’infermo”.

A partire dal 1876, presso il mattatoio venne introdotta un’altra terapia destinata ai soggetti anemici per varie cause o indeboliti da malattie come la tubercolosi o le febbri malariche (all’epoca diffuse nelle campagne fino alle porte della città).  La cura, detta “bevanda di sangue” o “bibite di sangue”, consisteva nel far bere al paziente sangue proveniente dalle bestie appena macellate (ritenute idonee da un veterinario).
Il sangue era somministrato in bicchieri colorati per mascherarne il colore.  La dose iniziale, per vincere la ripugnanza, era di 100 grammi, per poi arrivare alla dose piena di 500 grammi.  Per facilitare l’assunzione, in alcuni casi al sangue venivano mescolati del latte o dei tuorli d’uovo.  La cura durava, in genere, 60 giorni con risultati positivi in circa la metà dei casi trattati.

Nel 1888 venne inaugurato il nuovo mattatoio a Testaccio progettato dall’architetto Gioacchino Ersoch e, insieme alla macellazione degli animali, vennero trasferite, in locali appositamente destinati, anche le attività terapeutiche dei bagni zoo-termici e di bevande di sangue.

Nella fotografia, ripresa nel 1890 dal pallone di Louis Godard, è possibile vedere in primo piano il mattatoio fuori Porta del Popolo e, inoltre, si riconoscono: i muraglioni del Tevere e il ponte Regina Margherita in costruzione, la Passerella di Ripetta, che sarà sostituita dal Ponte Cavour, e la cupola dell’Augusteo.

Bruno Caracciolo

Fonte: Cesare D’Onofrio, “Il Tevere e Roma”, Bozzi editore, tramite www.romasparita.eu

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