Case dei Bambini di Paola Trabalzini

Nel quartiere di San Lorenzo in via dei Marsi, c’è la prima  Casa dei Bambini fondata da Maria Montessori.

“Quando sono venuta la prima volta per le vie di questo quartiere […] ho avuto l’impressione di trovarmi in una città dove fosse avvenuto un gran disastro. […] Mi sembrò che un lutto recente gravasse sulla popolazione che si aggirava per le strade muta, con aspetto stupito e quasi spaventato. L’alto silenzio sembrava che significasse la vita collettiva interrotta, spezzata: non una carrozza, nemmeno il vocio lieto, popolare dei venditori ambulanti, non il suono di un organetto girovago in cerca del soldo. […]

Osservando le vie coi loro avvallamenti, e i sassi sporgenti dal sottosuolo, si poteva supporre che quel disastro fosse stato una grande inondazione che avesse trasportato via tutta la terra; ma osservando le case tutte smantellate negli androni, coi muri scoperti o mancanti qua e là di mattoni, veniva fatto di pensare se fosse stato un terremoto il disastro che aveva afflitto quel quartiere” (da M. Montessori, Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini. Edizione critica, Roma, Edizioni Opera Nazionale Montessori, 2000, p.143).

Questa l’impressione che il quartiere di San Lorenzo destava in Maria Montessori che lo visita all’inizio del secolo scorso. Un quartiere abitato prevalentemente da artigiani, disoccupati, emarginati, operai, casalinghe, donne di servizio, mendicanti, per molti dei quali la quotidianità significava vivere sulla soglia della criminalità.

Nel 1884 è già stata edificata una prima parte del quartiere costituito da case a ringhiera che si affacciano su strade sconnesse, privi di rete fognaria, di acqua, con servizi igienici rudimentali; gli appartamenti sono semplici ricoveri per una forza lavoro sottopagata e spesso disoccupata e in queste precarie condizioni igienico-sanitarie e sociali, nel 1886 scoppia nel quartiere un’epidemia di colera. (da M. Sanfilippo, Il quartiere di San Lorenzo: lo sviluppo urbanistico dalle origini al primo dopoguerra, in Il bombardamento di San Lorenzo 19 luglio 1943, Roma, Stilgrafica, 2003, p.45).

La crisi edilizia che investe Roma tra il 1884 e il 1888, inoltre, coinvolge anche San Lorenzo. Il sistema di prestiti bancari e cambiali incomincia a vacillare, le banche a falliscono e non finanziano più i costruttori, la costruzione di molti edifici non viene completata. A San Lorenzo questi edifici sono occupati d povera gente che ha bisogno di un luogo dove vivere. Essendo gli appartamenti composti di quattro o cinque stanze, diventa usuale la pratica del subaffitto. Entrando “in uno di questi appartamenti – scrive Montessori – ciò che colpisce è il buio, che non fa distinguere in pieno mezzogiorno un particolare della stanza. […] Qui pei fanciulli che nascono bisogna mutare la frase consueta: essi non vengono alla luce, vengono alle tenebre, e crescono tra le tenebre e i veleni dell’agglomerato urbano. Necessariamente sudici, perché l’acqua disponibile in un appartamento povero di varie stanze, dovrebbe servire, appena sufficiente, a tre quattro persone; e distribuita tra venti o trenta basta appena per bere! […] Nessun negozio, nessun consumo, fuorché osterie luride, aprenti numerose le loro bocche fetide ai passanti delle vie, – allora il cuore sentiva che il gran disastro gravante su queste genti è la miseria col vizio!” (da M. Montessori, Il Metodo della Pedagogia …, p.140; p.144).

Un quartiere, dunque, malfamato, ai margini della città, per i poveri, “dove – come afferma Montessori – la gente per bene passa solo dopo morta” – a causa della vicinanza con il cimitero del Verano -, abitato da una umanità reietta, abbandonata a se stessa. In questo contesto trovano diffusione le idee socialiste e anarchiche; mentre società filantropiche, associazioni femminili e istituzioni religiose intervengono con iniziative a favore dell’infanzia, dei mendicanti, delle donne.

Quando San Lorenzo si affaccia al nuovo secolo, pur rimanendo un quartiere popolare con ampie sacche di disoccupazione e marginalità sociale, vive, come d’altra parte tutta la città, negli anni della politica giolittiana e, in particolare, dell’amministrazione Nathan, un periodo di riforme e riqualificazione architettonica, igienica e sociale. A modificare l’assetto urbanistico del quartiere intervennero diversi fattori tra cui, forse il più importante, l’intervento di riqualificazione edilizia dell’Istituto Romano di Beni Stabili, che acquista e ristruttura, con il sostegno della Banca d’Italia, molti degli stabili fatiscenti di San Lorenzo per ricavarne appartamenti da dare in affitto a costi calmierati. La ristrutturazione teneva conto delle norme igieniche e di nuovi criteri edilizi:  “con ampi e ben disposti cortili […] allietati dal sole, dal verde dei giardini, circondati da pareti con finestre ornate da fiori, dovevano essere come il polmone dell’edificio […], che col suo ordine, con la sua pulizia, con la sua gaiezza imprima decoro al casamento ed eserciti una prima benefica influenza sui singoli abitatori” (E. Talamo, La Casa moderna nell’opera dell’Istituto Romano di Beni Stabili, Roma, Bodoni, 1910, p.9).

Il risanamento edilizio e igienico è nei progetti dell’Istituto anche strumento di redenzione morale e civile. A tal fine, nei cortili degli edifici sono affisse alcune scritte educative ispirate ai principi di ordine e conservazione del bene comune quali: L’IGIENE DELL’ABITAZIONE È LA SALUTE DEI FIGLI oppure CHI CURA LA CASA CURA SE STESSO. Gli appartamenti sono realizzati sono di due, tre stanze al massimo ma il bagno è al piano, la cucina dell’appartamento è dotata di lavello con rubinetto per l’acqua potabile e piano piastrellato per la cottura a legna, entrambi in muratura.

Tra Ottocento e Novecento l’alimentazione dei ceti popolari nel centro Italia è prevalentemente costituita da pane, pasta, con un discreto apporto di farina di granturco (soprattutto nei mesi invernali) e moderato di riso; la carne non rappresenta il cibo principale: a causa dei bassi salari di contadini e operai vengono prevalentemente usate le carni ovine e il tubo intestinale delle vacche; raro è il pesce, semmai quello salato (stoccafisso e baccalà); scarsi il latte, le uova e il formaggio; presenti in misura maggiore i legumi (S. Somogyi, L’alimentazione nell’Italia unita, in Storia d’Italia. Atlante. I documenti. Gente d’Italia: costumi e vita quotidiana, vol. 16, Torino, Einaudi, 1973, Edizione speciale per il Sole 24 ORE, pp.849-854).

Un’alimentazione povera e spesso di cattiva qualità compromette lo sviluppo fisico e psichico dei bambini esponendoli a malattie con una conseguente alta mortalità infantile. Le principali malattie che allora colpiscono l’infanzia, a causa della scarsa alimentazione, sono la tubercolosi, il rachitismo, la pellagra o “male delle miseria”, dovuta alla povera alimentazione, l’anemia. Il tasso di mortalità infantile è talmente alto che nel 1900 l’età che non viene superata dalla metà della popolazione è di soli 23 anni, nonostante un tasso di natalità del 33%. La mortalità era diffusa soprattutto tra i bambini poveri, in particolare i lattanti, a causa di tare ereditarie e alla mancanza di adeguate condizioni igenico-sanitarie di vita delle donne lavoratrici. Per cui il tema dell’alimentazione si presentava come problematica complessa che coinvolgeva quelle del salario, dell’abitazione, dell’igiene, dell’istruzione, della delinquenza, delle malattie, in definitiva l’assetto stesso della società. (A. Golini, T. Isenburg, E. Sonnino, Demografia e movimenti migratori, in Storia d’Italia. Atlante. Immagini e numeri dell’Italia, vol. 20, Torino, Einaudi, 1976, Edizione speciale per il Sole 24 ORE, p.706. Vedi anche di G. Alatri, Primi del 900 l’alimentazione a scuola, in “Vita dell’infanzia”, a.LVI, n.7/8, luglio-agosto 2007, pp.4-12).

Anche la manutenzione dei fabbricati dell’Istituto a San Lorenzo risente negativamente del fatto che i bambini sono lasciati a se stessi dai genitori a casa per gli impegni di lavoro e Talamo, anche per risolvere questo problema, decide nel 1906 di raccogliere i bambini dai tre ai sette anni di ciascun fabbricato in un appartamento dell’edificio e affida l’organizzazione di queste scuole infantili a Maria Montessori. Dopo soli due mesi, la prima “Casa dei Bambini” è inaugurata in Via dei Marsi 58.

La scelta ricadde su Montessori, già nota come docente universitaria e abile conferenziera, si è già impegnata a favore dei soggetti sociali più deboli: i bambini con ritardo mentale e le donne, affermandone i diritti all’istruzione (dal censimento del 1911 era emerso che la percentuale di analfabeti, sopra i sei anni di età, sul totale della popolazione era del 37,6%: 32,6 tra gli uomini, 42,4 tra le donne), alla cura fisica e psichica, a una alimentazione adeguata, a un lavoro libero da sfruttamento e discriminazioni.

Montessori si è laureata in medicina nel 1896 discutendo una tesi in psichiatria e da allora ha sempre unito impegno scientifico e impegno sociale, divenendo un membro attivo della società romana che a cavallo tra ’800 e ’900 è attenta alle necessità di una città nella quale, in seguito ai mutamenti economici e tecnologici e ai cambiamenti avvenuti nell’organizzazione sociale e familiare, evidenti sono le condizioni di povertà, abbandono dei minori, malnutrizione, analfabetismo, situazioni di disagio sociale cui si accompagnava la perdita di senso morale.

In queste condizioni la figura del medico riuniva in sé quella dell’intellettuale attento ai problemi sociali e alla loro possibile soluzione. È questo anche il caso di Angelo Celli, medico, malariologo, docente di igiene a “La Sapienza” – Montessori frequentò le sue lezioni – impegnato nella redenzione sociale e morale degli abitanti dell’Agro romano, in particolare dei bambini, attraverso interventi igienico-sanitari. Qui Celli lottava contro la malaria, la malnutrizione e l’analfabetismo, perché era indispensabile istruire se si voleva che le persone fossero poi in grado di curarsi. Il medico diveniva allora, come ricorda anche Montessori in L’autoeducazione nelle scuole elementari (M. Montessori, L’autoeducazione nelle scuole elementari, Roma, Loescher & C. – Maglione e Strini, 1916), l’ambasciatore di un rinnovamento etico che sul fondamento dello studio naturalistico dell’uomo assumeva spesso il ruolo del riformatore sociale (Grazie al lavoro del “Comitato per le scuole dei contadini” di cui erano membri Angelo e Anna Celli e Giovanni Cena, scrittore e educatore, animato da un forte impegno volto a migliorare le precarie condizioni di vita dei braccianti dell’Agro e delle paludi Pontine, furono aperte molte scuole, tra le quali anche alcune “Case dei Bambini”. Il direttore delle “Scuole per i contadini”, Alessandro Marcucci, dato che la scarsa e poco nutriente alimentazione predisponeva i bambini a varie malattie, provvide alla distribuzione, almeno tre volte alla settimane, nelle capanne adibite a scuole di “una minestra calda
e abbondante”).

Considerate queste condizioni di vita, riguardo alle “Case dei Bambini”, Montessori scrive: “Per proteggere lo sviluppo infantile, specialmente là dove le norme dell’igiene del bambino non sono ancora diffuse nelle famiglie, sarebbe molto opportuno riservare alla scuola gran parte almeno dell’alimentazione del fanciullo. È ben noto oggi che questa deve adattarsi alla fisiologia infantile: e come la medicina dei bambini non è la medicina degli adulti a dosi ridotte, così l’alimentazione non deve essere quella dell’adulto in proporzioni quantitative minori. Per tale ragione io vorrei che anche nelle ‘Case dei Bambini’ situate nei casamenti – e dove i piccini, essendo in casa loro, possano salire in famiglia a mangiare – si istituisse la refezione scolastica” (M. Montessori, op. cit.).

Dove c’è una “Casa dei Bambini” del quartiere di San Lorenzo i genitori tengono in ordine lo stabile, manda i figli puliti a scuola, e hanno o un colloquio settimanale con la direttrice. La “scuola nel casamento” diventa così una proprietà collettiva, la cui importanza e utilità è ben presto compresa dagli inquilini: essa evita ai figli la strada, da ai bambini una possibilità di educazione e istruzione che altrimenti non avrebbero e offre un ambiente adatto in cui sono seguiti nello sviluppo psico-fisico dalla maestra e dal medico, entrambi residenti nello stesso edificio.
La “scuola in casa”, inoltre, realizza il principio pedagogico della continuità educativa tra scuola e famiglia e rappresentava una risposta al problema del lavoro femminile: le occupazioni domestiche della donna, divenuta lavoratrice, erano assolte da una diversa organizzazione della casa che prevedeva, oltre la “Casa dei Bambini”, anche altri servizi sociali presenti nell’edificio stesso come l’infermeria e la sala lettura.

Il riassetto urbanistico del quartiere e la ristrutturazione edilizia, si univano nel progetto dell’Istituto ad un’analisi dei bisogni sociali e della situazione economica degli abitanti del quartiere,
senza la quale il recupero edilizio stesso sarebbe fallito. Con un atteggiamento che Talamo definisce “sperimentale”e Montessori “positivo”, l’intervento promuoveva, dunque, un rinnovamento morale e
civile degli inquilini offrendo servizi ad una comunità che nel passaggio alla società industriale mostrava bisogni nuovi, coltivando il senso di responsabilità e di appartenenza degli inquilini stessi,
volto a favorire la costruzione di un tessuto sociale più coeso migliorando le condizioni quotidiane di vita.

Testo tratto dall’articolo le “Case dei Bambini” di Paola Trabalzini pubblicato in “Le ricette di Maria Montessori cent’anni dopo. Alimentazione infantile a casa e a scuola”, Roma, Fefè Editore, 2008.

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