Una sosta al Muro Torto

Sul far della sera l’intenso traffico sulla strada di scorrimento veloce che costeggia le mura imperiali tra Porta Pinciana e Porta Flaminia, realizzata nel 1910, ci costringe dapprima a rallentare, poi l’auto resta completamente immobile per qualche tempo nel bel mezzo del viale del Muro Torto.

Ci guardiamo intorno. In quel tratto di strada, privo di edifici, non ci sembra di cogliere nulla di interessante. Ma spesso una sosta forzata nello spazio può trasformarsi in un affascinante viaggio nel tempo. Ci accorgiamo intanto che il paesaggio che abbiamo sotto gli occhi è restato per gran parte straordinariamente intatto nei millenni. Il luogo è forse ancora carico dei fantasmi del passato. Siamo appena fuori dall’Urbe, oltre la cinta delle mura volute dall’imperatore Aureliano (Mura Aureliane).

Il Muro Torto in un’incisione del XVII secolo di P. Schenck

Alla nostra destra i prati della Villa Borghese verdeggiavano anche nell’antichità, aperti alle incursioni ed agli assedi dei barbari. Le mura imperiali, appoggiate alle ripide pendici del monte, si erano servite di possenti muraglioni con i quali le potenti famiglie romane degli Acilii, della gens Anicia, Domitia e Pincia, sostenevano il colle, denominato prima Colle degli Orti e infine Pincio, per proteggere da frane i giardini (horti) delle loro ricche ville.

Lassù i giardini degli Acilii erano i più estesi ed occupavano il parco moderno e gran parte di Villa Medici. All’inizio dell’Ottocento dall’ingresso di Villa Medici al piazzale del Pincio sono state scoperte ad una profondità di circa due metri dal livello odierno, resti di ambienti antichi in opera reticolata e mosaici. Ruderi di conserve d’acqua erano sotto la Casina Valadier.

In un’area tra l’attuale porta del Popolo e la via Margutta c’era la villa dei Domizi. Nerone, apparteneva a questa famiglia. Ci dice Svetonio che il suo cadavere, avvolto in bianche coperte intessute d’oro, viene bruciato e sepolto dalle nutrici e dalla sua concubina Atte in un sarcofago di porfido nel mausoleo situato nei giardini di questa villa. Nel 1099 il papa Pasquale II fa costruire nella zona una cappella (che diverrà poi la chiesa di S. Maria del Popolo) con il dichiarato scopo di esorcizzare il fantasma di Nerone che i passanti vedevano nottetempo vagare attorno al suo sepolcro.

Nei pressi della grande curva che immette nel rettilineo verso Piazzale Flaminio scorgiamo l’imponente frammento del blocco di muro che si staccò e crollò in età molto remota, rimanendo per millenni al suolo in posizione obliqua. Nel Medioevo lo chiamavano Murus ruptus, più tardi divenne Muro torto e diede nome al viale moderno. La sosta ci dà modo di notare le caratteristiche tessere di tufo del paramento in opera reticolata, che ci informano della sua costruzione in epoca tardo repubblicana. Mentre avanziamo nel traffico di qualche metro, ci rendiamo conto che quel manufatto veniva lavorato quando Cristo non era ancora nato. La breccia derivata dal crollo non impensierì Aureliano, che ritenne ugualmente protetta l’area, né dai bizantini che credevano che in quel punto fosse lo stesso apostolo Pietro a difendere la città. In ogni caso nessuna invasione, a partire da quella del 535 di Vitige con i suoi Goti, utilizzò mai quella breccia.

Dal Medioevo e fino a tempi relativamente recenti nel terreno antistante il Muro Torto, detto tra il XV ed il XVII secolo Muro Malo, vengono seppelliti i giustiziati, morti senza pentirsi e tutti coloro che esercitano mestieri ritenuti allora non onorevoli, tra cui gli attori. Nel 1825 vi sono sepolti Leonida Montanari e Angelo Targhino, affiliati alla Carboneria e decapitati dalla ghigliottina pontificia di Piazza del Popolo. Sembra che ogni notte i fantasmi dei due passeggiassero sul muro con la testa in mano, compensando i passanti, che non temevano la loro apparizione, con i numeri da giocare al Lotto.

In quel terreno venivano sepolte anche le prostitute di infimo rango, “ammenocchè – diceva un decreto papale – abbiano preso poi marito o si siano fatte monache”; casi nei quali esse potevano avere funerali religiosi.
Alzando lo sguardo incontriamo alla sommità del muro travi di ferro sporgenti. Sostenevano fino a poco tempo fa una rete metallica, installata negli anni trenta, quando il muraglione era frequente meta di disperati che si gettavano giù dai giardini del Pincio.

Si è fatto buio, ma la strada è ora fortunatamente sgombra. Cambiamo marcia e corriamo via, prima di fare cattivi incontri.

Fonti: un racconto di Domenico Augenti

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