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Catacombe di San Nicomede

L’accesso alle Catacombe di San Nicomede o Cimitero di Nicomede o Cimitero anonimo si trova in via dei Villini 32 a circa 550 metri in linea d’aria dall’antica porta Nomentana. Sopra di essa incombe la casa generalizia delle “Figlie del Sacro Cuore di Gesù”.

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Complesso residenziale Villa Garibaldi

Il complesso residenziale Villa Garibaldi è composto di tre palazzine di differenti geometrie e volumi, in un’area tra corso Trieste e via Nomentana, e ha gli ingressi in via Ajaccio n. 23-51, via Corsica n. 4, via degli Appennini n. 47.

E’ stato realizzato dal 1950 al 1954 da Ildebrando Savelli, Francesco Pennisi e Riccardo Morandi

Obiettivo primo dei progettisti era quello di realizzare un impianto d’insieme in armonico rapporto con le presenze arboree e con le visuali panoramiche, sfruttando al massimo l’indice di cubatura concesso dal piano.  Delle tre palazzine, due ospitano appartamenti di ampia superficie (da 170 a 300 mq), mentre un’altra dispone di unità residenziali di minor metratura, con spazi soggiorno comuni. Vige, infatti, un principio generale che privilegia servizi e ambienti collettivi ad uso condominiale, secondo un approccio all’abitare assolutamente innovativo per l’epoca.

Ai piani terreni degli edifici si trovano gli spazi di servizio alle abitazioni: cantine, locali tecnici, lavanderie e asciugatoi, ma anche saloni condominiali e un ristorante che, pur se posto lungo la strada ad uso commerciale, dispone di portavivande verticali per coloro che fossero interessati ad usufruire del servizio cucina. È inoltre prevista l’opzione facoltativa di pulizie settimanali delle abitazioni, con alloggi al piano terra per gli addetti.

Dal punto di vista compositivo i tre volumi si incastrano organicamente agli spazi verdi aperti, definendo cortili e giardini caratterizzati anche dalla presenza di una piscina scoperta.  I caratteri architettonici dei fronti sono omogenei, pur se sempre variati: gli edifici dispongono di terrazze continue, facciate smussate e piegature che conferiscono dinamicità alla configurazione d’insieme.  Di notevole interesse sono i telai costruttivi in cemento armato, i quali si sviluppano in altezza secondo una griglia ordinatrice regolare e poggiano su grandi pilastri binati obliqui.

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Zona Trieste 2

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“Ricordi di guerra” di Paolo Fantacone

NOTA Questo racconto ci è stato inviato dal socio AMUSE Domenico Misiti che l’aveva ricevuto dall’autore: il suo amico Paolo Fantacone, nato nel 1933 e scomparso nel 2019.  Paolo aveva studiato al Giulio Cesare, si era laureato in Ingegneria alla Sapienza e aveva abitato con la sua famiglia per lunghi periodi della sua vita nel Quartiere Trieste, dove oggi vive la moglie Silvia Tonazzi.  Come apprezzato dirigente d’azienda, aveva svolto la sua attività professionale nella VitroSelenia spa.  Legato da un’amicizia pluriennale a Domenico Misiti, aveva scambiato con lui ricordi e racconti di tempi lontani.  Il presente racconto fa parte di questo scambio di corrispondenza.  Il presidente dell’Associazione AMUSE ringrazia il prof. Misiti per averci inviato questo racconto che volentieri pubblichiamo.

RACCONTO DEL FLANEUR pubblicato il 12 gennaio 2025

Ho un ricordo molto vago della dichiarazione di guerra (il 10 giugno 1940 avevo 6 anni).  Mi colpì in particolare una frase del discorso del Duce: “La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna” e nella mia mente immaginavo la scena del Duce fiero e marziale, con divisa e stivali, che consegnava due rotoli di papiro agli ambasciatori che, intimiditi, se ne andavano con la coda fra le gambe.
Eravamo in guerra, dunque, e le prime manifestazioni furono un paio di allarmi aerei notturni che in realtà mi incuriosirono più che spaventarono. Poi la guerra si allontanò da noi. La Francia si era arresa e l’Inghilterra era troppo lontana per mandare i suoi bombardieri fino a noi. E noi riprendemmo la vita di sempre: scuola, famiglia, qualche cinema, e la villeggiatura, Piumazzo (un paesino vicino a Modena), Viareggio. A scuola andavo all’Italico Sandro Mussolini (oggi Giuseppe Mazzini), dopo due anni fatti dalle suore di via Dalmazia perché non avevo ancora i sei anni canonici, e a scuola avevo saputo di essere nato nell’anno XI dell’Era Fascista e di essere di razza ariana.
Comparvero manifesti attaccati al muro che inneggiavano all’immancabile vittoria (VINCEREMO!) ma, contemporaneamente, ammonivano alla cautela (TACETE, IL NEMICO VI ASCOLTA). I bollettini di guerra raccontavano le grandi vittorie delle truppe dell’Asse.  E avemmo una fortuna incredibile.  Papà, che aveva allora 45 anni ed era capitano, fu richiamato alle armi, ma poi fu rimandato a casa perché la visita medica aveva evidenziato un brutto male allo stomaco. Naturalmente eravamo tutti preoccupati, ma poi fece privatamente una visita di controllo da cui risultò che non aveva niente, c’era stato evidentemente uno scambio di radiografie con un povero diavolo, che era quindi finito al fronte al posto suo.  Papà ogni tanto era assalito dall’angoscia per lui.
I primi cambiamenti si manifestarono sul piano alimentare. Comparve la tessera annonaria con cui si potevano acquistare generi alimentari in quantità sempre più limitata (300 gr. di pane al giorno all’inizio, poi 200 poi 150) e poi la borsa nera con cui si poteva acquistare quel che si voleva (e trovava) a prezzi sempre più alti. Poi la guerra si riavvicinò a noi nel 1943. Le condizioni alimentari erano sempre più precarie, si vedevano passare, altissimi, stormi di aerei (le Fortezze Volanti) che andavano a bombardare le città del nord e la Germania; ma, per il momento, non toccavano Roma. Per il momento, ma poi il 19 luglio ci fu il grande bombardamento di San Lorenzo con tanti morti e tombe scoperchiate (morti due volte, si diceva).  Noi eravamo a Piumazzo, ma papà era a Roma e rimanemmo angosciati fino a che arrivò un telegramma in cui assicurava di stare bene.  Ci furono poi altri bombardamenti a Roma; ne ricordo due: il primo, ancora a San Lorenzo, avvenne quando ero appena uscito dal barbiere a piazza Quadrata, e ci rifugiammo con mamma in un portone tra scoppi, esplosioni e gente che urlava; il secondo colse mamma e Nina a Ostiense, dove c’era una distribuzione di patate; quando il bombardamento cominciò il negoziante voleva chiudere tutto e scappare, ma Nina lo costrinse a consegnare le patate che, diceva, avevano già pagato.
E il fronte di guerra si avvicinava sempre di più. La caduta del Fascismo ci colse a Piumazzo con grandi festeggiamenti della popolazione, ma la guerra continuava: Poi venne l’armistizio e ricordo che il giorno dopo mi svegliai dicendo “ho sognato che è finita la guerra” e mamma mi rispose “vestiti che andiamo a Roma, qui i tedeschi sparano per le strade”, e così facemmo.
Gli americani erano sbarcati a Salerno e sembrava imminente l’arrivo a Roma, poi erano sbarcati ad Anzio e sembrava fatta, ma per fare i 60 km fino a Roma ci misero cinque mesi, durante i quali le condizioni di vita peggioravano sempre di più. A Roma si sentiva lontano il rombo del cannone, ma non si avvicinava mai. Il primo ministro inglese Churchill disse poi: “Volevamo un gatto selvaggio alle spalle del nemico, e non un balena arenata sulla spiaggia”.
In quel periodo arrivarono a Roma gli zii e i cugini di Esperia fuggiti appena in tempo dalle violenze che si stavano per consumare al loro paese. Si installarono in metà dell’appartamento di via Taro, che era indiviso e quindi era pure loro. Ovviamente noi bambini giocavamo con i cugini (soprattutto con le cugine adolescenti), quindi avevo messo da parte il mio gioco preferito che chiamavo ” le bestie e i soldati” ripromettendomi di riprenderlo quando fossimo ritornati soli; invece quando ritornammo soli io ero cresciuto e quel tipo di gioco infantile non mi piaceva più. Fu una delle grandi delusioni della mia infanzia! In seguito, quando l’appartamento fu diviso, rimase un unico telefono fisso installato nella parete di separazione e accessibile da tutte e due le parti con uno sportelletto che divenne un luogo di chiacchiere con le cugine. Un’altra grande delusione la ebbi quando cadde il Fascismo, non per motivi politici, ma perché stavo per diventare balilla moschettiere e aspettavo con ansia di ricevere in dotazione il moschetto, come già mio fratello.
Ma le condizioni di vita peggioravano sempre di più. Si è già detto dei bombardamenti importanti, ma c’erano anche quelli minori, con bombe che caddero vicino a casa; uno a via Guattani vicino via Nomentana, e un altro a Villa Bianca (dove quasi trent’anni dopo sei nata tu, Paola).
Tedeschi a Roma. (Via Malta)
E c’era l’oscuramento con le finestre oscurate con fogli di carta blu e strisce di carta gommata per non far cadere i vetri in caso di rottura. Se filtrava luce il sorvegliante dell’UNPA dalla strada gridava “luce” e noi spegnevamo tutto. Le strade erano completamente buie e si circolava con delle strane pilette a dinamo (le batterie erano introvabili). Ma in realtà di sera si circolava poco perché c’era il coprifuoco e non si poteva uscire di casa (credo dalle 8 di sera alle 6 del mattino). E si stava in casa tutti intorno ad un braciere. C’erano anche altre limitazioni: per esempio non si poteva circolare con veicoli a due ruote (biciclette) per cui molti romani avevano applicato una terza rotellina tipo bicicletta di bambini.
E c’erano le retate con i tedeschi e i loro alleati-servi fascisti che bloccavano improvvisamente alcune strade e prendevano tutti gli uomini che c’erano dentro per portarli a lavorare per loro. E se erano ebrei per portarli ad Auschwitz.
E ci furono le Fosse Ardeatine di cui ricordo l’orrore dei miei genitori che dicevano: ” si può capire la reazione immediata all’attentato sparando sulla gente e sulle finestre, ma come si fa a fucilare persone che erano in carcere e quindi sicuramente non responsabili? ” Poi sapemmo che tra le vittime c’era anche Alberto, un parente della famiglia Fantacone, che avevamo visto poco, perchè era un po’ defilato dalla famiglia.
A un certo punto il Governo decise di trasferire i ministeri al nord e chi non voleva andare veniva licenziato o peggio.  Così un giorno di aprile del 1944, con un viaggio avventuroso in pullman e treno, ci trasferimmo papà a Brescia e noi alla solita Piumazzo, allora relativamente sicura.  Viaggiavamo con tanti bagagli (non sapevamo cosa sarebbe successo alla casa di Roma) e con l’immancabile macchina da cucire Singer di mamma, pesante e ingombrante, che ci avrebbe poi seguito in tutti gli scomodissimi viaggi successivi.

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Racconto da fare

mail del 14-11-2024

Salve!
Mi sono iscritta alla vostra associazione a luglio scorso con molto entusiasmo. Purtroppo non riesco a partecipare alle vostre riunioni perché in quell’orario sono impegnata in un’attività di ballo di gruppo che mi serve molto per il fisico e per lo spirito, ma vi seguo sulla pagina web e ho scoperto i racconti del Flaneur e mi sono piaciuti, mi è piaciuta l’idea innanzitutto.  Per questo ho pensato che potevo anch’io mandarvi un piccolo scritto, visto che mi piace scrivere e mi piace tanto il mio quartiere.  Vi invio quello che ho scritto perché lo possiate valutare. Grazie e spero di avere altre occasioni di incontro.

Angela Di Vanna

Racconto

Sono nata a via Alessandria 154 settanta anni fa. Lo dico con un po’ di incredulità, mi sembra impossibile che sia passato tanto tempo!

Quando dico che sono nata là vuol dire che sono nata a casa mia, come allora si usava. Mia madre si era diplomata pochi anni prima in ostetricia e si fece assistere da una sua collega di studi. Nacqui dopo ore di travaglio, con un grosso tumore da parto in testa, non dovevo essere molto carina.

Il mio palazzo era uno di quelli che si chiamano “di ringhiera”, costruito dai Piemontesi dopo la presa di Porta Pia, come tutto quel pezzo del nostro quartiere. “Di ringhiera” vuol dire che le porte e le finestre delle case affacciano quasi tutte su un ballatoio e così il cortile che ne occupa lo spazio centrale diventa il fulcro della vita di una piccola comunità, una specie di paesetto dove tutti sanno tutto della vita degli altri abitanti. Era abitato da famiglie non ricche e da alcune che lo erano un po’ e che facevano pesare la loro superiorità sugli altri.

La mia casa era tra le più piccole del palazzo e così quando crebbi e quando nacque mia sorella e altre due bambine nostre coetanee fu semplice diventare un gruppetto che cresceva insieme e che usava gli spazi comuni, i ballatoi, i pianerottoli, le scale, come uno spazio che permetteva di inventare giochi e passatempi semplici, come fare su e giù le scale alternando salti più o meno grandi. Ovviamente questo rese le scale anche teatro di grandi capitomboli, ma per fortuna nessuna si fece male più di tanto.

C’erano anche attività legate agli eventi dell’anno, la più bella era quella che ci permetteva a Carnevale di decorare il cotile con le stelle filanti. Avevamo a disposizione due piani e così iniziavamo prendendo una un capo e una l’altro della stella filante e correvamo un di qua e una di là fino a dove l’avremmo legata alla ringhiera. Alla fine del lavoro tutto lo spazio del cortile era coperto e quando soffiava anche un po’ di vento le stelle filanti davano uno spettacolo proprio bello che ci rendeva orgogliose del nostro lavoro.

Ovviamente se per caso pioveva il lavoro veniva distrutto e ci toccava rifarlo, ma forse non ci dispiaceva, perché in realtà farlo era la cosa che ci dava più gusto.

I giochi più belli li facevamo dentro le case, spostandoci tutte insieme a seconda delle esigenze delle nostre madri. Anche se gli spazi erano angusti, la nostra fantasia li faceva diventare enormi: a volte eravamo signore che si lamentavano dei loro mariti, che fingevano di portare al parco i figli e di accudirli, a volte eravamo principesse e ci travestivamo con strani abiti vecchi che trovavamo nelle varie case e

mettevamo scarpe vecchie con il tacco di parecchi numeri troppo grandi, cosa che non toglieva nulla al loro fascino.

Era molto bello crescere insieme, avere sempre qualcuno con cui giocare nei momenti liberi dai doveri.

Il quartiere aveva anche lui il suo ruolo: Villa Paganini era lo spazio di gioco non sempre disponibile, dove andavamo spesso accompagnate dalle madri un po’ a turno e dove trovavamo ogni volta altri bambini del quartiere.

Prima di arrivare alla villa passavamo di fianco alla nostra scuola, la gloriosa “XX Settembre 1870” dedicata ovviamente alla presa di Porta Pia, evento storico che domina tutta la zona.

Anche le nostre madri erano agevolate da quella particolare struttura del palazzo e dal fatto che crescendo insieme si potevano permettere di gestirci insieme.

Non avevamo bisogno di baby sitter, un po’ i nonni con cui vivevamo, un po’ l’aiuto reciproco facevano sì che noi non fossimo mai sole.

Alla fine delle elementari però grazie al fatto che entrambi i miei genitori avevano trovato un lavoro fisso e dal momento che lo spazio era veramente poco ci trasferimmo a via Nomentana in una casa molto grande e in un palazzo dove non conoscevamo nessuno e dove non si incontravano spesso gli altri abitanti del palazzo.

Per me e per mia sorella fu un lutto enorme, anche se di lì a poco lentamente il nostro vecchio palazzo si svuotò, arrivarono gli studenti fuori sede e altri abitanti che non stavano molto tempo a casa e il cortile che era pieno di voci quando noi eravamo piccole diventò molto silenzioso.

Ogni tanto torno a vederlo quel cortile, presa dalla nostalgia di un tempo così lontano e così diverso dal nostro presente che a raccontarlo sembra un po’ una favola. A volte mi sono divertita a mostrarlo ad altre persone più giovani e a cogliere nella loro espressione un po’ di incredulità.

Ma noi quattro che quella storia l’abbiamo vissuta, tante volte ci siamo dette che quell’infanzia insieme è stata una bella esperienza e che il nostro sodalizio ha contribuito a proteggerci da certi climi familiari normali per quegli anni di immediato dopo guerra caratterizzati dalla presenza di papà traumatizzati dalla guerra di cui erano reduci, dalle difficoltà economiche ,dalla convivenza di tre generazioni in spazi ristretti.

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