Piazza del Popolo nel Rinascimento

Durante il Rinascimento, nel periodo dell’intraprendenza urbanistica dei Papi che volevano dare un aspetto solenne alla loro città, la piazza assunse una precisa definizione.

Sisto IV si occupò del riattamento della porta e della trasformazione monumentale della chiesa che le era annessa.

Leone X con un motu proprio del 1518 dispose la costruzione di una moderna e ben ordinata strada tra S.Maria del Popolo e il porto di Ripetta che fu chiamata via Leonida (l’attuale via di Ripetta) al posto del preesistente viottolo. La strada fu progettata da Raffaello e Antonio da Sangallo il Giovane, i quali seguivano, con le loro idee estetiche e tecniche, la volontà rinnovatrice del papa umanista. Tale intervento, pur non dando la finale configurazione della piazza, ne dettò alcuni elementi: dall’idea della convergenza di una strada laterale verso la linea della via Flaminia, nel punto di congiungimento tra le stesse rappresentato da un importante rudere che si trovava dove ora si trova la Chiesa di S. Maria dei Miracoli. Raffaello, teorizzatore del rispetto per le antiche tracce monumentali, lo conservò e ne fece il caposaldo per l’innesto delle due linee divergenti del futuro Corso e della Via Leonida, poi Ripetta. Con ciò erano stati fissati due elementi importanti per la successiva evoluzione di quell’ambiente: il punto di massima distanza della piazza nei confronti della porta e l’implicito suggerimento della creazione di una strada simmetrica sotto la linea dei colli.

Una via Clemenzia venne tracciata sotto Clemente VII. Ma fu il consulente di Paolo III, Latino Giovenale Manetti, a definire il rettilineo che con lo stesso angolo di divaricazione di via Ripetta nei confronti di via del Corso seguiva il piede delle colline e si spingeva a grande distanza fino alla base del colle del Quirinale.

Nel 1542 – 45 si delineò il Tridente, come invito alla realizzazione di un nuovo quartiere dal sapiente ordinamento della trama viaria. Nel 1560 – 70 la via Paolina Trifaria risultò completa ad assumere il definitivo nome di “Babuino”.

Gregorio XIII fece collocare nel centro della piazza una fontana disegnata dal Della Porta (1573). Con il Tridente e con la fontana la foggia della piazza era pronta per la sua fortuna internazionale. Il suo schema infatti venne spesso ripetuto all’estero.

I rettilinei irradiantisi a stella offrirono a Sisto V, rinnovatore della realtà urbana di Roma, l’idea della pianta stellare. Egli fece inoltre innalzare da Domenico Fontana l’obelisco di Ramsete II, proveniente dal Circo Massimo, dove giaceva in tronconi. Sisto V elaborò un piano per la piazza che però venne in parte eluso. La piazza avrebbe dovuto collegarsi in rettilineo con la piazza S. Pietro (e i due obelischi avrebbero dovuto corrispondersi) e avrebbe dovuto diventare, mediante un tronco stradale che raggiungesse la piazzetta di Trinità dei Monti , punto di partenza della via Felice diretta sull’obelisco Esquilino, davanti a quello che del piano stellare sistino era il perno topografico e concettuale: la basilica di S.Maria Maggiore. L’obelisco ebbe da subito la funzione dell’essere il punto di raccolta delle linee prospettiche provenienti dalle tre direttrici del Tridente.

La sistemazione dell’obelisco sistino (che prevedeva anche quattro fontane a foggia di leone, in sostituzione di quella unica, gregoriana, poi realizzata da Valadier) diede il tocco conclusivo al pieno recupero urbano dell’area di Campo Marzio. Infatti Sisto V sviluppò per Roma un vero e proprio piano regolatore anticipatore di quelli moderni. La sua idea era quella di una città distesa sull’altipiano Esquilino che era stato abbandonato a seguito dell’interruzione del rifornimento idrico e al quale fu restituita l’acqua con l’Acquedotto Felice. Il piano era ambizioso e fu messo in atto da una grande dinastia. Cosi i suoi lunghi assi stradali rimasero deserti fino al risveglio cittadino successivo al 1870. Cosi fu la dinastia umbertina realizzare l’ambizioso progetto sistino.

Il Bernini, per volontà di Alessandro VII , riordinò l’interno dell’edificio di Porta Flaminia e gli sovrappose una facciata di una certa importanza, curando anche la facciata interna. Già a metà Cinquecento era stato rinnovato il suo aspetto esterno da Pio IV. Fin dall’epoca di Paolo III poi era stato rimosso il rudere detto neroniano.

A metà Seicento si pensò a due edifici sacri dotati di protiro a colonne e cupola, le chiese gemelle sulle testate degli isolati frapposti al Tridente stradale. Fu l’impresa del cardinal Gastaldi mecenate genovese, dell’architetto Carlo Rainaldi e dell’anziano Bernini ( per le cupole) la costruzione di S.Maria in Montesanto (nel 1675) e S.Maria dei Miracoli (nel 1678).

p.popoloEsse avevano lo scopo di offrire un maestoso fronte della città a chi si affacciasse dalla porta.

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