Goethe e Roma: le affinità elettive di Carlo de Bac

Siamo lieti di pubblicare un saggio di CARLO DE BAC, ispirato al Monumento a Wolfang Goethe.

Attraversando a piedi villa Borghese da Porta Pinciana ci si trova di fronte a un monumento raffigurante un giovane uomo in abito settecentesco con un taccuino in mano, dall’espressione radiosa di chi sta vivendo un momento sublime. Viene subito in mente che si tratti di Johann Wolfgang Goethe, il grande scrittore tedesco, che aveva soggiornato a Roma per quasi due anni e aveva raccontato la sua esperienza, molto tempo dopo, nel famoso “Italienische Reise”, un fantastico diario di viaggio ante litteram, ricostruito in base ad una fitta corrispondenza tenuta con gli amici e una nutrita serie di appunti. Quelle pagine rappresentano una testimonianza della vita romana dell’epoca e dell’immenso patrimonio artistico offerto dalla città, il tutto vissuto con tale immedesimazione da offrirci una straordinaria collezione di sensazioni, luoghi e personaggi.

E quello che aggiunge interesse e validità alla sua lettura è dovuto alla semplicità, alla chiarezza e alla bellezza del testo. E’ un Goethe vivo, trasparente, che si muove incessantemente guidato da una frenesia felice di vedere, osserva, giudica privo dell’impronta filosofica che ha reso problematica l’interpretazione delle sue opere più famose. Entra in un rapporto di intensa armonia con se stesso, si sente realizzato, sereno, come mai era stato. Estrae dalle giornate romane avventure che non aveva mai vissuto, la visita alle bellezze dell’antichità e del rinascimento, la partecipazione alle abitudini locali, al Carnevale romano e soprattutto l’iniziazione all’amore fisico e alla sensualità. Tutte queste opportunità gli regalano emozioni e piaceri che fanno da soggetto alle “Elegie Romane”, composizioni poetiche in cui rifulgono sia il letterato, pittore, scienziato, capace di vedere e sentire, che l’uomo, convinto partecipe dei comportamenti mediterranei. Altro tempo dedica a opere drammatiche, Ifigenia in Tauride, Torquato Tasso, Egmont, schizzi del Faust, del Wilhelm Meister, i cui protagonisti sono ai piedi del monumento di Villa Borghese in tre gruppi scultorei.

Il diario è contrassegnato da un continuo stato di celebrazione per la grandiosità di ciò che visita, il Palatino, il Foro Romano, il Pantheon, gli Acquedotti, e per la magnificenza di San Pietro, della Cappella Sistina, delle Logge di Raffaello, di tante altre opere d’arte, anche se il poeta s’indigna per il degrado e la profanazione sistematica delle vestigia antiche. I giudizi espressi sono ammirevoli, associati spesso a una condizione interiore di incapacità a contenere l’ammirazione per quelle forme e quei capolavori. Ha anche imparato dall’amico pittore Tischbein la tecnica dell’acquarello e si diletta a ritrarre bellezze, luoghi, panorami, trasferendovi ogni volta il suo stato d’animo.

Verso la fine del soggiorno Goethe ha occasione di assistere al Carnevale Romano dalla sua finestra sul Corso e ne descrive mirabilmente l’esaltazione collettiva, dalla corsa dei cavalli, dalle intemperanze e dalle licenze dei partecipanti, alle gesta di occasionali protagonisti e infine alla tristezza del ritorno alla banalità della vita di tutti i giorni.

Per quanto riguarda la vita sentimentale, poco o niente trapela, salvo un suo interessamento a una ragazza milanese, però già promessa e quindi subito interrotto. Non c’è invece ragione plausibile riguardo al silenzio sul suo rapporto stabile con la figlia di un oste, una certa Faustina, protagonista un tantino scabrosa di alcune delle “Roman Elegie”, poesie in versi classici. Ella sembra abbia rappresentato la prima donna con la quale Goethe abbia avuto una relazione sessuale (aveva 37 anni) non disgiunta però da una certa identità d’interessi intellettuali, molto rimpianta al momento del suo ritorno in Germania.

Goethe si era all’inizio infervorato dei riti cattolici, delle messe cantate, dello zelo degli officianti e soprattutto della figura simbolica del Papa salvo a riguadagnare in pieno la sua fede protestante una volta sorpreso il Pontefice in atteggiamenti lontani dal suo ruolo.

Si dedica anche a lunghe passeggiate nei luoghi preferiti per godere dell’amenità dell’ambiente. Il suo tragitto abituale lo porta a Villa Borghese, lungo i viali dei pini, vi si ferma a lungo a meditare e a scrivere e la presenza del monumento ne è testimonianza. All’aria aperta riesce a concentrarsi, favorito dalla privacy raggiunta e pervaso com’è da una felicità tutta nuova provata nell’estate italiana. La sua Ifigenia vi ha trovato l’ispirazione per essere tradotta in versi sul testo già elaborato a Weimar. Lo stesso dicasi per l’Egmont, dramma storico per la libertà difesa fino al sacrificio della vita (Beethoven ne ricaverà una partitura) e il Torquato Tasso, rappresentazione di un grande oscurato dai conflitti interiori.

Altra mèta frequente è rappresentata dall’allora famosa fonte  dell’Acqua Acetosa, ritenuta quasi miracolosa per molti malanni, anche se non sono mai esistiti dati sulla sua composizione. Ne era stata ricavata una fontana, sulla cui sistemazione muraria erano più volte intervenuti diversi Papi, anch’essi convinti fruitori dei benefici dell’acqua. Il poeta compie spesso il lungo cammino uscendo da piazza del Popolo e percorrendo un tratto di via Flaminia e poi il vicolo della Rondinella. Arrivato nei pressi del Tevere, si ferma a bere e a godere della bellezza del sito, allora in aperta campagna. Vale la pena ricordare anche la frequentazione del Caffè Greco in via dei Condotti, dove incontra l’entourage dei connazionali, e di una casa in via Sistina, abitata da una sua amica pittrice che soleva tenere anche una specie di salotto letterario. Infine ama ogni tanto visitare i Castelli romani, prediletti per il clima e i facili contatti con la gente, e lì trova divertente sostare nei luoghi di ritrovo e avvicinare i paesani.

In conclusione, il Viaggio in Italia delinea con grande acume il passato e il presente di tanti luoghi ma l’aspetto che colpisce di più è la descrizione esatta e palpitante dell’italiano di allora che non si discosta gran che da quello di oggi per il malcostume, la sciatteria, la tendenza alla superficialità. E’ evidente che nella produzione letteraria di Goethe il diario rappresenta un’evasione, di fronte a capolavori come Werther, Faust, le Affinità elettive ma, al di là del nostro interesse per l’argomento che ci riguarda, la trattazione è brillante, artistica, sapiente, accattivante. Il poeta mostra di godere il suo soggiorno con slancio e beatitudine, si dichiara innamorato dell’Italia in quanto depositaria di valori unici e di una cultura indispensabile per la completa realizzazione dell’identità di un artista.

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