In viale Liegi 42, c’è un villino realizzato ai margini di quello che allora si chiamava quartiere Sebastiani, in una delle più belle zone della città compresa tra Villa Savoia e il parco di villa Borghese, in quegli anni ancora intitolato a Umberto I. Una targa vicino al portone attribuisce la costruzione al 1922 e la paternità a Marcello Piacentini.
MAPPA della Zona Parioli 1 (da via Salaria a piazza Ungheria)
L’edificio è stato da poco tinteggiato apponendo sulle parti di travertino simulato delle cornici in stucco, un violento e assurdo colore giallo che deprezza l’intero immobile. Il ruvido mantello costituito da una cortina zigrinata fatta in stucco di cocciopesto cioè calce mischiata a frammenti di laterizio.
L’aspetto esterno del villino è semplice, segnato dagli aggetti del bow-windows sul fronte e sul fianco lungo via Montevideo, e caratterizzato dall’uso del l’intonaco scuro a striature orizzontali, capace di raffinati effetti chiaroscurali, che caratterizza le murature esterne. Entrambi gli elementi sono caratteristici della “Secessione viennese” e assolutamente inconsueti nel panorama romano.
L’edificio si sviluppa su 4 piani più l’attico e ha due grandi alloggi per piano. L’atrio è incorniciato da semicolonne, con un rivestimento di marmi policromi sotto gli archi accecati con l’arriccio.
Fu progettato sulla base di una precedente struttura in muri portanti di tufo (uno schema a L) già stata realizzata nel 1916 fino all’altzza del piano terreno e risente quindi dell’impostazione rigida della pianta preesistente. Questo giustifica in parte l’ovvietà dell’impianto distributivo degli alloggi, impostati su lunghi corridoi di disimpegno che rimandano alla soluzione tipica delle abitazioni dei blocchi ottocenteschi.
Dopo la costruzione di questo villino già intorno al 1923 (si vedano ad esempio le vicine case di via Giovanni Battista Martini 6), nei progetti di Piacentini faranno la loro comparsa i primi elementi «Novecento» che negli anni successivi costituiranno l’ossatura sulla quale egli costruirà un proprio linguaggio eclettico, scenografico e monumentale che si dimostrerà in grado di assorbire di volta in volta gli innesti più diversi così da porsi come punto di riferimento per la costruzione di un’ architettura nazionale. Questa, soprattutto a partire dalla metà degli anni Trenta, imposterà i suoi temi sul «peso della tradizione» e sul «rispetto del passato» riuscendo così da una parte a sintetizzare e a mettere in forma le contraddittorie istanze di efficienza continuità e rappresentazione del regime fascista e dall’ altra a portare il nostro Paese ai margini del dibattito intorno all’ architettura moderna.
Bibliografia: Piero Ostilio Rossi. Roma – Guida all’architettura moderna – 1909-2000