Stadio dei Marmi … Foro Italico …
- Quartiere delle Vittorie. MAPPA della Zona Flaminio 3 (da via Guido Reni a Ponte Milvio)
da fare
Una delle 64 statue dello Stadio dei Marmi era deceduta: il Lanciatore di giavellotto di Aldo Buttini, negli anni Settanta è stato colpito da un fulmine. Un delicato restauro lo ha restituito, nel 2006, colmando così, dopo oltre 30 anni, un vuoto, antiestetico, nella sequenza di 64 sculture in marmo bianco di Carrara, alte quattro metri ciascuna offerta da una provincia italiana, nell’impianto progettato nel 1928 da Enrico Del Debbio, con il piano generale dell’allora Foro Mussolini.
Ognuna statua rappresenta uno sport diverso, e il volto del Pugilatore ricorda Primo Carnera e sono presenti rappresentanti di sport mai sentiti, come il Pallone elastico. L’impianto ha gradinate perimetrali di dieci scalini, pure in marmo di Carrara; è capace di 5.280 posti; e dal 2014 è intitolato a Pietro Mennea, l’indimenticabile velocista, campione olimpionico dei 200 metri a Mosca nel 1980, e primatista mondiale nella specialità dal 1979 al ’96; il suo tempo (19 secondi e 72 centesimi) è ancora record europeo. Era collegato alla vicina Accademia di Educazione fisica, anch’essa una sua opera, e all’inizio, doveva servire solo per gli allenamenti.
La statua del Giavellotto è donata dalla provincia di Perugia (sparito però i da tempo giavellotto che l’atleta stava lanciando). Quella del Pugilato da Ascoli Piceno, quella con uno strigile è un regalo di Catania, il tennista di Ragusa; il Marinaio di Enna e così via.
Altri scultori collaborano Aroldo Bellini, Silvio Canevari, Tommaso Bertolino e Carlo De Veroli: scelti con un concorso pubblico, del 1928. Sul lato sinistro, un podio con alla base due lottatori bronzei, da cui Adolfo Consolini, nelle Olimpiadi del 1960, declamò il Giuramento dell’atleta;.
Di Angelo Canevari, l’autore del pannello del Cigno a viale dei Parioli, il mosaico, 150 metri quadrati, all’ingresso del campo: otto protagonisti dell’atletica leggera. Sempre per i Giochi Olimpici, lo stadio è collegato con un corridoio sotterraneo a quello olimpico e ai locali degli spogliatoi e dei servizi. E’ del tutto infossato: il più alto scalino della gradinatache è infatti a livello del terreno; perché tutta l’area fu innalzata di cinque metri, con due milioni di metri cubi di materiali, frutto degli sventramenti operati in quel periodo nella città. Occupa 14 mila metri quadrati; è composto da due semplici rettilinei, raccordati da due semicerchi.
L’UNIVERSITÀ
Ma a Del Debbio (carrarese, 1891 – 1973), non si deve solo questo stadio. Sempre al Foro Italia, anche la Foresteria Sud, poi a lungo l’Ostello della Gioventù, è sua; come la sede della Facoltà di Architettura, a Valle Giulia, con molto altro: svariati villini a Via Carso; il palazzo della Fiat negli Anni 20 in via Calabria, ormai sede di uffici; la Colonia elioterapica del Don Orione; la Casa del Balilla al Verano, ora Commissariato di polizia; a Ostia, lo stabilimento balneare divenuto Rex e Tibidabo; e anche (con Foschini e Morpurgo) il palazzo della Farnesina, sede del Ministero degli Esteri. L’architetto pensa al palazzo per l’Architettura nel 1925: su un basamento di travertino, un corpo centrale, due ali avanzate, due alti piani; è una anticipazione dell’Accademia di Educazione fisica al Foro, di poco successiva, anch’essa ad U.
Del Debbio amplia due volte il progetto, per le mutate esigenze della Facoltà, e realizza i prospetti in rosso-bruno, ispirati a un’evidente classicità. Ci lavora dal 1932 al 67: ben 35 anni; un ampliamento nel ’34, uno nel ’58, un terzo sorto solo in parte, e un quarto, pur previsto, mai realizzato. I progetti sono nel suo archivio, rimasto in famiglia, e donato al MAXXI. La Scuola superiore di Architettura, mentre in Germania nasceva il Bauhaus di Weimar, riunificava gli insegnamenti, scissi tra le Accademie di Belle arti e le scuole d’ingegneria. E la sede, come quanto crea al Foro italico, è tra i maggiori risultati di un professionista trasferitosi a Roma a 25 anni, e subito vincitore della prima Biennale d’Arte. Gli hanno restituito perfino la statua distrutta dal fulmine.
Una delle 64 statue dello Stadio dei Marmi era deceduta: il Lanciatore di giavellotto di Aldo Buttini, negli Anni 70 è stato colpito da un fulmine. Un delicato restauro lo ha restituito, nel 2006, colmando così, dopo oltre 30 anni, un vuoto, antiestetico, nella sequenza di 64 sculture in marmo bianco di Carrara, alte quattro metri e offerte ciascuna da una provincia italiana, nell’impianto progettato nel 1928 da Enrico Del Debbio, con il piano generale dell’allora Foro Mussolini. Ognuna rappresenta uno sport diverso, e il volto del Pugilatore ricorda Primo Carnera: pure alcuni di quelli meno usuali, come il Pallone elastico. L’impianto ha gradinate perimetrali di dieci scalini, pure in marmo di Carrara; è capace di 5.280 posti; e dal 2014 è intitolato a Pietro Mennea, l’indimenticabile velocista, campione olimpionico dei 200 metri a Mosca nel 1980, e dal 1979 al ’96, primatista mondiale nella specialità; il suo tempo (19 secondi e 72 centesimi) è ancora record europeo. Era collegato alla vicina Accademia di Educazione fisica, anch’essa una sua opera, e all’inizio, doveva servire solo per gli allenamenti.
GLI ARTISTIDelle 60 discipline sportive, la statua del Giavellotto fu donata dalla provincia di Perugia, e, per esempio, quella del Pugilato da quella di Ascoli Piceno. Quella con uno strigile è un regalo di Catania; il tennista, di Ragusa; il Marinaio, di Enna; e così via. Sparito però il giavellotto che l’atleta stava lanciando.
Altri scultori furono Aroldo Bellini, Silvio Canevari, Tommaso Bertolino e Carlo De Veroli: scelti con un concorso pubblico, del 1928. Sul lato sinistro, un podio con alla base due lottatori bronzei, da cui Adolfo Consolini, nelle Olimpiadi del 1960, declamò il Giuramento dell’atleta; di Angelo Canevari il mosaico, 150 metri quadrati, all’ingresso del campo: otto protagonisti dell’atletica leggera. Sempre per l’Olimpiade, lo stadio fu collegato, con un corridoio sotterraneo, a quello olimpico, e ai locali degli spogliatoi e dei servizi. E’ del tutto infossato: il più alto scalino della gradinata è infatti a livello del terreno; perché tutta l’area fu innalzata di cinque metri, con due milioni di metri cubi di materiali, frutto degli sventramenti operati in quel periodo nella città. Occupa 14 mila metri quadrati; è composto da due semplici rettilinei, raccordati da due semicerchi.
L’UNIVERSITÀ
Ma a Del Debbio (carrarese, 1891 – 1973), non si deve solo questo stadio. Sempre al Foro Italia, anche la Foresteria Sud, poi a lungo l’Ostello della Gioventù, è sua; come la sede della Facoltà di Architettura, a Valle Giulia, con molto altro: svariati villini a Via Carso; il palazzo della Fiat negli Anni 20 in via Calabria, ormai sede di uffici; la Colonia elioterapica del Don Orione; la Casa del Balilla al Verano, ora Commissariato di polizia; a Ostia, lo stabilimento balneare divenuto Rex e Tibidabo; e anche (con Foschini e Morpurgo) il palazzo della Farnesina, sede del Ministero degli Esteri. L’architetto pensa al palazzo per l’Architettura nel 1925: su un basamento di travertino, un corpo centrale, due ali avanzate, due alti piani; è una anticipazione dell’Accademia di Educazione fisica al Foro, di poco successiva, anch’essa ad U.
Del Debbio amplia due volte il progetto, per le mutate esigenze della Facoltà, e realizza i prospetti in rosso-bruno, ispirati a un’evidente classicità. Ci lavora dal 1932 al 67: ben 35 anni; un ampliamento nel ’34, uno nel ’58, un terzo sorto solo in parte, e un quarto, pur previsto, mai realizzato. I progetti sono nel suo archivio, rimasto in famiglia, e donato al MAXXI. La Scuola superiore di Architettura, mentre in Germania nasceva il Bauhaus di Weimar, riunificava gli insegnamenti, scissi tra le Accademie di Belle arti e le scuole d’ingegneria. E la sede, come quanto crea al Foro italico, è tra i maggiori risultati di un professionista trasferitosi a Roma a 25 anni, e subito vincitore della prima Biennale d’Arte. Gli hanno restituito perfino la statua distrutta dal fulmine.
di Fabio Isman