Manufatti nell’area dei Parioli

I manufatti riportati in questa pagina sono stati rilevati utilizzando come base la mappa 153 del catasto Gregoriano (1818-20), tranne che per la villa Lancellotti e la palazzina Filomarino, ubicate sulla via Salaria e contenute nella mappa 147 del medesimo catasto.

Gli edifici e le vigne sono identificati da una lettera corrispondente al percorso lungo il quale sono ubicati e da un numero d’ordine progressivo (indicante la loro sequenza topografica fra i manufatti relativi a quel percorso).  Manufatti e giardini compaiono con la descrizione fra virgolette della destinazione d’uso e della proprietà cui appartengono, come sono segnalate dal brogliardo del catasto Gregoriano.  Per singoli manufatti e tenute si fa riferimento alla Collezione Disegni e Mappe conservata, come per il suddetto catasto, presso l’Archivio di Stato di Roma.

Segue la successione dei loro toponimi, rilevata sulla base della cartografia successiva, lungo tutto il XIX secolo e per i primi decenni del XX, utile a registrare mutamenti e passaggi di proprietà.

Da questa premessa comune, la scheda passa in rassegna eventuali indicazioni cronologicamente precedenti, per proseguire in avanti, fino ai nostri giorni.

Le piante esaminate successive a quella del catasto Gregoriano sono:

  1. Pianta della congregazione del Censo (1839)
  2. Roma e dintorni del Barone Carlo Bernardo Von Moltke (1845-52)
  3. Roma disegnata dagli Ufficiali di Stato Maggiore francese (1868)
  4. Roma edita dallo stabilimento cartografico C. Virano (1889)
  5. Pianta di Roma dell’Istituto Cartografico Italiano (1891)
  6. Pianta di Roma e Suburbio dell’IGM (1924)

La cartografia viene di volta in volta indicata sinteticamente con la semplice data nella trattazione del singolo manufatto.  Per ogni percorso si è operata una selezione delle proprietà e relativi edifici: il quadro che ne risulta, ancorché ampio, non pretende dunque di essere esaustivo.  Qualora reperiti, si forniscono gli estremi archivistici, come ad esempio i protocolli di progetto depositati alla Commissione edilizia del comune, conservati all’Archivio Storico Capitolino, concernenti eventuali modifiche o trasformazioni moderne dei manufatti medesimi.  L’elenco qui proposto fornisce, in attesa di ulteriori approfondimenti, documenti di progetto depositati alla Commissione edilizia del comune, conservati all’Archivio Storico capitolino, concernenti eventuali modifiche o trasformazioni moderne dei manufatti medesimi.  L’elenco qui proposto fornisce, in attesa di ulteriori approfondimenti documentali, uno scandaglio dell’evoluzione storica di ville, casali e tenute, segnalandone inoltre la scomparsa o la conservazione ad oggi.  Nella presente schedatura alcuni casali, ville e giardini significativi per importanza storica, risultanze documentali e qualità architettonica hanno una trattazione più ampia e specifica.

Percorso A Dal  Vicolo dell’Arco Oscuro

A.1 Villa in via B. Ammannati 21,  al margine del parco pubblico di Villa Balestra (ndr, oggi nota come villino Delfino in Parodi). “Casa con corte ad uso della vigna” nella proprietà dei “fratelli Mariano e Giovanni Battista Schultheis figli del fu Saverio, Enfiteuti perpetui del Convento di S. Salvatore della Corte, e del Monastero di San Silvestro in Capite”. Compare senza nome nella cartografia successiva (1839, 1845/52 e 1924).  L’edificio, rivolto a șud verso la valle Giulia faceva parte della villa Poggi (cfr. scheda A.3), era probabilmente una scuderia ed aveva una loggia che guardava la Valle Giulia.  Il Coffin (1979) riporta per questo edificio la descrizione del Boissard risalente agli anni attorno al 1560, che parla di una torre sovrastante l’edificio, decorata da due obelischi e una piramide, sulla quale poggiava un orologio su cui erano incise le direzioni dei venti.

A.2 Casale (angolo di via Ammannati con via dei Monti Parioli). “Casa con corte ad uso della vigna”, proprietà come sopra. Compare senza nome (dal 1839 al 1924). Agli anni 1957-58 risale la trasformazione a villino di proprietà Gomez su progetto di Federico Gorio. Il manufatto viene denominato Casa del Maresciallo.

A.3 Edificio principale di Villa Balestra (via Monti Parioli, 31). “Casa ad uso di villeggiatura”, proprietà come sopra. Compare senza nome (1839, 1845/52, 1868), menzionata come Villa Haig nel 1889 e nel 1891, nel 1924 senza nome. La planimetria del catasto Gregoriano presenta un giardino, con pozzo ed un altro giardino.  Si tratta dell’edificio principale compreso nella villa del cardinale Giovanni Poggio, tesoriere di Giulio III, che la acquistò il 24 Marzo 1541 da Pietro Ghinutius e Michelangelo Gosius, procuratori degli eredi di Sigismondo Chigi, e da Sulpizia, vedova di Sigismondo medesimo (villa Poggi). Per tutti gli anni 40 del ‘500 – come riportato dal Vasari – il nuovo proprietario pose mano ad un cospicuo programma di nobilitazione e riqualificazione della proprietà, affidando a Pellegrino Tibaldi la decorazione ad affresco del prospetto – oggi perduta – e quella della loggia ad ovest, prospiciente il Tevere e Monte Mario. Il dato naturale dell’orografia e del panorama veniva largamente enfatizzato, oltre che dall’orologio astronomico dell’edificio rivolto a Sud, verso valle Giulia (cfr. scheda A.1), dalla presenza di una loggia colonnata rivolta ad Ovest sul ciglio del dirupo, a contemplare la valle del Tevere e l’intero giro dell’orizzonte, da Monte Mario al Gianicolo alla vicina città. Questa loggia – non più esistente – doveva in origine appartenere alla villa Poggio, come riportato dal Vasari, che cita le decorazioni del Tibaldi al suo interno, su commissione del Poggio medesimo, Essa compare in un’incisione seicentesca del Falda alla sommità del monte, sovrastante la chiesa di Sant’Andrea del Vignola. Il manufatto è un volume cubico, animato sul prospetto a valle dal colonnato e serrato ai lati da due alte torrette, che il Tomassetti ritiene gli avanzi, ridotti a rudere, del recinto del convento e della chiesa di San Valentino – quest’ultima eretta da Giulio I in età tardo antica – ubicati in prossimità delle catacombe omonime, sulla pianura in prossimità della via Flaminia, e abbandonati a partire dal XIII secolo.
Il Merkle riporta’ la data di una importante cena di Giulio III con la sua corte alla villa Poggi in data 11 settembre 1550, assieme ad altre visite del Papa alla stessa villa tra la primavera e l’autunno di quell’anno. Queste ripetute occasioni spinsero probabilmente il Papa all’acquisto della proprietà, il 26 febbraio 1551, per l’ampliamento della villa Giulia. Sotto Giulio III – oltre ad alcuni lavori di ristrutturazione interna dell’edificio – gli spazi esterni di vigna e giardino furono radicalmente modificati, sotto il segno di una esplicita riscoperta dell’antico, della tradizione pagana degli horti aristocratici suburbani, attraverso l’utilizzo di sculture, frammenti e reperti dell’antichità classica. Dopo la confisca dei beni dei Del Monte operata da Paolo IV la villa pervenne, con lo scorporo dei medesimi sotto il papato di Pio IV, in proprietà nel 1562 al cardinale Giovanni de’ Medici, figlio del Duca di Firenze. Alla proprietà de’ Medici risale una planimetria secentesca, conservata all’archivio di Stato di Firenze, pubblicata dal Falk (1971) e ripresa dal Coffin (1979)7, da cui si evidenziano i vari edifici della vigna. Oltre al volume principale, affrescato dal Tibaldi, all’edificio verso valle Giulia e alla loggia, troviamo un edificio di servizio in prossimità della strada dell’Arco Oscuro – l’attuale Casa del Maresciallo (cfr. scheda A.2), un altro piccolo manufatto verso valle Giulia – la cinquecentesca casa del Curato, tuttora esistente sulla via Jacovacci e attribuita all’Ammannati e l’edificio composto da due volumi abbinati, separati da una corte interna e con giardino geometrico sul fronte posteriore, che compare sul Gregoriano come amministrato da Mons. Rivarola (cfr. scheda A.4). Questo casale e la striscia di terreno vignato ad esso retrostante, ai margini della tenuta e al confine con la tenuta del marchese Capponi – che passerà in eredità alla famiglia Cardelli nel 1746 (cfr. scheda A.6) – potrebbe venir identificato con la proprietà di Sancte Vitelleschi, acquistata da Giulio III. La tenuta del Cardinale De’ Medici è strutturata a percorsi intersecantisi ad angolo retto, con una zona a prato di adiacente all’edificio sul lato Sud, delimitata su tre lati da un muro – che il Boissard (1597) descrive adorno di iscrizionie rilievi, con una statua di Diana Efesina. Sempre accanto alla casa, a Ovest e a Nord, sono giardinetti murati da ogni parte, ad impianto geometrico a parterres. Il grosso della tenuta è a vigna, con un grande albero di olmo, disegnato nella pianta, all’incrocio di due degli assi, allineato col viale che conduce alla palazzina a Sud, ed una ragnaia di lecci per la caccia dei tordi, adiacente al percorso dell’odierna via Ammannati. A nord, verso il ciglio della rupe, è un’altra zona di giardino formale, probabilmente quella decorata dalla pergola sostenuta da sculture, molte delle quali raffiguranti filosofi Greci provenienti dalla villa Adriana di Tivoli. La villa era nel 1898 proprietà di Giuseppe Balestra. Negli anni Cinquanta venne lottizzata per gran parte della sua estensione. L’area residua venne destinata a parco pubblico. Definitivamente compromessa è la leggibilità dell’insieme originario: scomparsa la loggia sul Tevere, gli altri edifici sono oggi unità smembrate e isolate.

A.4 Casale Horto Asperula (via Monti Parioli, tra via Sebastiano Conca e via Ceracchi), costituito da due corpi edilizi separati da corte interna. “Casa ad uso della vigna con corte e pozzo”, e “casa per uso di villeggiatura con corte nella proprietà del “Patrimonio della chiara memoria Colonna gran Contestabile Filippo amministrato dall’E.mo Cardinale Agostino Rivarola”. Da identificare probabilmente con la vigna di Sancte Vitelleschi, acquistata da Giulio III nel 1553 ad ampliamento della sua vigna nel settore dei Parioli più distante dalla villa Giulia. Compare senza nome (1839, 1845 /52, 1868), nel 1889 è raffigurata la sola porzione di proprietà fra le due strade senza il manufatto, sempre senza nome nel 1924.

A.5 Casale Manni, poi Casale Cagiati, attualmente inglobato in parte nella villa Centurini, attuale Ambasciata di Bulgaria (ingresso da via Rubens 21).
“Casa con corte per uso della vigna”, nella proprietà di “Marconi Giuseppe Antonio q. (quondam) Marc’Antonio enfiteuta a terza generazione del barone Cassiani Passerini dell’Opera pia Cavalieri, amministrata dall’E.mo Cardinale Vicario, di Lolli Nicola, e Silvestri Giuseppe”. Compare senza nome (1839, 1845/52, 1868), nel 1889 senza l’edificio ma col toponimo Manni, nel 1891 senza nome, nel 1924 come proprietà Cagiati, con corpo di fabbrica ampliato e relativo giardino disegnato. Il manufatto viene fatto ampliare e modificare profondamente da Ignazio Centurini, esponente di spicco della Società dell’Acqua Pia antica Marcia su progetto di Guido Fiorini (1925-26). Sul fianco della villa Centurini è stata murata una lapide datata 1803 che ricorda i lavori qui condotti da Pio VII, che recita: PIUS VII P.M. / RUDERIBUS CIRCUM / EGESTIS / ARCUM RESTITUENDUM / ET MURO SEPIENDUM / CURAVIT AN. MDCCCIII. La lapide, che sovrasta un sarcofago, è inserita in un prospetto arcuato di mattoni, contrasta con gli altri prospetti intonacati dell’edificio, ma che ritroviamo nella sua zona alta, caratterizzata da un incastro di volumi turriti.

A.6 Villa Cardelli, già Vigna Capponi, oggi demolita e sostituita da altro manufatto (via Carlo Dolci), denominato Villa Serena. “Casa con corte ad uso della vigna”, ed altra con analoga denominazione, nella proprietà di “Cardelli Conte Alessandro q. Francesco”. Compare senza nome (1839 e 1868), e come Cardelli nel 1845 /52, 1889, 1891. La proprietà, in origine dei marchesi Capponi, alla morte di Alessandro Gregorio Capponi (1746) passa per mancanza di eredi diretti alla sorella di lui, Marianna, sposata ad Antonio Cardelli (1684-1750). Ai Cardelli essa rimase fino al 1906, quando venne venduta ai Fossati, che demolirono l’originario casino di vigna, frazionando la proprietà sulla quale vennero edificate varie ville signorili, tra gli anni ’10 e ’30. Sulla carta del 1924 compare infatti la villa di Titta Ruffo, opera di Giovanni Sleiter, e l’attuale villa Serena, denominata Fossati. Nell’area fu anche edificata la villa Castellani su progetto dell’ing. Arnaldo Mazzocchi (1912) e, nella seconda metà degli anni ’30, la villa Scribani, ad opera dell’architetto Gino Franzi.

A.7 Villa Dufour, poi proprietà Whitaker, col nome di Villa Evelina (via dei Monti Parioli). Casa con corte e pozzo per uso della vigna” nella proprietà di “Nicola Lorenzini q. (quondam) Giuseppe Enf. perpetuo del capitolo di S. Maria Maggiore, della Cappella Corsini in S. Giovanni in Laterano, del Monastero di S. Silvestro in Capite”.  Compare senza nome (1839, 1845/52, 1868), come Villa Dufour (1889, 1891 e 1924). La villa venne modificata attorno al 1900 da Carlo Busiri Vici. Il manufatto, all’interno di un vasto parco, esibisce un prospetto scandito da un ordine gigante di lesene, tagliate a conci orizzontali, ed è concluso in alto da una torretta. Al 1920 risale un progetto di massima’, non firmato, su committenza del proprietario, Giuseppe (C) Whitaker, concernente la lottizzazione dell’intera proprietà, nell’area tra il vicolo di Acqua Acetosa – ricalcato in questo tratto dal viale Bruno Buozzi, e la via dei Monti Parioli.  Compare il tracciato della futura via Gramsci, che taglia in due la lottizzazione, estesa su entrambi i suoi lati. Il progetto concerne l’ampliamento del casale originario a villa di rappresentanza – denominata villa Evelina – e l’articolazione di una vasta circostante zona a parco. Il resto della proprietà ospita diverse abitazioni isolate, ognuno con la propria porzione di parco. Di notevole interesse è l’impostazione degli spazi verdi, quale risulta dal foglio di progetto. Il giardino di villa Evelina și articola a diversi livelli, separati da un terrazzamento e collegati da una scalinata. L’impianto formale, di notevole interesse pur nel suo costituire un semplice studio di massima, costituisce una mediazione tra giardino formale, parco all’inglese, e giardino mediterraneo.  Ad un settore rettangolare a prato si affianca infatti, con la mediazione di una doppia rampa che colma il dislivello, un giardino formale, simmetricamente organizzato attorno a una zona mistilinea centrale.  Al gusto delle folies esotiche filtrate attraverso la cultura siciliana, forse riconducibile alle radici del committente – la famiglia Whitaker, di origine inglese, si era infatti stabilita nell’isola, impiantandovi una florida attività imprenditoriale – si ricollega il fantasioso perimetro di certe scalinate, e l’episodio del laghetto, un ampio invaso irregolare con al centro un’isola, collegata da ponti al giardino e dominata da un gazebo.

Percorso B:  Via della Rondinella

B.1. Primo tronco dalla via Flaminia al Tevere, passa sotto il Sasso di S. Giuliano, attraversa l’area pianeggiante dell’odierno Villaggio Olimpico, al di fuori dell’area dei Parioli in esame.

B.2. Secondo tronco, che si biforca in due tronchi ulteriori, il primo risale i Monti Parioli ricalcando il percorso di via San Valentino, il secondo, grosso modo ripreso dal viale Pilsudski e dalla via Guidobaldo dal Monte, arriva alla attuale piazza Euclide, che raccoglie la confluenza dei percorsi provenienti dai crinali (vicolo dell’Imperiolo e vicolo di Acquacetosa).

B2.1 Villa Bosio, poi Trezza, poi Elia, oggi villa Lusa (attuale Ambasciata del Portogallo presso la Santa Sede), Casa con corte ad uso di villeggiatura nella proprietà di “Tizzoni Giuseppe q. (quondam) Michele Enf. Perpetuo del Monastero di S. Silvestro in Capite di scudi 2.58”. Oltre a varie case “ad uso della vigna”, il Gregoriano indica un “giardino”, chiaramente rappresentato con il disegno all’italiana dei suoi viali. L’originario percorso d’ingresso in asse col manufatto era in posizione differente dall’attuale, e partiva dalla confluenza del vicolo della Rondinella – via di San Valentino – col vicolo dell’Arco Oscuro- via dei Monti Parioli- e proseguiva piegando ad angolo retto in direzione della villa. Parti di questo percorso sono state riutilizzate dai tracciati delle attuali vie Scalpellini, Fortis e Bacone. Compare senza nome (1839), come villa Brenda (1845/52, 1868), come villa Gaetani (1889, 1891), come villa Trezza (1924). La villa attuale sorge sul sito della villa dell’archeologo Bosio, per la quale rimandiamo alla specifica trattazione in questo volume. L’edificio preesistente venne radicalmente ristrutturato a partire dal 1921 su commissione del nuovo proprietario, il conte G. E. Elia. Autore riconosciuto dell’opera, secondo una consolidata tradizione storiografica, è Carlo Busiri Vici, di cui sono conservati nell’Archivio familiare i disegni di progetto. Al Busiri, su indicazione dei discendenti del proprietario, va attribuito anche un bel disegno del complesso, datato appunto 1921: Vi troviamo raffigurata la tenuta in tutta la sua estensione, che costeggiava un lungo tratto della via Archimede con ampie porzioni di campagna, e il settore a giardino formale raggruppato attorno alla casa, il cui disegno appare largamente coincidente con quanto realizzato. L’edificio realizzato ha il prospetto principale a volumi sfalsati, con la parte sinistra avanzata a contenere un profondo loggiato ad arcate al piano superiore, la zona centrale col portale d’ingresso aggettante e la parte destra alquanto arretrata rispetto alle altre. Sul prospetto verso il giardino e il bacino d’acqua il manufatto. presenta un impianto notevolmente più regolare, con ali laterali più basse e avanzate, unificate sul prospetto dal maestoso portico ad arcate del pianterreno, con balconata superiore, e zona centrale più alta e arretrata. L’attuale perimetro della proprietà è il recinto antistante, nel citato disegno del 1921, il piazzale di ghiaia di fronte al prospetto principale. Al di là di questo limite, nella porzione di campagna edificata nel secondo dopoguerra con la costruzione di un fitto fronte edificato sulla via Tortolini è raffigurato un ippodromo – attualmente distrutto – e al di là di esso, una costruzione non troppo grande con accesso separato da via San Valentino, corrispondente ad una delle case “per uso della vigna”. Il giardino formale attorno alla villa venne organizzato dal Busiri Vici nel riferimento alla tradizione del giardino all’italiana, mediato da influenze francesi, in episodi come il parterre ad arabeschi davanti al grande invaso d’acqua e da reminiscenze classiche e mediterranee, evidenti nella citazione “pompeiana” della scalinata a lato del piazzale d’ingresso, bordata da colonne isolate su cui s’innesta un pergolato. All’eterogeneità dei riferimenti si accompagna la ricchezza e la profusione materica dei dettagli, che va dall’accurato disegno dei viali, come “tessuti” dal contrasto coloristico dei ciottoli di fiume, alla presenza di arredi scultorei di grande estrosità, come per il divano di pietra, dalle pieghe finemente “scolpite”, all’interno della zona a bosco retrostante il giardino d’acqua, all’elaborata fattura di balaustre e ringhiere. Un’elaborazione altrettanto presente all’interno dell’edificio, nella lavorazione dei materiali – stucchi e decorazioni, come nella sala da ballo, pensata per l’alloggio di un’orchestra sopraelevata rispetto al piano di calpestio – sia per la loro intrinseca preziosità, come per le specchiature, realizzate in agata e rivolte sia all’esterno che all’interno, sovrastanti le finestre di uno dei saloni di rappresentanza. Una volta serrate totalmente le sottostanti aperture, il buio della sala si anima progressivamente del sottile chiarore proveniente dall’opaca superficie dell’agata, dove la materia sembra depositarsi con densità differenti, lasciando filtrare grumi di luce rarefatta o lampi verticali improvvisi attraverso le sue nervature. Nell’impostazione del complesso venne coinvolto anche Ugo Giovannozzi, progettista autore, fra l’altro, del palazzo della sede centrale dell’INA in via Sallustiana, presumibilmente dopo la morte del Busiri (1925). Agli anni tra il 1926 e il 1928 risalgono infatti alcuni suoi progetti, registrati negli Archivi comunali, per ampliamenti e restauri, per la costruzione del portale, del muro di cinta della proprietà, e l’ampliamento di un fabbricato accessorio”. Sembra accertata la sua paternità per il portale, che reca l’iscrizione celebrativa Horti Valentiniani e per il muro. La villa ospita attualmente l’Ambasciata del Portogallo presso la Santa Sede.

Percorso C:  Vicolo delle Tre Madonne

Nella descrizione il percorso è diviso in tre tronchi:

  • C1, il tronco principale, corrispondente all’attuale percorso di via Aldrovandi, via Tre Madonne, piazza Pitagora, via Bertoloni, via Paisiello, largo Spinelli, via Pinciana (all’altezza Casino di Grotta Pallotta)
  • C2, un tronco secondario, attuale percorso via Mangili, via De Notaris
  • C3, un tronco secondario, attuale percorso via di Villa Sacchetti, via Cirillo, via Taramelli

C1.1 Villa dei Tre Orologi (via Ulisse Aldrovandi, 25 all’angolo con la via dei Tre Orologi). Sul Catasto Gregoriano il manufatto viene indicato come “casa con corte ad uso di villeggiatura” (particella n.443). Esso presenta la caratteristica pianta ad L, che racchiude il giardino antistante. Poco distante dall’edificio principale, la mappa riporta un nucleo di manufatti agricoli non più esistenti, una “casa ad uso della vigna” (n.433) e una “casa con corte ad uso della vigna” (n.435), che racchiudono uno spazio esterno sul quale affacciano. La proprietà del complesso è dell’eredità del fu Piccaluga Marchese Francesco Maria, amministrata da Rampieri Agostino”. La vigna, nella quale troviamo altri manufatti minori e di servizio, si estendeva lungo il tronco secondario del vicolo delle Tre Madonne, attualmente denominato via di Villa Sacchetti, e confinava con la proprietà dei Gesuiti (Casale Riganti). Al limite della tenuta, sul sito dove oggi la via Domenico Cirillo si distacca da via di Villa Sacchetti, troviamo una “casa ad uso di delizia” (n. 438), raffigurata sul Catasto con una doppia rampa ad emiciclo, da cui parte un percorso in asse con il prospetto posteriore dell’edificio principale. L’edificio, tuttora conservato e visibile dalla strada, era con tutta evidenza un casino per il riposo ed il trattenimento. All’angolo tra la via di Villa Sacchetti e la via Ulisse Aldrovandi – il tronco principale (C1) del vicolo delle Tre Madonne mo anche un “Oratorio privato sotto il titolo di San Filippo Neri”, parimenti non individuabile all’interno dell’attuale proprietà. La villa compare nel 1839 senza nome, come villa Doria (1845/52, 1868), come Villa Gramigna (1889, 1891), e come Villa Tre Orologi nel 1924. Il casino principale, che il Tomassetti identifica come appartenuto a Carolus Vallius, compare in una veduta del Falda (1683) raffigurante il prospetto del casino Borghese visto a volo d’uccello. Sullo sfondo, sono raffigurati, a tratto sintetico e veloce, alcuni casini di vigna sulla collina dei Parioli. Pur nella sommarietà della raffigurazione, la villa è chiaramente riconoscibile per il prospetto ad L, col braccio ortogonale al prospetto principale che aggetta in direzione del riguardante. Al 1804 la villa risulta appartenere al Marchese Piccaluga, come risulta dalla mappa raffigurante la proprietà Santini, conservata nell’Archivio di Stato di Roma”. Nel corso del XIX secolo, la proprietà passa più volte di mano, come testimoniato dai Registri della Cancelleria del Censo: nel 1828 appartiene ai Doria Pamphili”, che la cedono in enfiteusi (1841) al conte Domenico Carletti”, da cui (1870) passa a Lucia Cavalieri e successivamente (1872) a Claudio Gramigna, da cui il citato toponimo. Dal 1885 al 1898 la tenuta appartiene a Domenico Orsini, duca di Gravina, ed è come appartenente all’Orsini che il Tomassetti la cita. Passa ad Artemisia Rocca (dal 1898 al 1903) 15, quindi ad Attilio Ambrosini fino al 1914, alla Società Industriale Transteverina, poi a Francesco Folonari (1921) e a Renato De Paolis (1925). Il De Paolis progetta alcune marginali modifiche del manufatto, consistenti nella costruzione di due bow-windows. La villa viene infine acquisita dalla S.A.R.I. e dai Parodi Delfino, che commissionano a Tullio Passarelli (1926) un radicale restauro del manufatto, includente anche il disegno del nuovo portale d’accesso sulla via Aldrovandi.
L’impianto originario del manufatto, come risulta dal prospetto dello stato esistente allegato al progetto di ricostruzione, evidenzia una compresenza di volumi cresciuti in epoche differenti, chiaramente distinguibili
ancorché aggregati. Si riconosce, alla destra del prospetto per chi guarda, un volume più basso, solcato da rade aperture irregolari al pianterreno, destinato forse a rimessa o magazzino, che esibisce al piano superiore una grande apertura centrale, definita da un ritmo di colonne incassate, che scandiscono le ampie stesure di parete piena, contraendo il loro interasse alle estremità per inquadrare due aperture minori equidistanti dalla precedente. La sottolineatura della cornice soprastante e una fascia bugnata verticale isolavano fisicamente questo volume dal resto della costruzione, ad esso aggregata, che lo inglobava parzialmente con l’aggiunta dell’ultimo piano che sovrastava la suddetta cornice, per tutta la lunghezza del prospetto. Questo secondo volume edilizio, scandito da un’alternanza di finte e vere aperture, si concludeva col volume – sezionato in prospetto – del basso corpo edilizio ortogonale aggettante. Di notevole interesse era la pianta del vano centrale: uno spazio rettangolare, il cui perimetro si articolava in una sequenza di segmenti di parete come “slittati”, forse destinati a ospitare decorazioni, busti o nicchie per statue. Il restauro del Passarelli costituisce un approfondito ridisegno del manufatto, che interviene sull’impianto preesistente, presumibilmente cinquecentesco, puntando a rifondere in un impianto unitario le irregolarità volumetriche dovute alle differenti fasi sviluppo dell’edificio. L’operazione viene condotta nel segno di un’amplificazione rappresentativa, che prende in prestito elementi della sintassi manierista e seicentesca. Questi sono evidenti nell’utilizzo del bugnato e nella costruzione dell’altana loggiata, alla sommità dell’asse e verticale – sottolineato dal nuovo orologio al centro del prospetto – che, iniziato dalla doppia rampa a emiciclo di accesso al portone e saldamente inquadrato dalle lesene laterali accoppiate – progettate ex novo dal Passarelli – identifica il fulcro compositivo della costruzione. Il corpo ortogonale al volume principale, molto più basso e dal carattere spiccatamente rurale, viene ampliato, innalzato e pareggiato in altezza con quest ultimo, decorato anch’esso con lesene al piano nobile e arcature bugnate al pianterreno, divenendone così una naturale prosecuzione, non più separata funzionalmente. Al 1927 risale un secondo progetto – sempre a firma di Passarelli – concernente l’erezione del muro di cinta e il restauro di un servizio, oggi portineria. Lo spazio esterno del giardino nel progetto del 1926 è a viali regolari, con parterres e fontana centrale, sostanzialmente conservato allo stato attuale. Il disegno di progetto sembra evidenziare verosimilmente una vasca-ninfeo, laterale rispetto ai parterres e ubicata al di sotto di un terrazzamento che introduce ad un livello superiore del giardino stesso. Il parco viene ridisegnato (1929-30) da Virgilio Marchi, architetto legato al movimento Futurista, che adotta un sofisticato schema a motivi di arabeschi e delfini, in omaggio alla committenza, con piazzali a perimetro mistilineo e lobato.

C1.2 Casale del Collegio Germanico, poi Villa Taverna (viale Rossini, angolo via Bertoloni). “Casa con corte ad uso di villeggiatura”. nella proprietà del “Colleggio Germanico Ungarico”, con edificio di servizio aggregato e ortogonale a questa. Nella tenuta troviamo un gruppo di quattro piccoli manufatti, pure di servizio, un “bosco ad uso di delizia” e un “pascolo ad uso di delizia”. Il bosco è in realtà il giardino, indicato con i viali intersecatisi ad angolo retto, ed un viale principale concluso da un’icona sullo sfondo, al confine con la proprietà Borghese. Compare senza nome ma con il giardino a quattro scomparti chiaramente indicato (1839), come Seminario Apollinare (1845/52, 1868 e in quest’ultima carta con il sistema dei viali ancora più esteso), senza nome nel 1889 (sempre con il giardino a viali regolari), sempre come Seminario Apollinare e il giardino (1891), senza nome nel 1924. La proprietà va identificata con la vigna concessa al Collegio Germanico da Gregorio XIII nella bolla “Quoniam collegium” emanata il 20 Novembre 1576, per il riposo e il recupero degli allievi affaticati dagli studi”. La vigna, denominata La Pariola, compre in una veduta a volo d’uccello conservata nel Catasto della Proprietà completa del Collegio germanico Ungarico e databile agli anni tra 1657 e 167120 che mostra l’edificio con la pianta ad L sormontato da altana. Non compare, in questa veduta, il corpo basso della rimessa, ortogonale al volume principale. Al 21 Giugno 1700 risale una “lettera patente” del Fondo della Presidenza delle strade, concernente la licenza “alli Rev. PP. Gesuiti del collegio Germanico nell’Apollinare, che possino far rompere in strada auanti alla loro Vigna posta fuori la Porta del Popolo nella strada passato il muro torto vic. Il Giardino dell’Ecc.mo Borghese, e che possino far fare il muro in Loco della fratta che serra di loro vigna da due bande, e farlo al filo delli muri di già fatti senza occupare, né prendere del publico, et il tutto farlo con l’assistenza del sig. Giacomo Moraldo Arch. e Sotto M.ro di d. Porta…”. Seguono le firme dei Maestri delle Strade. L’identificazione del sito, stante la contiguità col Giardino Borghese, è assai chiara: la vigna è l’attuale villa Taverna, e la licenza riguarda la demolizione della siepe e il completamento dei muri già esistenti, senza occupazione di suolo pubblico. Con la soppressione dell’Ordine dei Gesuiti (1773) la vigna passerà al collegio di S. Apollinare. Nel 1921 il nuovo proprietario, il conte Ludovico Taverna, commissiona a Carlo Busiri Vici il restauro e la ricostruzione del
manufatto”. Oltre ai lavori nel corpo principale, il Busiri interverrà trasformando in volume abitabile la bassa rimessa allungata.
Attualmente la villa è la residenza dell’Ambasciatore degli USA.

C.1.3 Casale a cavallo del vicolo delle Tre Madonne (attuale via Paisiello) e del vicolo di San Filippo (via Emilio de’ Cavalieri) – demolito. “Casa con corte per uso della vigna” nella proprietà di “Tourlij Luigi di Luigi Enf.(iteuta) perpetuo de’ Canonici Regolari in S.Pietro in Vincoli”. Compare senza nome (1839, 1868, 1924).

C1.4 Casale sul vicolo delle Tre Madonne (attuale via Paisiello) – demolito.
“Casa con corte per uso della vigna” nella proprietà di “Raimondi Serafino q. (quondam) Giuseppe”. Compare senza nome (1839, 1845 /52, 1868, 1891, 1924). Va forse collegato con la vigna Raimondi che troviamo in una lettera patente della Presidenza delle Strade, in data 8 Aprile 1693 (23): tuttavia l’ubicazione di quest’ultima, posta in relazione nel testo con la tenuta dell’Abbate Scarlatti, fa supporre che si tratti di due vigne diverse, appartenute in tempi diversi alla stessa famiglia. La lettera patente riguarda la concessione di una licenza “all’Il.mo Marchese Raimondi far fare il muro di fratta alla sua vigna posta fuori di Porta Pinciana e Porta Salaria passate le Tre Madonne, suc. (il termine non è chiaro, ma lascia intendere una sorta di contiguità spaziale, ndr) quella del sig. Abbate Scarlatti, e farlo in luogo dove è al p.nte (presente, ndr) la fratta senza prendere sito pub.co (ndr. pubblico) in larghezza di canne cinquantadue principiando dal muro di fratta della vigna della Borgnia e seguitando per dove termina la sua Vigna, il tutto da farsi con l’assistenza del Franc. Ant. Bufalini …” Compare la firma di “Fr. Ant. Bufalini architetto”, unitamente a quelle di M. Vecchiarelli e G. Bussi come Maestri delle Strade. Si richiede dunque di far rifare la siepe di recinzione già esistente, partendo da quella della vigna attigua.

C1. 5 Casale molto allungato (sul percorso della via Paisiello, tra via Carissimi e via Porpora – demolito. “Casa con corte e grotta per uso della vigna” nella proprietà dei “PP. Carmelitani scalzi (sic) in S. Maria della Vittoria”. Compare senza nome (1839, 1845 /52, 1891, 1924).

C2.1 Casale Ginnasi, poi denominato Villa Tre Madonne, attualmente Ambasciata belga presso la Santa Sede (via De Notaris 4-6). “Casa con corte e pozzo ad uso della vigna” nella proprietà di “Ginnasi conte Francesco, ed Annibale fratelli q. (quondam) Alessandro”. La mappa del Gregoriano evidenzia due edifici, uno allungato sulla strada, l’altro ortogonale ad essa con corte e piccola vasca. Compare senza nome (1839, 1845 /52, 1868), nel 189l come casale Cartoni, nel 1924 senza nome. Il Fondo della Presidenza delle Strade contiene una richiesta di Gian Domenico Transi, verosimile proprietario della vigna, in data 6 Aprile 1695 (24), di poter far fare un muro dove “al presente” è la fratta – ossia una siepe di arbusti. Tale fratta cinge la sua vigna “situata incontro a quella di Mons. Ill.mo Vescovo Greco passato le Tre Madonne”. Il riferimento alla località e quello al Vescovo Greco lasciano supporre che la vigna in questione sia quella di fronte al “Colleggio Greco” (C2.2). Il nuovo muro inizia dalla “smorza” del muro incontro il Casino del Vescovo e seguitando fino al Cancello e Portone della sua Vigna (di Transi), di modo che a alla “smorza” del muro sia larga palmi venti e mezzo, e da “cima” del suo Portone resti larga Palmi venticinque “come al presente si trova, senza far angolo di veruna sorte né prendere sito del pubblico”. Si tratta dell’erezione di un tratto di muro, da quello già esistente al Portone della Vigna, da rettificare razionalmente senza occupazione di suolo pubblico. La vigna è menzionata come proprietà Ginnasi già nel 1735, quando il Valesio (V, 755) la cita per un fatto di sangue ivi commesso il 24 Gennaio 1735: l’omicidio a scopo di rapina di un ragazzo, lasciato a guardia della proprietà dai contadini della tenuta, venuti a Roma per assistere alle solenni esequie della regina d’Inghilterra. La proprietà passa negli anni ’20 a Roffredo Caetani di Sermoneta, che commissioेna a Pietro Aschieri (1926) la ricostruzione in villa dei manufatti. L’Aschieri propone la costruzione di un nuovo manufatto, in cui la suggestione delle influenze centro-europee e viennesi è chiaramente leggibile nell’utilizzo dei materiali, sentiti come tessuto” e rivestimento applicato, indagato nelle proprie intrinseche qualità materiche e coloristiche a connotare superfici ormai neutre o appena rilevate. Al suo progetto, accantonato dal committente, verrà preferita una successiva proposta di Carlo Broggi (1929) (26), La villa, passata in proprietà (1938) a Lord Berkeley, ospita oggi l’Ambasciata Belga presso il Vaticano.

C2.2 Casali del Collegio Greco – demoliti. Si tratta di due edifici, entrambi rubricati come “casa per uso della vigna” nella proprietà del “Colleggio Greco”. Il primo fronteggiava i due edifici della proprietà Ginnasi, sul sito dell’attuale Hotel Lord Byron. Il secondo, assai allungato, era lungo il percorso del vicolo, in prossimità dell’attuale piazza Don Minzoni. Compare il solo corpo allungato senza nome (1839, 1845 /52, 1868, 1891) e 1924 (entrambi i manufatti). Gregorio XIII aveva concesso nel 1576 ai credenti di rito Greco la chiesa di S. Atanasio – detta dei Greci – come specifico luogo di culto. Questa circostanza va collegata alla concessione da parte del Pontefice nello stesso anno 1576 di una concessione di una vigna in località la Pariola ai PP. Gesuiti, dove troveremo sia il casale dei medesimi Padri – poi proprietà Santini e Riganti – sia il casale del Collegio Germanico (cfr. Cl.2). La coincidenza temporale nei due eventi porta ad ipotizzare al medesimo torno di tempo lo stabilirsi di una vigna, con relativi casini, di proprietà del collegio Greco nella medesima area suburbana.

C2.3 Vigna Porta – demolita. “Casa ad uso della vigna” nella proprietà di “Porta Carlo di Pasquale Enfiteuta perpetuo delle Monache benedettine in S. Maria in Campo Marzio e delle Monache in S. Silvestro in Capite” ubicata nell’area fra le attuali via Mangili e via Michele Mercati. Il toponimo Porta compare nel 1845 /52 e 1868, ma sul sito della villa indicata come Bonadies dal Catasto Gregoriano (cfr. scheda C3.1).

C2.4 Vigna Modetti – esistente, ristrutturata. “Casa con corte ad uso di villeggiatura” nella proprietà di “Modetti Gio. Battista q. Carlo”, ubicata all’interno dell’attale via Aldrovandi, fra via Mangili e l’area di Valle Giulia, alle spalle della Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Compare come villa Binini (1845/52, 1868), e senza nome (1891, 1924). Il casale, attualmente ristrutturato, è un edificio alto e massiccio all’interno di una zona a parco, sviluppato attorno a un nucleo centrale, un volume irregolare con tetto a spioventi, che si eleva parzialmente sul resto della costruzione. La condizione attuale del manufatto, abitazione privata e non visitabile, non permette di stabilıre se tale zona centrale della costruzione sia residuo di un originario impianto turrito o frutto di una superfetazione recente.

C3.1 Villa Bonadies – demolita. Il tronco secondario del vicolo delle tre Madonne che dà accesso a questa proprieta ricalca il percorso delle attuali via di Villa Sacchetti, via Cirillo e via Taramelli. Il sito del giardino e della villa va identificato in fondo a quest’ultima strada, in area totalmente edificata a palazzine. Complesso articolato in diversi edifici destinati alla produzione, alla rappresentanza e al culto, da quello padronale – “casa con corte ad uso di villeggiatura” – con adiacente una “casa ad uso della vigna”, all”oratorio privato sotto il titolo di S. Filippo Neri”, quindi un’altra “casa con corte e pozzo ad uso della vigna, e una casa con corte ad uso di pollaio” nella proprietà del “Marchese Filippo q. (quondam) Ipolito Enf. (iteuta) perpetuo del Monastero di S. Silvestro in Capite”. Compare nel 1839 senza nome, 1845 /52 e 1868 col nome di vigna Porta, 1889 col nome di vigna Vigneti, 1891 col nome di Villa Sacchetti, 1924 senza nome ma col giardino rotondo, il viale d’accesso a via di Acquacetosa e il percorso di crinale in asse con l’edificio ancora chiaramente raffigurati. Il carattere di residenza signorile e di “villeggiatura” della vigna viene esaltato dalla presenza del giardino: uno spazio raffigurato sul Gregoriano a pianta rotonda, su cui affaccia il volume dell’edificio principale, che asseconda ed accoglie nel suo perimetro arcuato lo svolgimento del giardino medesimo, con adiacente uno degli edifici di servizio. Nella forzata essenzialità di una raffigurazione catastale compaiono modalità di costruzione spaziale e di relazione anche visuale tra volumi, accessi e percorsi pertinenti e assimilabili alla tipologia della villa, in una destinazione in cui la componente “rustica” e produttiva assume, qui, un ruolo prevalente. Attorno alla “casa di villeggiatura” si dispone tutto un’ ordinamento, una costruzione a sistema dello spazio circostante: dal giardino di svago e delizia, sul quale si modella l’edificio, al terrazzo con la doppia rampa di scale sul prospetto posteriore, collegato al sistema dei percorsi interni alla vigna. Parallelo alla rampa è il percorso di accesso al tronco della viadi Acquacetosa – attuale via Civinini – che si apre su quest’ultima con un piazzale d’invito a emiciclo, costituendo nella sua esplicita assialità il probabile ingresso più rappresentativo, rispetto all’irregolare e sinuoso percorso “tra vigne” del vicolo delle Tre Madonne. Mentre in asse al prospetto posteriore è il percorso di crinale, che si dirigeva verso la zona indicata dal Gregoriano come “boschina mista cedua” per concludersi in un altro giardino anch’esso rotondo. Il bosco è l’unica zona conservata dopo l’edificazione a palazzine lungo la via Micheli.

Percorso D
Vicolo dell’Imperiolo

D.1 Vigna dei Gesuiti, poi vigna Santini e casale Riganti. Ubicato in via Bertoloni, sul tracciato dell’antico vicolo dell’Imperiolo, l’originario tronco della Salaria vetus, il manufatto tuttora esistente è il casino nobile superstite di un complesso agricolo, parte distrutto parte radicalmente rimaneggiato nei primi decenni del ‘900. Sottostanti il complesso sono le catacombe di Sant’Ermete, ripetutamente esplorate dal Bosio a partire dal 1608. Sul Catasto Gregoriano la proprietà, appartenente ai “Padri Gesuiti”, si compone di una casa con corte e pozzo ad uso di dilizia” (rubricata come particella n.319), e di una “casa con corte ad uso della vigna” (particella n.320). Queste particelle catastali descrivono in realtà un complesso di tre edifici articolati attorno a una corte quadrata, chiusa da un muro sul quarto lato, cui si accede da un cancello al centro del muro medesimo. Più specificamente, la casa “di dilizia” comprende il casino nobile tuttora esistente, ubicato a destra della corte, e l’edificio sul fondo ortogonale ad esso, oggi distrutto. Mentre la casa “ad uso della vigna” include la casa del vignarolo e la cappella privata, ubicate all’interno del manufatto posto a sinistra della detta corte. Adiacente a questo nucleo, il Gregoriano menziona una “casa con corte ad uso di tinello e fienile” (n.321), in realtà due corpi edilizi, di cui uno allungato sul vicolo dell’Imperiolo e l’altro parallelo all’interno. Questi manufatti si trovano di fronte alla “casa con corte ad uso della vigna” della proprietà di Raffaele De Antonj al di là della strada, e compongono con questa un “paesaggio murato”, animato da quinte edilizie movimentate e irregolari, che sul vicolo si allargano in una sorta di spiazzo. Oltre a questo gruppo di manufatti, che costituisce il fulcro della tenuta, troviamo un altro piccolo gruppo di costruzioni, ubicate lungo il vicolo dell’Imperiolo, più o meno all’altezza del viale d’ingresso alla villa del Monticello, alla confluenza di via Bertoloni con via Denza e via Barnaba Oriani. Si tratta di tre edifici, aggregati con due corti, rubricati come “casa con corte e porzo ad uso della vigna” (n.322). Da questo nucleo costruito, troviamo un asse diritto in direzione del sottostante declivio, indicato sulla mappa esplicitamente come “prospettiva”. Esso si interrompe, senza ulteriori sviluppi, facendo supporre una sua funzione di inquadramento panoramico di qualche paesaggio o architettura, in direzione della cità lontana. Poco oltre, sul tratto del vicolo dell’Imperiolo che ricalca l’antico clivus cucumeris – attuale via Denza – troviamo un’altra “casa ad uso della vigna” (n. 323), anch’essa demolita, come il precedente gruppo di manufatti. All’estremità opposta della vigna, confinante col diverticolo delle Tre Madonne adiacente alla villa Bonadies – sul sito più o meno di viale Bruno Buozzi – troviamo un’altra “casa ad uso della vigna” (n. 317), cancellata come le altre dall’espansione moderna. Resta san piccolo manufatto, definito come sito coperto bottino ove passa l’acqua di Trevi” (n. 318), ubicato dunque in corrispondenza dell’acquedotto Vergine che traversava la vigna, lungo il viale d’acceso al nucleo principale della temuta, che partiva dal cancello al bivio tra vicolo dell’Imperiolo e vicolo delle Tre Madonne – attuale piazza Pitagora – per arrivare allo spiazzo esterno il muro che racchiudeva gli adifici e la corte. La vigna compare senza nome nel 1839, come Gesuiti nel i845/52 e nel 1868, gli edifici non risultano disegnati nel 1889, nel 1891 come Venerabile Collegio Austro Ungarico, come Collegio Germanico nel 1924. La prima notizia concernente l’area in epoca moderna riguarda la concessione da parte di Gregorio XIII (1576) della vigna denominata La Pariola alla Compagnia di Gesù (27). Allo stato attuale, non risulta accertato il perimetro di questa donazione: i Gesuiti possedevano nella zona, oltre a quella in esame, anche la contigua vigna, denominata appunto col toponimo La Pariola, posta al di là del vicolo delle Tre Madonne, il cui edificio principale costituirà il nucleo della Villa Taverna, frutto di un radicale restauro operato a partire dal 1921 (cfr. scheda C1.2). Sembra tuttavia verosimile ipotizzare alla stessa data del 1576 o al periodo immediatamente successivo sia la costruzione del nucleo edilizio principale, sia la presa di possesso della vigna da parte della Compagnia. Dal Tomassetti abbiamo infatti notizia sui rapporti, talvolta conflittuali, intercorsi pochi decenni dopo tra il Bosio e i Gesuiti effettuate dall’archeologo nelle catacombe di S. Ermete. L’edificazione del casino Nobile, e quindi probabilmente dell’intero nucleo edilizio principale e della corte, sembra avvalorare una costruzione ex novo o una globale ricostruzione nella seconda metà del ‘500, in concomitanza dunque col verosimile insediamento della Compagnia. Il Casino presenta infatti una successione di arcate al piano terreno e a quello superiore, oggi murate., che nella snellezza delle proporzioni ha portato la critica a formulare un’ascendenza e una matrice formale alla ricerca di Martino Longhi il Vecchio e del Peruzzi (28). Nella sua veste attuale, il Casino si presenta notevolmente alterato e rimaneggiato, per l’aggiunta di un piano, e la ristrutturazione di gusto neo-seicentesco, operata nella prima metà del “900, visibile nell’aggiunta degli ovali nelle arcate del piano superiore. L’edificio è aggregato al volume emergente della torretta, anch’essa modificata dall’aggiunta di un’ala sovrastante il resto dell’edificio, e conclusa da un’altana alla sommità. Alla data del 1576 va anche collegata la creazione da parte di Gregorio XIII di significative istituzioni religiose, come il Collegio Germanico Ungarico e il Collegio Greco, dal Papa affidate all’amministrazione dei Gesuiti. La vigna della Pariola, poi Taverna, passerà al Collegio Germanico nel 1773, con l’incameramento dei beni della Compagnia, e come appartenente al medesimo Collegio figura sul Gregoriano (cfr. scheda C1.2). Mentre troviamo la vigna del Collegio Greco sul tronco laterale del vicolo delle Tre Madonne (cfr. scheda C2.2), Viene dunque spontaneo ipotizzare la concessione alla Compagnia – simultanea o comunque in tempi ravvicinati di una cospicua dotazione di vigne suburbane sulla collina dei Parioli. Nel Fondo della Presidenza delle Strade (29) è conservato un documento, datato 26 Aprile 1695, concernente una licenza ai Gesuiti del Collegio Romano di allineamento del muro “di fratta” (il muro di alberi e arbusti) ad un loro nuovo edificio in costruzione. L’indicazione del destinatario della licenza – il Collegio Romano, ubicato “fuori Porta Pinciana, in località di Pariolo -, confrontata ad altra licenza, concessa pochi anni dopo (1700) al Collegio Germanico – del quale è indicata precisamente l’ubicazione, contigua al “Giardino Borghese”- indica chiaramente due differenti vigne, legate entrambe alla Compagnia di Gesù, e porta ad identificare quella del Collegio romano con la vigna Santini, poi Riganti. La licenza riguarda la “Concessione … alli Rev.di P. Gesuiti del Colleggio Romano di poter demolire il muro di fratta che recinge la loro vigna dove vogliono fabricare, e quello rifare con ponersi a filo detta (di detta vigna, ndr) posta fuori di Porta Pinciana in luogo detto In Pariolo, il tutto doveranno far fare con l’assistenza del Sig. Francesco Antonio Bufalini e per esso del Sig. Ludovico Gregorini Architetto…” Seguono le firme del Bufalini, del Gregorini, dei Maestri delle Strade M. Ricci e Gregorio Patriarca e del notaio A. Orsini. La demolizione della siepe è causata quindi da una nuova costruzione, terminata la quale la recinzione vegetale verrà ripristinata. E lecito ipotizzare che la nuova fabbrica, posta al confine della vigna, sia uno dei corpi edilizi posti sul vicolo dell’Imperiolo. Escludendo il casino nobile, i cui caratteri architettonici sono evidentemente cinquecenteschi, l’edificio potrebbe essere o l’edificio sul fondo della corte – opposto al muro che la recinge – che si affaccia sul vicolo con tutto il prospetto posteriore, o l’altro edificio di servizio – dei due affiancati fra loro e contigui a quelli della corte – pure contiguo al vicolo. La citata soppressione della Compagnia di Gesù (1773) aprirà per la vigna dell’Imperiolo un periodo dell’interregno, già concluso all’epoca del Gregoriano con la completa reintegrazione dei beni della Compagnia operata da Pio VII nel 1814. E a questa fase, in certo senso “intermedia”, che risale un importante documento, datato al 1804, e concernente una perizia agrimensoria della vigna Santini: Caterina Dumortier Santini è infatti menzionata come proprietaria della vigna a quella data. La perizia è di eccezionale importanza per la restituzione di un complesso spaziale e architettonico, che unisce alla connotazione produttiva quella estetico-rappresentativa di residenza nobile “minore”. Lo spaccato delineato dalla descrizione è estremamente eloquente in merito alla contaminazione involontaria tra realtà utilitaria e sua trasposizione culturale, nei termini di un preciso “stile di  vita”. Il motivo della perizia è la soddisfazione del debito contratto, per conto di Caterina Dumortier Santini, da Ulisse Pentini nei confronti di Gerardo Groen. Questi intende rivalersi con due porzioni di vigna e a tal scopo l’agrimensore incaricato in data 13 Gennaio 1804, Giovanni Gabrielli, effettua una perizia della medesima. La perizia esamina con precisione estrema spazi esterni e fabbriche della vigna, fornendo un’accurata descrizione della quantità e dello stato delle specie arboree, del tipo e della qualità delle coltivazioni, e passa quindi ad analizzare i manufatti, la qualità e la funzione degli spazi, il grado di decorazione e abbellimento che possono ricoprire in relazione alla loro funzione, per arrivare ad un puntuale elenco dei cosiddetti stigli, ossia le suppellettili, sia profane – gli attrezzi della vigna – che sacre – arredi e decorazioni ubicati nella cappella. Il documento è corredato da una mappa, raffigurante la proprietà con le varie pezzature a vigna e coltivazione in essa comprese e separatamente numerate. L’ingresso principale non è sul vicolo dell’Imperiolo, cui i manufatti volgono le spalle, ma alla confluenza del vicolo dell’Imperiolo con vicolo delle Tre Madonne, sul sito odierno di piazza Pitagora. Lungo il viale d’accesso agli edifici “esistono lateralmente due spalliere di bosso, come anche all’intorno delle Fabbriche, in tutto di estensione Canna cento ottantaquattro. La pianta della tenuta riporta, oltre al viale principale suddetto che dal bivio tra i due vicoli arriva tangenzialmente al casino, un secondo viale più interno alla vigna, ad esso più o meno parallelo, menzionato come Viale del Cocchio (o della Pergola), ed il viale che dal muro del cortile si allontana perpendicolarmente agli altri due. La vigna possiede “centotrentotto alberi da frutta”, e il Casino nobile è ornato “addosso la facciata” da “una pianta di lustrati che forma spalliera verso mezzogiorno, che valuto scudi quattro. La parete del Casino rivolta ad Oriente allinea “sei piante di Melangoli forti piccoli”. Lungo il vicolo – denominato “vicolo de’ Monti Parioli” – esiste “un cocchio di albori alti di mediocre grossezza”. Davanti all’ingresso alla corte interna esiste un “Cocchio (pergolato, ndr) formato da Numero diecisette grosse viti di uva scelta, guarnito di legnami con tessitura di canna, e sostenuto da Numero trenta Pilastri di muro, larghi, e grossi palmi due, alti palmi orto…”. Sono menzionati i “seditori”, ossia i sedili in pietra di questo cocchio, “con le coltellate di conci di marmo statuario”. Il pergolato è pavimentato per tutta la sua estensione di “bastardoni in calce con numero Diecinove Cordonate di Travertino”. Completata la stima dei terreni, il Gabrielli passa a descrivere i manufatti, le “Fabriche”, iniziando con i due Portoni. Il primo, ubicato “nell’angolo del muro de’ due Vicoli”, descritto minutamente nel suo corredo di serramenti, e il secondo, “situato nel muro sul vicolo de’ Monti Parioli al lato del fienile presso le Fabbriche” – ossia sul vicolo dell’Imperiolo. Dopo la descrizione di alcuni piccoli manufatti – grotte per il vino, caserte, ponti in muratura – il Gabrielli passa a descrivere le fabbriche: il complesso delle tre racchiuse attorno al cortile muraro, e le altre due – Tinello e fienile – “che rimangono separate”. Il perito non descrive l’altro gruppo di manufatti di servizio, comparente sul Gregoriano di fronte all’ingresso della vigna del Monticello. Questa assenza porterebbe a ritenere che tali edifici siano stati eretti negli anni successivi alla perizia e anteriori alla stesura del Catasto. Il casino Nobile, a destra del cortile, si compone “di un sotterraneo, di un pianterreno., di un altro piano superiore, di una soffitta, e di altra stanza detta la Specula”. Quest’ultima è ubicata “nella sommità della Torre”,e non va escluso che servisse per osservazioni scientifiche o astronomiche, data la tradizione di studi in tal senso da parte della Compagnia di Gesù. La scala a lumaca che dà accesso al sotterraneo seguendo a scendere passa alle catacombe”. Il pianterreno si compone da “cinque stanze soffittate e dipinte, una delle quali serve ad uso di Anticamera, l’altra, o sia la seconda serve ad uso di Galleria, la terza serve ad altri usi, la quarta serve ad uso di Guardaroba; e la quinta, con suo camino di marmo serve ad uso di Sala”. Il secondo piano, di sei stanze, si compone di Anticamera e tre camere tutte dipinte con Fregi, c Zoccoli”. La soffitta di due camere e “due soffite morte”. La “Fabrica a sinistra del Cortile” è oggi profondamente ristrutturata e aggregata ad un adiacente corpo edilizio: l’originaro volume, alterato da superfetazioni, è a stento leggibile. Si componeva di tre piani, “uno terreno e due superiori. Al pianterreno erano tre stanzini di servizio, e la stanza del vignaralo. Nello stesso edificio era la Sagrestia, la “Chiesa pubblica” e una stalla. Al secondo piano sono due stanze, una piccola, l’altra grande per il vignaiolo, e al terzo piano altre due, “per uso de’ lavoranti”. La “terza fabbrica”, opposta al muro del cortile, e oggi completamente distrutta, era a due piani. Al pianterreno, aveva un corridoio coperto, una rimessa per le carrozze, una “Stalla capace di nove cavalli”, e un’altra stanza, “la quale in passato ha servito di Galleria per i Stucchi, che vi esistevano”. Il Gabrielli aveva in precedenza accennato a questo ambiente, ricordando come “in addietro” fosse usato come “Accademia”. Resta aperta dunque la suggestiva ipotesi di uno spazio per discussioni, declamazioni e rappresentazioni: una sorta di concentrato otium villereccio, sul modello delle raffinate residenze principesche.
La succinta descrizione del Tinello e del Fienile non aggiunge nulla alla complessità e al fascino di questo insediamento. Della tenuta possediamo una pianta ulteriore, datata 1828, che testimonia il ritorno della proprietà alla Compagnia. Successivamente il complesso viene acquistato dalla famiglia Riganti, imprenditori proprietari della conceria insediata all’interno del giardino della villa Poniatowski, e al periodo fra le due guerre risale la demolizione o la radicale alterazione dei manufatti, con la sola eccezione del Casino nobile, peraltro pesantemente ristrutturato.

D.2 Vigna De Antonj (ubicata lungo le attuali via Bertoloni e piazza Pitagora). Si compone di due edifici, “casa con corte ad uso della vigna” e “casa con corte ad uso di villeggiatura” nella proprietà di “De Antonj Raffaele q. (quondam) Giovan Battista Enf. (enfiteuta) perpetuo di S. Maria in via Lata, e di Fantoni Domenico canonico prete. Compare senza nome (1839, 1845 /52), nel 1868 col nome di vigna Zuchi, nel 1889 come vigna Migliani (presumibile corruzione del toponimo Emiliani), e di nuovo senza nome nel 1891 e nel 1924. In quest’ultima pianta l’area retrostante l’edificio padronale presenta il disegno a giardino formale di un’area approssimativamente quadrata, con al centro un piazzale rotondo bordato di aiuole. L’edificio produttivo e di servizio fronteggiava sul vicolo dell’Imperiolo il casale dei Gesuiti, ed è attualmente demolito. La casa di villeggiatura venne ampiamente rimaneggiata e trasformata in villino attorno al 1924, data riportata su uno dei due portali d’ingresso, mentre l’altro portale reca l’iscrizione SOLI DEO GLORIA. L’impianto del manufatto è riconducibile ad un gusto eclettico, nell’adozione di partiti decorativi di gusto neo-barocco – i timpani delicatamente incurvati delle aperture di via Bertoloni, fra loro raccordati dal fastigio a motivo di conchiglia – alternati a suggestioni di gusto classicista, leggibili nella sequenza della triplice apertura arcuata al secondo piano, nel disegno a conci di bugnato dei partiti verticali che inquadrano il portone centrale al pianterreno, pure bugnato, nelle finestre e nei portali.

D3 Villa il Monticello, Fassini, Pisa. Il Tomassetti cita il toponimo Monticellum o Monticello, menzionato sui documenti già nel 1400 e nel 1458 per indicare il limitato settore dei Parioli sovrastante la via Flaminia. Occorre supporre che il toponimo si estendesse a buona parte dell’area in esame, perché a partire dal Gregoriano e nella cartografia successiva troviamo indicato come Monticello o anche Osteria del Monticello il complesso di edifici alla sommità della collina percorsa dal vicolo dell’Imperiolo, fra la valle del vicolo di Acquacetosa e il graduale declivio su cui alla fine Ottocento sarà tracciato il viale dei Parioli.  Sul Gregoriano la futura villa Pisa è rubricata come “casa con corte ad uso di delizia” (particella n.330), ed è aggregata con due “case con corte ad uso della vigna” (nn.331 e 332), contigue al casino principale. Più distante sorge un gruppo di manufatti di servizio, una “casa ad uso di tinello” (n.333), una “casa diruta” (n.334), una “casa con corte ad uso di fienile” (n.335) aggregati ad una piccola corte comune, sul sito tra l’odierna via Barnaba Oriani e il viale dei Parioli, oggi non più esistenti. Un altro casale, pure demolito (“casa ad uso della vigna”, n.329), era all’imbocco del viale d’ingresso al complesso principale sul vicolo dell’Imperiolo, di fronte al gruppo dei tre manufatti di servizio secondari (n.322) della vigna Riganti (cfr, alla scheda relativa). All’interno della tenuta, nella vallata in declivio oggi approssimativamente ubicata dalle vie Fauro e Castellini, troviamo indicato un “bosco di delizia” (n.328), probabilmente destinato alla caccia. La proprietà della vigna è di “Monsignor Giuseppe Bartolomeo Mennocchio q. (quondam) Angelo Enfiteuta perpetuo “dell’Abbadia di S. Lorenzo fuori le Mura. Compare senza nome nel 1839, come S. Agostino nel 1845/52, 1868, 1889 e 1891, come Il Monticello nel 1924. Nel 1845/52 e nel 1868 compare la denominazione di Casino, riferita verosimilmente all’edificio all’imbocco del viale d’ingresso. Il complesso edilizio principale, al centro di una proprietà delimitata dal tracciato della via Barnaba Oriani – tracciata negli anni ’20- e della via Francesco Denza – sovrapposizione moderna del clivus cucumeris – attraversa un processo di riqualificazione “rappresentativa” analogo a quello di villa dei tre Orologi, di Villa Taverna, del Casale già De Antonj, trasformate in residenze pregiate esclusive, “ville di città” all’interno dell’urbanizzazione borghese fra il 1918 e il 1928. Al 1924 risale un progetto di restauro e ricostruzione del casino principale ad opera di Carlo Busiri Vici su richiesta del proprietario, il Barone Alberto Fassini. Il restauro del Busiri Vici alla villa del Monticello ha il suo nucleo forse più significativo nel grande cortile quadrato porticato, immaginato sul prospetto a monte, cui si accede dal vecchio percorso sul vicolo dell’Imperiolo. Si tratta di uno spazio, aggregato all’edificio e interamente circondato dalla sequenza dei portici, che filtrano su tre lati lo spazio aperto circostante, al di sopra dei quali corre un terrazzo panoramico per tutta la loro lunghezza. L’interessante soluzione spaziale sembra richiamarsi ad un’ideale di fusione e rispecchiamento fra paesaggio e architettura, ridotta a puro schermo, proprio di tutto un filone di ricerca del barocco romano e più generalmente “mediterraneo”. Sul prospetto a valle il Busiri organizza un immagine di tono decisamente aulico, nel richiamo allo schema del palazzo cinquecentesco. Mancando i disegni dello stato preesistente del manufatto, risulta difficile valutare per questa parte dell’edificio l’originalità del suo apporto. La morte del progettista (1925) deve aver comportato una sospensione e un ripensamento dei lavori, perché troviamo nel 1928 un progetto, a firma di Filippo Cosimi, per una palazzina destinata al personale di servizio sulla via Barnaba Oriani, realizzata e attualmente destinata a portineria dell’ambasciata Svizzera che ha sede nella villa. Tra il progetto del Busiri e il progetto del Cosimi, si collocano una serie di fotografie, non firmate né datate, raffiguranti il manufatto e il suo intorno, e due accurati disegni di progetto del giardino, di cui uno del 1927 e il secondo, che introduce diverse modificazioni, col timbro del 1928. I disegni costituiscono un’interessante elaborazione dei vari filoni e apporti culturali del giardino italiano, accostati e come centrifugati in una composizione unitaria, che si offre come il concentrato, in termini spaziali, di tutta una secolare riflessione sul tema dello spazio aperto costruito. Va sottolineato come il giardino della villa, all’epoca della redazione dei progetti, forse assai più grande dell’attuale, costeggiando lungo tutto il suo percorso la via Barnaba Oriani, non ancora amputato nella sua estensione dalla successiva apertura della via Paolo Frisi, che ha comportato l’isolamento e la lottizzazione negli  anni Trenta di una sua grossa parte. Il progetto del giardino organizza lo spazio esterno in ambiti funzionalmente separati, ad ognuno dei quali corrisponde una precisa immagine formale, culturalmente filtrata, dello spazıo esterno. Cosi il viale d’accesso, bordato da simmetrici vialetti laterali paralleli che scende dal prospetto a valle verso la via Barnaba Oriani – oggi distrutto dal succitato taglio della via Frisi – è un po’ il fulcro ordinatore della composizione, concluso nel progetto del 1927 da un imponente ingresso sulla via Barnaba Oriani con spiazzo semicircolare ad invito e doppia rampa che conclude i vialetti costeggiando l’emiciclo, nel richiamo esplicito all’assialità, risolta a scala quasi territoriale, delle grandi dimore manieriste e barocche della Campagna romana. Ad una contaminazione tra antichità classica e cultura manierista e seicentesca si ricollega l’altro piazzale, non distante dall’ingresso tuttora conservato presso la palazzina del Cosimi su via Oriani, che nella pianta anch’essa ad emiciclo scandita da regolari e profondi nicchioni sembra richiamare la cultura delle grotte e delle mostre d’acqua, che ritroviamo a Frascati nei ninfei delle ville Tuscolane, o la preziosità di gusto quasi piranesiano, che frantuma la classicità nella casistica di spazi minutamente plasmati ed elaborati. Ai temi del giardino-orto – destinato alla produzione di piante officinali – e del frutteto, cari alla tradizione medievale si riallaccia la sistemazione del versante occidentale della villa, che guarda in direzione della zona dei Monti Parioli e di villa Balestra. In questo settore un viale, tangenziale al prospetto a valle del corpo principale, ripartisce uno spazio a riquadri regolari, dei quali vengono minutamente indicate le relative piante.  Nella zona più distante dai manufatti sono collocati gli spazi sportivi e per lo svago, all’interno di un contesto spaziale “naturale” e non disegnato. Il secondo studio, datato 1928 riprende, con alcune marginali modificazioni, l’impianto del disegno succitato. Viene spontaneo domandarsi quale sia il ruolo del Busiri e quale quello del Cosimi nell’elaborazione del giardino stesso, se cioè vi sia un apporto del Busiri – morto nel 1925 – alla progettazione dello spazio esterno. Una riflessione di natura progettuale porterebbe ad avvalorare questa seconda ipotesi. La riscoperta del giardino storico italiano e la sua interpretazione attualizzata costituiscono infatti un importante background della pratica professionale di Carlo Busiri. Proprio in quegli anni infatti egli interviene a ridisegnare il giardino formale di villa Elia, nel richiamo alla solennità barocca – il maestoso invaso d’acqua -e alla classicità mediterranea – il viale pergolato sostenuto da colonne tronche. Cosi come il Busiri interviene nella vigna della Pariola, acquistata dal conte Taverna, caratterizzata dal piccolo giardino adiacente alla casa, e nel casino di Grotta Pallotta, la propria residenza, dove si impegna in una globale interpretazione dell’architettura e del giardino retrostante. La complessità e l’articolazione del progetto di giardino per villa Pisa fanno dunque propendere per un contributo del Busiri. Più complesso si presenta il discorso per le foro del manufatto. E verosimile pensare che il Cosimi, oltre alla progettazione della palazzina, sia subentrato concretamente nella conclusione dei lavori di restauro dell’edificio principale. Tale ipotesi è avvalorata dalla foto del prospetto a monte, visibile per chi arriva dall’originario viale d’ingresso comparente sul Gregoriano, La foto mostra un prospetto risolto in modo alquanto convenzionale, che non conserva traccia della sistemazione porticata del Busiri. E dunque verosimile ipotizzare che l’immagine sia immediatamente successiva alla fine dei lavori, e che testimoni niente più che il mestiere di un professionista corretto. Mentre la fotografia di scorcio del prospetto a valle – in realtà la facciata realmente rappresentativa – evidenzia l’impianto del viale, già tracciato con le aiuole laterali e i due piccoli controviali pedonali, bordato di vasi di limoni. Se si ipotizza che il progetto del giardino, ascrivibile al Busiri, sia stato realizzato dal Cosimi – come testimonia il secondo foglio datato Novembre 1928 -, allora anche questa foto sarebbe stata scattata durante i lavori condotti dal Cosimi. Mancando, come si è detto, un riscontro con lo stato preesistente del manufatto, non è facile determinare se il prospetto a valle della fotografia fosse ancora nel suo stato originale o già restaurato. Tuttavia, l’immagine mostra a fianco del manufatto, a destra di chi guarda, un curioso spezzone di muro, una sorta di rudere interrotto allineato al prospetto. E verosimile ipotizzare che esso sia il lacerto di un agglomeratoedilizio preesistente, conservato a mò di testimonianza o reperto. La fotografia mostrerebbe dunque già conclusi i lavori sia del giardino che della casa, ed è infatti verosimile una parallela conduzione di entrambi da parte del progettista. Il prospetto raffigurato mostra una notevole somiglianza con quello progettato dal Busiri, ed è dunque probabile che il Cosimi abbia accolto, in linca di massima, l’impianto proposto suo predecessore. Certamente coeva alla precedente, un’altra foto mostra il viale del giardino di erbe officinali, con sullo sfondo il panorama dei Parioli, ancora campagna punteggiata di radi casali, con qua e là le prime edificazioni. La palazzina del portiere riprende, la tipologia del casale rurale con torre colombaia. Al centro della costruzione si alza un piccolo volume turrito. Il trattamento dei prospetti alterna specchiature murarie a lesene appena rilevate sulla superficie. Il progetto del 1928, a firma Soc. An. Immobiliare TEA e non più a nome di Alberto Fassini, non permette di supporre quando la proprietà della villa sia passata alla famiglia Pisa. Il nuovo proprietario, legato al mondo degli affari, la tenne comunque per pochi anni, fino alla morte per suicidio. La villa fu poi acquistata dallo Stato Svizzero, che la destinò a sede della propria rappresentanza diplomatica. Ridotta come si è detto di molta della sua estensione, anche per la costruzione entro i suoi margini, di varie palazzine, villa Pisa presenta oggi per la sua gran parte un prato all’inglese. Una parte a giardino formale sopravvive, assai limitata, nel settore destinato a orto e frutteto, cui si accede da uno spiazzo rotondo con leggere strutture pergolate.

Percorso E:  Vicolo di Acquacetosa

E.1 Casale Toschi Tiberi, poi Villa Fiammingo. Corrisponde approssimativamente alla villa ubicata al n. 117/a di viale Parioli. “Casa per uso della vigna” di “Toschi Tiberi contessa Lucia q. (quondam) Giacomo Enf. (iteuta) perpetua dell’Abbadia di S. Lorenzo fuori le Mura”. Compare senza nome (1839, 1889, 1924). Adiacente al n. 117/a è la villa Fiammingo (1929), con indirizzo viale Parioli 117, che occupa il versante settentrionale della collina dei Parioli prospiciente la fonte dell’Acquacetosa. La proprietà, sfuggita all’edificazione, costituisce un significativo frammento superstite di campagna romana all’interno della città compatta novecentesca. Paesaggio in senso proprio, dunque, da tutelare nella sua integrità, leggibile nel suggestivo rapporto tra orografia – la collina, il cui declivio segna quasi tangibilmente il limite fisico del quartiere – e natura – il compatto manto di pini che introduce nel continuum edilizio la dimensione evocativa del panorama. Il sito della villa compare nel catasto Gregoriano nella proprietà Toschi Tiberi. La Villa Fiammingo è attualmente proprietà privata e non visitabile: risulta pertanto problematico verificarne l’assetto e la sistemazione attuale. La documentazione reperita concerne un progetto del 1929-35, significativo per la figura dell’autore, l’architetto Vincenzo Moraldi, cui si deve nel primo quindicennio del ‘900 il restauro e la ricostruzione dei manufatti della villa Abamelek sull’Aurelia Antica. Nella lettera di accompagnamento al progetto, l’onorevole Giuseppe M. Fiammingo sottolinea come l’ampliamento previsto non pregiudichi la circostante proprietà, data la notevole estensione di quest’ultima, e sottolinea come una delle nuove sale sia destinata ad accogliere la sua pinacoteca. Lo scrivente chiede di poter riprendere i lavori di costruzione, rimasti interrotti da circa tre anni. Nel concludere il suo scritto, il Fiammingo cita la sua proprietà col nome di villa Alpi. II progetto del Moraldi risulta sicuramente realizzato e tuttora esistente almeno in parte, per quanto riguarda il cancello d’ingresso sul viale, che l’architetto immaginava inquadrato da quattro pilastri, a due a due collegati da una parete muraria, ciascuno sormontato da un’aquila di pietra, che nella coppia di pilastri interni, contigui al cancello, era scolpita rivolta verso l’interno, e in quella dei pilastri esterni guardava all’esterno in direzioni opposte. Il manufatto realizzato è una versione semplificata del progetto, con due soli pilastri –i più interni, contigui al cancello – e le aquile che guardano in direzioni opposte. Sembra perciò verosimile che l’edificio sia stato realizzato conformemente ai disegni del progettista, anche se nulla può dirsi in merito alla sua presente configurazione. Esso sorge a mezza costa del colle, in posizione interna al termine di un viale d’accesso. Il progetto del Moraldi costituisce l’ampliamento di un preesistente villino, cui si aggrega, costituendo con quest’ultimo un volume fortemente sviluppato in lunghezza. Come per altri illustri esempi di ville “suburbane” costruite dopo la prima guerra mondiale sulla collina dei Parioli, da villa Taverna, a Villa Elia, a Villa Pisa, a villa dei Tre Orologi, al casale Riganti, al casino della vigna già De Antonj in via Bertoloni 24, l’intervento del progettista consiste in una rifusione e “nobilitazione” moderna, adatta ad una rappresentatività urbana e non più rurale, di un manufatto storico preesistente a carattere comunque aulico, villereccio, anche se alla scala di vigna. L’intervento a Villa Fiammingo è significativo per più di un aspetto: tipologicamente, il Moraldi sembra richiamarsi al casino di caccia barocco e settecentesco, nel delineare un volume di estensione limitata, caratterizzato da una enfilade di ambienti intercomunicanti, senza gerarchie o raggruppamenti funzionali: due spazi principali, mediati fra loro dallo stretto atrio d’ingresso, ad essi ortogonale nella direzione della profondità e raccordati al volume preesistente da un’ analogo spazio parallelo all’atrio, che ospita il corpo scala. Il nuovo edificio, a due piani, è caratterizzato al livello superiore da un loggiato a tre arcate secondo la spezzata poligonale del bow-window che conclude il manufatto sul lato corto. I disegni in pianta con lo spazio della sala, esteso per tutta la lunghezza con la triplice finestratura in corrispondenza delle arcate e la sequenza di aperture sui lati lunghi, sembrano contrastare col disegno, fortemente chiaroscurato, delle stesse arcate viste in prospetto: uno spazio vuoto, che sembra espandersi in profondità come una loggia aperta. Gli stretti volumi dell’atrio d’ingresso e del corpo scala, incastrati tra i due corpi allungati e il casale esistente, configurano un volume complesso, che richiama la tradizione storica del padiglione di svago e del casino di campagna destinato a pranzi e brevi trattenimenti. Il sapore eminentemente massivo, quasi turrito, proprio di tante costruzioni cinque-seicentesche concresciute su fondamenta e volumi antichi o medievali, viene ripreso nel trattamento del piano terreno: una superficie scabra, continua, leggermente inclinata a scarpa sul declivio, appena scavata da rade finestre. Al livello superiore, il trattamento delle superfici è improntato ad una eleganza di sapore quasi rococò, evidente nel graficismo delle lesene appena rilevate del primo piano, che ripartiscono la parete concludendosi in alto con un’arcata, pure questa sottilmente disegnata sullo sfondo. Al medesimo gusto di citazione preziosa ed elaborata appartiene il disegno mistilineo delle finestre al sottotetto, il trattamento delle cornici delle finestre al primo piano, l’uso dell’arco ribassato per il portone d’ingresso, e la balaustra alla sommità che collega le due metà del nuovo edificio. L’evocazione di un barocco “minimale”, sentito come codice di articolazione e ordinamento dell’organismo architettonico, semplificato e allusivo nel disegno e nelle membrature, ritorna nell’altra, importante opera romana del Moraldi: il restauro del casino nobile di Villa Abamelek, ma sopratutto la sistemazione del casale agricolo allungato all’interno del parco e la costruzione del Casino delle Muse (Salone da Ballo). Nel prospetto col nicchione ospitante la statua di Cerere, ridisegnato dal Moraldi a conclusione del casale allungato, compare il medesimo trattamento a lesene accoppiate a scandire e unificare la superficie, che ritroviamo sul prospetto del Casino delle Muse. Per la Villa Fiammingo esiste un progetto di parziale demolizione e ricostruzione presentato ne! 1958 dall’ing. Parboni e successivamente modificato a più riprese tra 1958 e
1959.

E.2 Villa Glori. II parco pubblico con questo nome si estende su un’area che nel catasto Gregoriano appare frazionata in due vigne, rispettivamente di proprietà Rossi Vaccari e Bertagna. Nella prima troviamo una “casa per uso della vigna con corte e pozzo”, “casa con corte ad uso della vigna”, “casa ad uso di fienile” nella proprietà di “Rossi Vaccari Giuseppe q. Gio. Battista”. E questa la proprietà che include l’antico casale della Vigna Glori, già menzionato dall’Eschinardi e successivamente rimaneggiato. Pertinente alla seconda vigna è una “casa con corte ad uso della vigna”, la proprietà è di “Bertagna Filippo q. Domenico Enf. Perpetuo della sud.a Abbazia” (il brogliardo si riferisce a S. Lorenzo fuori le Mura, ndr). Compare senza nome (1839), come San Giuliano (1845/52, 1868), e come villa Glori (1891 e 1924). Il toponimo “saxum in mollarico” compare in un documento del 1197, citato dal Tomassetti”, che lo pone in relazione al vicino Ponte Milvio, detto anche Ponte Molle, e in un altro del 1570, che cita il vicolo a man dritta che va al Sasso, verosimilmente il tronco a valle del vicolo della Rondinella, che si diparte a destra della via Flaminia. Il Sasso va dunque identificato per lo studioso con la rupe denominata Sassi di S. Giuliano – da cui il toponimo nella cartografia ottocentesca – rivestita di una folta vegetazione, e demolita a scopo speculativo nel 1894. L’area, di proprietà Glori nel 1867 è legata alla battaglia svoltasi sui terreni della vigna fra truppe pontificie e patrioti italiani, capitanati dai fratelli Enrico e Giovanni Cairoli. Il sacrificio di questi ultimi venne ricordato nel giardino pubblico, progettato da Raffaele de Vico nel 1923, con l’erezione dell’altare commemorativo. Una precedente sistemazione (1895) aveva visto il tracciamento di un percorso sulla collina fino al mandorlo sotto cui fu adagiato Enrico Cairoli morente”. Al De Vico si deve l’impostazione dei viali e la piantumazione di pini, ulivi, lecci in quello che fu denominato Parco della Rimembranza. Nell’area vennero successivamente realizzati una Colonia estiva e un edificio scolastico: la Colonia ospita attualmente una casa-famiglia per l’assistenza a persone ammalate di AIDS. Legata a questa struttura è l’iniziativa, curata dal critico d’arte Daniela Fonti, che raccoglie opere di artisti contemporanei ambientate nel parco e nel paesaggio circostante, dal titolo Varcare la soglia.

Percorso F:  Vicolo di San Filippo

F.1 Vigna Masucci (viale Romania 7-13, all’angolo con via Locchi). Sequenza di edifici allungati sul vicolo di San Filippo (l’attuale viale Romania), rubricati come “casa con corte ad uso della vigna” e “casa ad uso di fienili” nella proprietà di “Masucci (o Massucci?) Giovanni q. (quondam) Ignazio Enf. (enfiteuta) perpetuo del Capitolo di S. Maria in via Lata, e de’ canonici regolari di S. Pietro in Vincoli”. Compare senza nome (1839, 1845 /52, 1868, 1924). Complesso tuttora esistente di edifici ristrutturati ad ospitare negozi e abitazioni.

F.2 Villa Altieri-De Heritz (viale Romania). L’edificio è l’attuale Istituto delle Suore dell’Assunzione, al quale è stato aggregato nel secondo dopoguerra l’edificio dell’omonima scuola. La tenuta si estendeva dal vicolo di San Filippo fino alla via Salaria”. “Casa con corte ad uso di villeggiatura” nella proprietà di Biondi Paolo Q. (quondam) Francesco Enfiteuta perpetuo de’ SS. di S. Maria in Via, di Altieri P.pe Paluzzo e di Scotti Cristoforo”. Sparse nella tenuta sono indicate varie case “ad uso della vigna”. Una seconda “casa con corte ad uso di villeggiatura” si trovava lungo la via Salaria, sul sito occupato dall’edificio della villa Grazioli. Era la villa Simonetti, dal nome dell’inquilino che l’aveva in affitto dalla famiglia Biondi. Adiacente alla villa Biondi, in origine proprietà della casa Altieri, troviamo sempre sulla Salaria la vigna, con relativa “casa con corte ad uso di villeggiatura” nella proprietà di Ottaviano Carozzi Lecce Q. (quondam) Michele enfiteuta perpetuo di Altieri Principe di Palazzo di scudi 146,43 e del Monastero delle Benedettine di S. Pietro in Montefiascone di scudi 10. E’ questa Villa Lecce, in cui sono compresi anche un “bosco di delizia” e un giardino”. La villa Lecce si estendeva sulla Salaria, tra la villa Simonetti – all’altezza dell’odierna via Bruxelles – e la villa Potenziani, oggi villa Ada-Savoia. Le due ville, Biondi e Lecce, la prima con ulteriore enfiteusi e relativo Casino nobile concesso al Simonetti, sono complessivamente appartenenti alla proprietà della Casa Altieri. La villa Biondi compare senza nome (1839, 1845/52, 1868), come villa Smith (1889, 1891), come villa De Heriz (1924). La zona della vigna Simonetti compare come villa Fontana (1845/52, 1868), come villa Grazioli (1889, 1924), come villa Smith (1891). La Villa Lecce compare senza nome (1839, 1889, 1891, 1924), come Lecci (1845/52, 1868). La villa Biondi come risulta da una mappa del 1920 (40) aggrega vigne differenti, quella denominata “di Digne” ove sorge il casino padronale, la vigna del Napoletano – attuale area della chiesa di S. Roberto Bellarmino – la vigna del Facocchio – tra la via Lima e la via dei Canneti – e la suddetta vigna Simonetti – area dell’attuale villa Grazioli. Alla morte di Paolo Biondi (1836) la proprietà passa alle figlie, che la cedono (1839) a Sisto Riario Sforza. Questi acquista (1846) anche la villa Lecce. Le due ville appartengono nel 1878 conte Giovanni Campbell Smith de Heritz, e nello stesso anno viene scorporata dalla proprietà la vigna Simonetti, ceduta ad Adamo Colonna e nucleo della futura villa Grazioli, la cui edificazione comportò la demolizione del casino Simonetti. Non è chiaro fino a quando, sullo sfondo dei successivi avvicendamenti enfiteutici, la casa Altieri abbia mantenuto la proprietà del fondo. La villa, registrata dalla cartografia come Smith o de Heriz, appartiene nel 1919 alla Società Generale Immobiliare, che stipula una convenzione (1928) col Comune per la costruzione di un quartiere residenziale di pregio, costruito nel decennio successivo lungo le vie Panama, Lisbona, Lima e Bruxelles. Al 1929 risale la ricostruzione del casino di Digne – attuale Istituto dell’Assunzione – ad opera di G. B. Milani che nell’adozione del nicchione centrale sembra richiamarsi esplicitamente al distrutto casino della villa Sacchetti al Pigneto, opera di Pietro da Cortona. La villa Lecce, attualmente esistente lungo la Salaria, è stata restaurata secondo un analogo gusto secentista.

F.3 Casale Paparozzi (piazza Bligny– via Mafalda di Savoia, 2). “Casa con corte ad uso di villeggiatura” e “casa con corte ad uso della vigna” nella prietà di “Paparozzi Pietro q. (quondam) Domenico Enfiteuta perpetuo di Masini Pietro Paolo”. Compare nel 1839 senza nome, nel 1845/52 e nel 1868 senza l’edificio ma col toponimo di vigna Paparozzi, nel 1889 come casale Mellani, nel 1891 e nel 1924 senza nome. L’edificio di villeggiatura è l’attuale caserma dei Carabinieri a p.za Bligny. Nel Catasto Gregoriano compare con un prospetto sul filo stradale e due ali simmetriche laterali arretrate che determinano sul prospetto posteriore un volume a C.

F.4 Vigna del Grillo Scarlatti (via Mafalda di Savoia e via di San Filippo Martire). L’edificio, tuttora esistente, ospita attualmente un istituto religioso ed è ubicato lungo la via Mafalda di Savoia – già tratto di via San Filippo Martire – di fronte all’ingresso della Villa Polissena. Sul catasto Gregoriano (1819) è rubricato come “casale di villeggiatura con corte e pozzo” (n. 37), affiancato da “casa con corte per uso della vigna” (n. 38) nella proprietà di “M.se Virginio Del Grillo Scarlatti q. (quondam) Onofrio Enfiteuta Perpetuo dell’Abbadia di S. Lorenzo fuori le Mura”. Il n. 36 è un “oratorio privato sotto il titolo di S. Filippo” ubicato in corrispondenza dell’attuale via Salvini e non più esistente. Compare nel 1839 e nel 1868 senza nome, nel 1889, 1891 e 1924 come S. Filippo. L’amministrazione della vigna è conservata in un corpus di documenti nelle carte dell’Archivio Scarlatti, all’interno dell’archivio Capranica, per gli anni tra il 1674 e il 1715, secondo una successione non continuativa (42). Si tratta di registri di uscite e di entrate, che riportano dettagliatamente il computo dei lavori di ordinaria coltivazione, manutenzione, piantumazione nella tenuta, unitamente al commercio dei beni prodotti. Possediamo per gli anni 1674, 1675, 1678 e 1715 una sequenza di album chiamati Stracciafoglio della Vigna, che negli anni 1679, 1684, 1685 cambiano denominazione in Giornale della Vigna. Al 1714 troviamo un Libretto di spese per la vigna. Dalle note assai scarne contenute in singoli fogli sparsi e inseriti, apprendiamo che la proprietà Scarlatti si componeva della vigna di Pariolo – l’area in esame, sul sito delle attuali via Salvini, via Adelaide Ristori, via Duse – e di altro prato in località Acquacetosa. Per la vigna gli Scarlatti pagavano un canone all’Abbadia di S. Lorenzo fuori le Mura, come risulta da due note, datate 1685 e 1714, che riportano rispettivamente la cifra di scudi 29,45 e di scudi 31,95. L’immagine di quella che era una tipica vigna romana emerge dalla puntuale, analitica descrizione delle singoli voci di spesa, da alcuni squarci che illuminano la trama e l’ordinamento dei suoi spazi esterni. Alla nota del Marzo 1674 compaiono i lavori di piantumazione di una cospicua varietà di essenze arboree e vegetali: “piantare alcuni cipressi e rimettere alcuni celsi”. C’e poi un conto di scudi 24,20 per un complesso di lavori affidati a Franceschino Romancllo piantarolo, consistenti nel piantare 236 piante “di arbori di viti, 800 piante di allori, … 46 piante di cipressi. Alle essenze destinate alla coltivazione e al commercio si affiancano così alberature, come lauri e cipressi, tipiche della villa di delizia. Le cronache del Valesio riportano la vigna di Pariolo per due ricevimenti. Il primo, un pranzo offerto dall’abbate Scarlatti – Pompeo Scarlatti, menzionato nella nota del canone del 1685. Domenica 6 Ottobre 1701 per “la camera segreta di N.S., che gode le vacanze” (Valesio, I, 525). Il secondo Lunedì 20 Marzo 1702 dopo il matrimonio del Barone Scarlatti con “l’unica figliola di Gaetano degl’Annibali” (Valesio, II, 114). All’inizio del ‘900 la vigna era proprietà Felicetti. La denominazione di Villa Felicetti compare sul portone d’ingresso dell’edificio principale in via Mafalda di Savoia. Quest’ultimo è un volume assai sobrio, allungato di fianco alla strada ad assecondarne la curvatura con l’irregolarità del proprio perimetro, secondo una tipologia di casale rustico assai comune nel suburbio romano, che traduce nell’unitarietà del prospetto la frammentazione, quasi per gemmazione “organica”, delle successive fasi di sviluppo e accrescimento proprie dell’edilizia premoderna. Nella sua veste attuale, il casino Scarlatti è frutto di pesanti rimaneggiamenti moderni, a malapena leggibili sul prospetto interno dalla via Salvini: un ritmo di piatte, anonime lesene limitate al livello inferiore, e al piano superiore, il probabile rialzamento dell’intero edificio. Un piccolo giardino, residuo dell’originaria estensione, sopravvive tra il medesimo prospetto e la strada succitata. Esso è quanto rimane della vigna, lottizzata dopo il 1920 dalla famiglia Felicetti per la costruzione del quartiere di villini e palazzine tra via Salvini, via Ristori, via Duse, via Morelli e via Bellotti Bon. Un’espansione edilizia in più di un caso condotta dalla medesima famiglia Felicetti, committente e costruttrice di vari edifici nella zona. Su piazza Bligny, adiacente al sito del demolito oratorio, troviamo un cancello d’ingresso alla vigna, probabilmente ascrivibile ai primi decenni del ‘900, con la denominazione di villa San Filippo, scavato da nicchie semicircolari nelle pareti murarie che lo delimitano, Questo manufatto giace isolato dal resto della proprietà, per la costruzione nel secondo dopoguerra di una palazzina – adiacente all’edificio principale – che ne costituisce il fondale.

F5 Vigna Fischer (attuale via di San Filippo Martire altezza via Petrolini) – demolita. Casa con corte per uso della vigna” nella proprietà di “Fischer Francesco e Fischer Antonelli Clementina q. (quondam) Pietro, fratello e Sorella, Enf. (enfiteuti) della Sud. (suddetta) Abbazia” (S. Lorenzo fuori le Mura, di cui è enfiteuta il marchese Del Grillo Scarlatti, contiguo a questa vigna, ndr). Compare senza nome (1839, 1868), nel 1889 senza l’edificio ma col toponimo di vigna Catalucci, nel 1891 con l’edificio e sempre come vigna Catalucci.

F6 Vigna Laboureur (all’interno dell’attuale perimetro di Villa Ada, altezza via Petrolini – via G. Pezzana). Casa ad uso della vigna” e “casa con corte e pozzo per uso della vigna” nella proprietà di “Laboureur Francesco q. (quondam) Massimiliano Enf. (enfiteuta) perpetuo di Altieri Principe Paluzzo, della Chiesa della Madonna di Costantinopoli, del Capitolo di S. Giovanni in Laterano”. Compare senza nome (1889, 1891, 1924).

Percorso G – Vicolo di Schateau

G.I Vigna Du Chateau (ubicata lungo il vicolo nel tratto dell’odierna via di Villa Emiliani, a sinistra procedendo in direzione del piazza delle Muse).
“Casa diruta” e “casa con corte ad uso della vigna” nella proprietà del “Colleggio di S. Roberto a S. Maria Maggiore amministrato dal Du Chateau Giacomo Enea, Enf. Perpetuo dell’Abbadia di S. Lorenzo fuori le Mura”. Compare senza nome (1839), nel 1845/52 e nel 1868 come vigna Orsanelli, nel 1889 senza nome, nel 1891 come vigna Migliani (probabile corruzione del cognome Emiliani), 1924 come villa Filonardi. L’edificio, è stato demolito intorno al 1957.

G.2 Vigna dei Beni francesi – demolita (al termine del vicolo, nell’area tra la via Ermete Novelli e piazza delle Muse). “Casa ad uso della vigna” nella proprietà del “Convento de SS. Minimi della SS. Trinità de’ Monti sotto la Reggia Amministrazione de’ Pii ristabilimenti Ecclesiastici Francesi Livellarj dell’Abbazia di S. Lorenzo fuori le Mura”. Compare senza nome (1839, 1889, 1891, 1924), nel 1845/52 e nel 1868 come vigna Angeli. La vigna presenta un bosco dolce ad uso di delizia, una striscia di terreno stretta e allungata, non distante dal dirupo boscoso di piazza delle Muse, probabilmente destinata a caccia o diporto.

Percorso H:  Via Salaria

H.I Villa Buratti.
Il casino della Villa, al n.159 della via Salaria, è occupato dalla Scuola media Vittorio Alfieri. “Casa con corte ad uso di villeggiatura” nella proprietà di “Conti Costantino q. (quondam) Giovanni enfiteuta perpetuo de SS. Domenicani, de’ SS. Servi di Maria in S. Marcello, e de’ SS. Paolotti in S. Andrea delle Fratte”. Compare senza nome (1839, 1891), come villa Celbo o Celbra (1845/52, 1868), nel 1924 col solo edificio all’interno dell’area edificata. La proprietà si trova lungo la Salaria, con accesso dal vicolo di grotta Pallotta, oggi non più esistente – l’antica via Nomentana riportata dalla pianta del Bufalini- che partiva dall’omonimo casino sulla via Pinciana per raggiungere con una curva a gomito la via consolare. All’altezza della curva, un viale d’accesso conduceva ad un edificio di servizio per la vigna – distrutto – all’interno di quest’ultima. Il fondo della Presidenza delle Strade riporta per questa villa una richiesta di lavori, probabilmente l’erezione di un nuovo cancello, datata 16 Giugno 1700 (43): “Conced.(iamo) lic(enza) a Mons.e Ill.mo e Rev.mo Buratti, che possi far rompere in strada auanti al cancello della sua vigna posta fuori di Porta Pinciana, e mettere in opera le brine sopra il fondamento vecchio con il suo aggetto fuori dal vivo del muro messo primo che apparino stipiti a d.o Cancello, il tutto da farsi con l’assistenza di … Francesco Massari arch.to dep.to di d.a Porta data li 16 Giugno 1700”. Segue la firma del Massari, dei Maestri di strade, Giovanni Battista Nari e Francesco Maria Ottieri e del notaio Orsini. L’ubicazione della villa, ricostruibile dalla descrizione dell’Eschinardi, è identificabile dalla descrizione del Valesio (VI, 423) che parla di una visita del Pontefice in forma privata alla “vigna Gavotti a Grotta Pallotta” Domenica 18 Dicembre 1740, dalla quale passeggið fino alla contigua vigna di Monsignor De Rossi, appunto il casino di Grotta Pallotta. La Villa era dunque a quella data di proprietà Gavotti. Il Tomassetti“ parla dei ritrovamenti avvenuti nella vigna Buratti, già Gavotti nel ‘600. Il seicentesco casino della Villa Buratti risulta leggibile nei suoi caratteri architettonici, nel ritmo delle sue aperture, con cornici rilevate dal disegno “orecchiato” alla sommità, nelle linee del suo aggraziato portale su strada, mutilato della voluta sinistra per il taglio della via traversa. Tuttavia completamente alterato è il rapporto con l’intorno: scomparsa la vigna, all’edificio si è addizionato il pesante volume edilizio, tardo ottocentesco, che ospita il plesso scolastico. Il portale, da portale di vigna, è divenuto portone d’ingresso del nuovo edificio, introducente ad un corridoio coperto, nel generale ampliamento della cubatura.

H.2 Villa Amici – demolita.
Ubicata lungo la via Salaria, tra le odierne vie Yser e via di Villa Grazioli.
“Casa con corte e pozzo ad uso di villeggiatura nella proprietà di “Lepri Cristiano q. Salvatore”. Compare senza nome (1839, 1891), nel 1845 /52 e nel 1868 come vigna Brekerade, nel 1924 senza nome ma notevolmente ampliata in pianta da aggregazioni ed aggiunte. Viene riportata come vigna Amici in una del 1810, conservata nella collezione Disegni e Mappe dell’Archivio di Stato di Roma. L’edificio raffigurato in questo documento presenta una doppia rampa a tenaglia nella facciata verso il giardino, intelaiata dal reticolo delle lesene verticali e della fascia marcapiano. Queste scompongono la continuità del prospetto articolandolo in settori murari, ritmicamente marcati dalla contrazione delle aperture dagli estremi verso la zona centrale del terrazzo e della rampa. Quest’ultima costituisce il fulcro visivo della costruzione, secondo una tipologia già presente nella villa Altieri all’Esquilino. Pure riconducibile al gusto sei – settecentesco è il trattamento del piano sottotetto: un attico elevato nella porzione centrale del prospetto, ritmato da aperture ovali.

H.3 Vigna Simonetti – demolita (fr. Villa Altieri -De Heritz).

H.4 Villa Lecce (fr. Villa Altieri-De Heritz).

H.5 Villa Gangalandi, Della Porta, Lancellotti (via Salaria, 338).
La mappa di riferimento del Catasto Gregoriano è la n. 147. “Casa di villeggiatura con corte” (n.94): è il casino nobile tuttora esistente, nella proprietà di “Della Porta Conte Filippo q. (quondam, ndr) Carlo Enf.ta Perpetuo della Compagnia De Canonici Regolari del Salvatore in S. Pietro in Vincoli, della Chiesa della Madonna di Costantinopoli, come Salvianisti del Duca di Vorsino sopra li Cannetti a Porta Salara, Chiesa di S. Lorenzo in Fonte, Sagrestia de’ SS. XII Apostoli”. Accanto al casino, un “giardino” recintato tuttora conservato (n.93) all’angolo di via di Villa Ada, chiuso sull’altro lato da una “camera di agrumi” (n.92), demolita. Più a Sud, lungo la via Salaria, era un gruppo di edifici demoliti fra le due guerre per l’allargamento della strada. Alle loro spalle, verso l’interno dell’edifici si apriva un piazzale ad emiciclo, da cui partiva uno dei viali della villa medesima. Il viale è ricalcato dal percorso moderno di via Chiana, che si apre sulla Salaria conservando il medesimo spiazzo ad emiciclo. Gli edifici erano nell’ordine, la chiesa della villa (n.96), con aggregata una “casa ad uso del vignarolo” (n. 97). La quinta edilizia si interrompeva, in corrispondenza del retrostante piazzale, definito “corte promiscua”, destinata all’uso dei manufatti contigui, per riprendere con una “casa di villeggiatura” (n. 98). Era questo un corpo stretto e allungato – dal carattere anch’esso di residenza signorile – nel tratto fra via Chiana e via Adige, che fronteggiava sul lato opposto il casino di villa Lecce. Il limite della proprierà sulla strada era occupato da un “orto” e da un “bosco forte di alto frutto”. La “vigna” (n.91) includeva il parco della villa, solcato da viali paralleli e ortogonali fra loro, con piazzali rotondi agli incroci. Come per la maggior parte delle tenute, va registrata una compresenza di spazi a carattere produttivo e utilitario e di giardino formale, di delizia. L’asse della moderna via Chiana puntava al limite della proprietà, in corrispondenza del Fosso di Sant’Agnese – il cui alveo interrato costituirà il tracciato di corso Trieste – verso due edifici: un casale di servizio della vigna e, al di là del confine di questa, verso il manufatto della contigua proprietà Gualdi, perfettamente in asse con il viale stesso. Questo sembra dunque qualificarsi come un percorso tra vigne, quasi a configurare una servitù d’accesso alla limitrofa proprietà. Compare come villa Della Porta (1839, 1889, 1891), con entrambi i nomi di villa Cancalani (sic) e villa Della Porta (1845/ 52, 1868), e senza nome nel 1924, con parte dell’area già edificata e tracciate via Chiana e via Sebino. Le vicende storiche della villa, ricostruite con accuratezza da recenti ricerche, vedono la formazione del nucleo iniziale ad opera della famiglia Gangalandi, segnatamente di Fortunato (1668-1748), facoltoso appaltatore delle miniere di allume nello Stato Pontificio, negli anni tra 1710 – acquisto dei primi terreni – e 1738 – acquisto di un casino preesistente e, nello stesso anno, costruzione della cappella sulla via Salaria. A lui e al figlio Domenico (1703-1764) si deve l’impostazione di un notevole ciclo decorativo, con pitture a pianterreno raffiguranti le sculture della collezione Furietti, c al piano superiore, con vedute di fantasia ispirate ad un garbato “rovinismo” e animate  da leggiadre, eleganti figure, dalla critica attribuite all’opera di Paolo Anesi (1697-1773), prestigioso artista del ‘700 romano, cd una Sala dei Paesaggi marini, con scene di paesaggi portuali e velieri. Dai Gangalandi la villa passò per via matrimoniale ai Della Porta, e da loro ai Massimo, quindi ai Lancellotti. Nel 1868 fu affittata dal conte Campbell Smirth De Heritz, che ritroviamo pochi anni dopo (1878) come proprietario dell’omonima villa, sul lato opposto di via Salaria (cfr. scheda relativa).

H.6 Palazzina Filomarino (via Salaria, 362 all’angolo con via Arbia). “Casa di villeggiatura” nella proprietà di “Gualdi Giacomo q.m Giovanni Enf. Perperuo dei PP. Crociferi di Rieti sc (udi) 16.42, al Monastero di S. Maria Maddalena a Monte Cavallo sc. 3,62, al Sig. Marchese Maccarani sc. 3,10, alla Cappella di S.Maria in Via sc.9, sig. Conte Tesser sc. 14.30, Beneficiati di S. Maria Maggiore sc.10”. Compare senza nome (1839), nel 1889 e 1891 come Osteria Filomarino, nel 1924 con l’edificio e il toponimo Filomarino spostato a NE lungo la Salaria. Originariamente appartenuta al cardinal Ascanio Filomarino (1583-1666), all’epoca del Catasto Gregoriano era della famiglia Gualdi, che possedeva nell’area fra Salaria e Nomentana anche la tenuta, in prossimità del fosso di S. Agnese – attuale percorso di Corso Trieste – i cui fabbricati si attestavano al termine del viale interno di villa Gangalandi Della Porta, ricalcato dal percorso di via Chiana. All’inizio del ‘900 era proprietà Canulli, e adibita ad osteria. E’ costituita da un volume allungato sulla via Salaria, che nella facciata interna si apre sul giardino con una doppia rampa d’accesso all’avancorpo loggiato del primo piano. Per gli attuali proprietari, la famiglia De Benedetti Bonaiuto, Carlo Scarpa ha progettato (1965-72) all’interno del giardino un piccolo edificio d’abitazione, dall’interessante volume ovoidale, concepito come padiglione sospeso – tramite pilastri e setti murari – al di sopra del giardino.

Percorso J:  Vicolo dell’Agnello

J.1 Villa Strohl-Fern (ubicata sull’attuale via di Villa Ruffo, tra quest’ultima, lo sprone sovrastante la via Flaminia, la Villa Giulia e l’area delle Accademie straniere di Valle Giulia. “Casa con corte ad uso di delizia”, “casa ad uso dell’orto”, “casa con corte ad uso di rimessa”, “casa con corte ad uso della Villa”, “Giardino”, “Casa con corte ad uso del giardino” nella proprietà di “Poniatowskj Altezza Reale Principe Stanislavo della Chiara memoria principe Casimirro di Varsavia in Polonia Enf. Perpetuo dei SS. Domenicani in S. Sabina”. Compare senza nome (1839, 1845/52, 1868, 1924), nel 1889 come villa Smith, nel 1891 come villa Strohl-Fern. La villa con i suoi edifici compare nel catasto Gregoriano come parte della più vasta proprietà Poniatowski, che eredita terreni ed edifici della cinquecentesca villa Cesi, il cui casino principale, rielaborato alla fine del ‘700 dal Valadier in forme neoclassiche per conto del Principe Poniatowski – unitamente al giardino, denominato sul Gregoriano “orto ad acquativo con viali di delizia”, al giardino con fonte e alla loggia di delizia, oggi distrutti o fortemente manomessi dall’edificazione di fabbricati e servizi – è il nucleo dell’omonima villa, attualmente acquisita dal Museo etrusco per l’ampliamento delle sue collezioni. Il complesso, esteso inizialmente al casino Vagnuzzi sulla via Flaminia – quest’ultimo ristrutturato dal Valadier (1810), poi smembrato dal resto della tenuta e divenuto proprietà di Luigi Vagnuzzi, che lo fece restaurare dal Canina (dopo il 1825) – pervenne in proprictà (1826) al generale Riccardo Sykes e dopo il 1849 a Francesco Moore Esmeade. La proprietà venne ulteriormente smembrata dopo il 1870: Sebastiano Riganti ne acquistò la porzione settentrionale – il casino di Villa Poniatowski – trasformandola in conceria, mentre la zona orientale passò al nobile alsaziano Alfredo Strohl-Fern, che ristrutturò radicalmente il parco in scnso romantico, con la costruzione di un lago – attualmente distrutto – e la trasformazione di gusto neomedievale di numerosi manufatti della villa. L’edificio ad uso di delizia citato sul Gregoriano divenne la sua abitazione, fronteggiata dal giardino – anch’esso comparente nel 1818 animato da giochi d’acqua e ninfei in pietra lavorata a rustico. Adiacente alla dimora e al giardino sorgeva il suggestivo bosco artificiale, composto di alberi di cemento – di cui sopravvivono pochi brandelli – e disseminati nel parco gli studi di artisti e pittori – attualmente in rovina o radicalmente trasformati – ospitati dallo Strohl-Fern. All’interno del parco la casa, sovrastante un profondo fornice, che ospitò Rilke. La villa, passata alla Francia dopo la morte del suo proprietario, fu requisita nell’ultimo conflitto dallo stato italiano come bene nemico e aperta al pubblico come Villa Paradiso. Tornata nel dopoguerra alla Francia, ospita attualmente il liceo Chateubriand. Le aule scolastiche hanno occupato larga parte dei padiglioni e degli studi degli artisti, la costruzione di impianti sportivi scolastici ha portato alla manomissione di vaste porzioni di parco e all’interramento del laghetto.

J.2 Villa Ruffo, già Vigna Odescalchi (ubicata sull’omonima via, che ricalca il percorso del vicolo dell’Agnello, tra la via Flaminia e la villa Strohl-Fern).
“Casa ad uso di villeggiatura con corte”, con adiacenti due “case per uso dell’orto” nella proprietà di “Odescalchi Principe Innocenzo q. Baldassarre”.
Compare senza nome (1891, 1924). La casa di villeggiatura, demolita assieme agli altri edifici menzionati nel brogliardo, era allineata lungo la via Flaminia, poco dopo la Porta del Popolo. La vigna Odescalchi occupa il sito dell’attuale Villa Ruffo, il cui edificio fu fatto costruire nel 1885 da Antonio Ruffo, duca d’Artalia”, dalle sobrie linee neocinquecentesche, tripartito da cornici, fasce marcapiano e bugne verticali. Agli anni ’50 risale la costruzione, all’interno del parco, di un secondo edificio residenziale. La presenza della famiglia Ruffo nell’area, con un conseguente avvicendamento di proprietà, è dato ormai acquisito: alla data di redazione del Catasto Gregoriano il Cardinale Fabrizio Ruffo risultava proprietario di Villa Giulia – denominata casa con corte ad uso di delizia – con la relativa vigna adiacente, nell’area attualmente occupata dalle Accademie straniere.

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