La coppia Carlo Pisacane ed Enrichetta Di Lorenzo non è il solo esempio, nel Risorgimento italiano, di un uomo e una donna per i quali il grande amore avrebbe trovato ulteriore motivo di unione nella comune lotta ideologica e armata per l’unità d’Italia. Carlo ed Enrichetta si distinsero anche per il fatto che il raggiungimento del loro fine era sostenuto dalla consapevolezza di un quasi certo sacrificio.
Appartenevano ambedue ad ottime e ricche famiglie napoletane ma non esitarono a mettersi insieme, contro le convenzioni allora dominanti ( lei, sposata e con tre figli, aveva 24 anni e lui qualcuno di più ) e a fuggire in Francia dove furono arrestati per un certo periodo su denuncia di adulterio e vissero in condizioni molto precarie, maturando, a contatto con molti rivoluzionari transalpini, precise intenzioni di ribellione.
Rientrarono infatti in Italia allo scoppiare della prima guerra d’indipendenza cui Carlo prese parte attiva sia in occasione delle cinque giornate milanesi sia arruolandosi nell’esercito piemontese. Dopo la sconfitta corsero a dare il loro contributo alla Repubblica Romana, assumendosi un ruolo rischioso, Carlo tra i difensori della città ed Enrichetta, combattendo anch’ella sul Gianicolo e contribuendo ad assistere centinaia di feriti in ospedali mobili, come direttrice delle ambulanze. Tale dedizione non sorprende perché la partecipazione delle donne alla difesa della città fu quasi plebiscitaria, da parte di tutti i ceti, in prima linea anche col sacrificio della vita.
Carlo propugnava idee socialiste e perseguiva l’affrancamento degli stati italiani attraverso il contributo popolare e con obbiettivo il miglioramento della classe operaia. Le sue idee politiche e religiose non collimavano con quelle di Mazzini o dei simpatizzanti dei Savoia ma questo non impedì la sua totale partecipazione alla difesa di Roma, tale era dominante il senso della libertà e della democrazia, al di sopra di ogni altra considerazione. D’altronde molti dei giovani accorsi a quel richiamo lo fecero per il puro dovere di agire per l’Italia.
Dopo il fallimento dell’impresa romana, i due partirono esuli per Londra. Pisacane non cessò di approfondire la sua teoria dell’insurrezione popolare come base della liberazione degli stati italiani, lavorava incessantemente all’idea di una spedizione per sollevare il popolo e aveva deciso di attuare il suo progetto in un qualunque punto del regno delle due Sicilie.
Malgrado l’opposizione dei mazziniani e della stessa Enrichetta nel giugno 1857 Carlo sbarcò con pochi altri compagni visionari come lui a Sapri, ingrossando le sue fila con i detenuti dell’isola di Ponza che aveva liberato. In venti sottoscrissero un documento da lui ispirato “Noi sottoscritti. sprezzando le calunnie del volgo, ci dichiariamo iniziatori della rivoluzione italiana. Se il paese non risponderà al nostro appello, sapremo morire da forti, seguendo la nobile falange dei martiri italiani. Trovi altra nazione uomini che s’immolano per la sua libertà e allora solo potrà paragonarsi all’Italia, benché ancora schiava”
Non solo non riuscì a trovare nessuno che li aiutasse ma fu insieme ai più trucidato dagli stessi contadini che avevano creduto di poter sollevare contro l’oppressione dei Borboni. Un comportamento, quello di Pisacane, che rasenta la follia ma è indicativo di un irresistibile amore per la libertà del suo paese comunque condiviso da tanti altri nella lunga epopea dell’unità d’Italia, come, per citarne solo alcuni, Luciano Manara, Goffredo Mameli, Felice Orsini, Luciano Tognetti, Ugo Bassi. D’allora in poi Enrichetta, che intanto aveva avuto una figlia da Carlo, continuò a vivere in povertà finché lo stesso Garibaldi non fece approvare un decreto per darle un assegno di mantenimento. Una fedeltà totale e continua agli ideali del suo uomo, forse di altri tempi ma di grande impatto emotivo e sentimentale.
Carlo De Bac