Villa Balestra, il paradiso per me

Questa pagina è un ricordo d’infanzia di Boris Porena, un bambino che il padre, amministratore di Villa Balestra, portava su alla villa.

Erano gli anni prima della guerra. Andavo ancora alle elementari, ma doveva essere in un periodo di vacanze – estive o primaverili – perché al mattino presto ricordo che mio padre mi accompagnava a prendere le farfalle a Villa Balestra, una villa nobiliare da lui amministrata, oggi quasi interamente costruita; ma tuttora visibile da Viale Tiziano e dalla Via Flaminia all’incrocio col Viale delle Belle Arti.

Abitavamo appunto a Via Flaminia, proprio di fronte alla Villa, da cui vedevo spesso scendere le pecore fino al cancello sotto casa. Per raggiungere la parte alta, al di sopra della grande roccia, bisognava però passare da dietro, dal cosiddetto Arco Oscuro, un breve corridoio scavato nella roccia e che collegava il Viale delle Belle Arti alla salita dei Monti Parioli. Qui, presso la Casa del Custode (ndr la Casa del Maresciallo), si trovava l’ingresso principale alla Villa, e di questo ingresso mio padre aveva la chiave.

Ed eccoci all’interno, luogo di sogno per un bambino di otto-nove anni, ma che ancora lo è, letteralmente, per un anziano di più di ottanta. Una via appena sterrata aggirava il costone roccioso che vedevo dalla finestra della mia camera (ndr approssimativamente l’attuale via Barolomeo Ammannati) e raggiungeva i prati della sommità.

Il costone ospitava nei suoi buchi una coppia di gheppi, più tardi sostituita da Biancamaria la civetta. Oggi è molto se vi sosta qualche passero di passaggio. Ma il paradiso per me erano i prati della sommità, orlati da alcuni pini, cipressi e, poco sotto, dalle imponenti pale dei fichi d’India. Questo era il regno delle farfalle, tutto un volteggiare di Pieris brassicae, Pieris napi, Pontia daplidice, Vanessa cardui, Pyrameis atalanta e, sopra tutte, la splendida Papilio machaon, il macaone che, per quanto frequente, continuava a essere oggetto di desiderio sempre rinnovato. Gli era secondo solo il quasi congenere Iphiclides podalirius dall’elegante volo planato, interrotto soltanto da brevi, nevrotici colpi d’ala. Ancora le conoscevo solo di vista.
Chi fossero, come si chiamassero, lo ho appreso solo più tardi, poi per molti anni i miei interessi si sono rivolti altrove, al più solido mondo dei coleotteri. Ma l’immagine di quei prati assolati sorvolati da quelle meravigliose creature variopinte che l’evoluzione aveva prodotto per la sola gioia di quel bambino… no, non era stata l’evoluzione a procurargliele, era stato l’anziano signore che gli camminava accanto… questa immagine non l’avrebbe più abbandonato.

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