In questa pagina sono raccolte delle “curiosità” relative al Policlinico Umberto I.
La decisione di intitolare l’ospedale al re Umberto I, assassinato a Monza nel 1900, venne vista da alcuni come un gesto simbolico e patriottico. Tuttavia, nei primi anni di attività, il Policlinico fu colpito da numerose difficoltà: epidemie, problemi finanziari e ritardi nei lavori di ampliamento che fecero nascere una sorta di “leggenda” secondo cui il re stesso, contrariato dal fatto che l’ospedale portasse il suo nome, avrebbe portato “sfortuna” alla struttura.
Durante l’epidemia di influenza spagnola del 1918-1920, il Policlinico fu uno dei principali centri di ricovero delle persone infettate. Le cronache raccontano come i medici e gli infermieri furono costretti a lavorare in condizioni estreme, con un afflusso continuo di pazienti. Per evitare il contagio, vennero istituite rigide misure di quarantena e alcuni reparti furono interamente riconvertiti per accogliere solo i malati di questa malattia.
Nel 1921, durante un soggiorno a Roma, Albert Einstein, molto interessato alla medicina, visitò il Policlinico accompagnato da alcuni medici della Sapienza. In quell’occasione Einstein espresse grande interesse per le tecnologie diagnostiche utilizzate all’epoca in Italia e per i metodi di insegnamento applicati ai studenti di Medicina, futuri medici italiani.
Una leggenda metropolitana che girava nei corridoi del Policlinico fu il mistero del “Padiglione fantasma”, un padiglione abbandonato nascosto nel complesso ospedaliero, che sarebbe stato utilizzato durante la Seconda Guerra Mondiale per esperimenti medici clandestini. Sebbene non ci siano prove concrete, questa storia continua a circolare tra gli studenti e il personale.
Durante il bombardamento del quartiere San Lorenzo nel luglio 1943, molte vittime vennero portate d’urgenza al Policlinico che era l’ospedale più vicino. In quella tragedia anche gli edifici dell’ospedale subirono gravi danni dalle bombe ma, seppur in condizioni difficilissime, il personale continuò a lavorare. Si racconta che i medici operarono per giorni senza riposo, anche con strumenti improvvisati.
Negli anni ’50, una delle prime storie a fare il giro dei giornali locali fu quella di un neonato, sopravvissuto a una rara malformazione congenita e operato con successo al Policlinico. Il piccolo venne ribattezzato “il bambino della speranza” e la sua storia contribuì a far conoscere il Policlinico come un centro di eccellenza pediatrica.
Si dice che, in passato, nel giardini del Policlinico si coltivasse alcune piante medicinali per scopi terapeutici e didattici. Molti studenti di medicina inoltre usavano questo spazio per imparare a riconoscere le erbe curative. Oggi questa tradizione è quasi scomparsa, ma gli alberi secolari nei giardini del complesso sono testimoni di quel periodo.
Il Policlinico è stato un luogo “vivo” nella letteratura e nel cinema, spesso citato in libri e film. Questo ospedale, ad esempio, è apparso in alcune pellicole del neorealismo italiano, dove rappresentava simbolicamente il cuore della sanità pubblica della capitale.
Alcuni racconti popolari romani, inoltre, descrivono questo nuovo ospedale come un luogo di grande umanità, dove “nessuno viene lasciato indietro”.
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