Ponte Baley

Affacciandosi sul Tevere dal centro di ponte Flaminio verso monte dove corre lungotevere dell’Acqua Acetosa, è facile notare due gruppi di piloni in cemento armato infissi nelle acque del fiume.  Cosa siano e perché stiano lì ce lo racconta Claudio Cafasso, fondatore di VignaClaraBlog

Sono i resti di un “ponte Bailey”, cioè un ponte realizzato secondo una struttura ideata da Donald Bailey, ingegnere inglese, diffusa soprattutto in ambito bellico in quanto montabile e smontabile in poco tempo.  Un ponte realizzato nel 1962 quando ponte Flaminio venne chiuso per il cedimento di un pilone.  Il ponte Bailey perse la sua funzione di “supplente” nel 1964, quando ponte Flaminio “rientrò in servizio”, e alla fine degli  anni Sessanta venne rimosso.  Tutto, tranne quei tre piloni che spinsero negli anni diversi progettisti a proporre le loro idee in merito.

Il primo progetto, presentato nell’ottobre del 2007 da Sandro Bari e dall’architetto Francesca Di Castro, prevedeva un ponte coperto, esclusivamente pedonale, realizzato in legno.  “Ponte Nuovo” fu battezzato. Nuovo perché sarebbe stato l’unico ponte coperto di Roma, nuovo perché di legno, nuovo perché polivalente e funzionale, nuovo perché finalizzato non solo a passaggio da una sponda all’altra ma anche a luogo di sosta, d’incontro, di studio, di svago.  Secondo i progettisti, la sua struttura lignea avrebbe consentito una costruzione rapida e un’integrazione completa nell’ambiente fluviale che dal quel punto e fino a Ponte Milvio – già allora si diceva – doveva essere preservato per la creazione di un’Oasi naturale a fini didattici ed ecologici.  Guarda caso proprio quell’Oasi naturale che prenderà corpo entro il 2025 con i fondi per il Giubileo.  Stando al progetto, l’interno del ponte – circa 15 metri di larghezza per 150 di lunghezza – avrebbe avuto un corridoio laterale munito di sedute rivolte verso il fiume e sarebbe stato suddiviso in settori interni destinati a un centro didattico-informativo, a librerie, punti di ristoro con annesse aree destinate a ospitare eventi culturali.  Si trattava di un’interessante idea, poco costosa, che suscitò attenzione nelle istituzioni. Salvo poi dimenticarsene molto presto.

Siamo nel 2011, quando lo studio LAD è tra i vincitori di un concorso di idee, finalizzato alla promozione di idee progettuali nell’area metropolitana di Roma, con il progetto di recupero dei piloni del ponte Bailey.  Il progetto dei due architetti prevede la demolizione di due dei tre piloni in calcestruzzo armato del vecchio ponte Bailey e il recupero del terzo, quello verso Tor di Quinto,  per creare una struttura a sbalzo sul Tevere su cui creare un piazza munita di un bar coperto sul retro.  Nel novembre di quell’anno il progetto venne depositato alla Regione Lazio. E lì finì la sua corsa.

A dicembre 2011, è lo stesso Campidoglio ad annunciare il progetto “Arca di Roma” con quale si prevede di recuperare i piloni di cemento del vecchio ponte Bailey. L’idea è sempre quella di un nuovo ponte  che non serva per attraversare il Tevere ma per ospitare sulla sua struttura sospesa spazi per eventi culturali e per il tempo libero.  Chi si fosse aggiudicato il bando avrebbe dovuto mettere in sicurezza gli argini, recuperare i piloni esistenti, predisporre un progetto per accogliere nell’area in questione varie funzioni come manifestazioni culturali e sportive e realizzare, infine, un’area parcheggio da circa 500 posti.  “Arca di Roma – spiegò il sindaco – è un progetto autonomo che però si lega bene alla creazione del Parco Fluviale. Si tratta di un organismo architettonico sul fiume con servizi e luoghi per l’intrattenimento che ha anche il merito di riqualificare un’area degradata e che si può fare in tempi rapidi”.  E anche questo lì finì.

E purtroppo, non c’è nulla nemmeno con i fondi del Giubileo né con quelli del PNRR, e questi tre piloni stanno entrando nella storia di Roma come reperti archeologici del XX secolo.

Fonte: Quei tre piloni del ponte Bailey a Tor di Quinto (vignaclarablog.it)

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Lungotevere dell’Acqua Acetosa

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