Il Maestro delle Mura

Questo testo di Mario Bosi sulla Scuola di Arte Educatrice e sul suo creatore Francesco Randone, è stato pubblicato nella Strenna dei Romanisti del 1975 ed è di proprietà dell’autore e dello Stab. Aristide Staderini spa Roma.

Il 1° giugno del lontano 1935 chiudeva la sua laboriosa giornata terrena una figura singolarissima di educatore e di artista insieme: il maestro Francesco Randone, meglio noto ai suoi tempi come il Maestro delle Mura.

Ormai, solo i più vecchi se lo possono ricordare, anche se il Maestro abbia lasciato durevole traccia di sé nei riguardi della sua attività artistica, modesta forse di contenuto, ma utile per le finalità etico-sociali che per mezzo di essa egli s’era prefisso di raggiungere. Ma tant’è: i suoi ammiratori e gli stessi suoi scolari sono in gran parte scomparsi, per cui la eco d’una pur così nobile esistenza, interamente votata all’educazione dei più piccini, è andata via via affievolendosi, travolta dalla legge inesorabile del tempo, che tutto e tutti cancella …

Strana scuola quella di Francesco Randone, una scuola d’arte figulina (ndr l’arte del vasaio) intesa, peraltro, a diffondere il verbo appassionato di una semplice, chiara, onesta filosofia francescana, materiata di umiltà e di lavoro, di studio e di rinunzie.

Egli aveva immaginato fin dalla più giovane età di dar vita ad una scuola dove la gente di tutte le condizioni, ma soprattutto i fanciulli sarebbero stati gratuitamente iniziati al culto del bello, artisticamente ed evangelicamente inteso. L’artista Randone dovette però lottare lungamente contro l’indifferenza, contro la povertà contro la stessa invidia; ma nel tempo stesso lottò contro la tenace resistenza degli Etruschi ad abbandonargli il segreto della cottura delle loro ceramiche, un segreto che essi detenevano da più di tremila anni e di cui il Randone aveva lo spirito affascinato.

Infine, dopo anni di faticose prove, riuscì nell’intento e con la creta tornò a foggiare i famosi bùccheri, dando tuttavia nuove forme alle terrecotte: pàtere, rython, lucernette, lacrymfigulae, campanelle sonore, ciondoli, dischetti, cyathus, coppe, anfore, ciotole, urne, calici, poculi, piastrelle, ecc.

Questi prodotti originalissimi, lievi, di una lucentezza perfetta, con riflessi argentei o dorati, attrassero ben presto l’attenzione dei maggiori competenti in materia, nostri e stranieri. Per un artista del suo talento, quella conquista avrebbe potuto costituire la gloria e, perché no?, una buona fonte di guadagno; ma il Maestro non chiese fama, né chiese denaro alla sua riscoperta, bensì insistette per dare vita, come si è detto, ad una scuola, le cui finalità erano riassunte in questa frase ch’egli soleva spesso ripetere: L’arte non come fine a se stessa, ma come mezzo educativo.

Privo di mezzi, ma ostinato nell’intento di raggiungere i suoi propositi, il Maestro Randone pensò di utilizzare il ricovero offerto dalle torri delle Mura della Città ed all’uopo fece richiesta e non senza qualche difficoltà ottenne dal Ministro della Pubblica Istruzione di insediarsi nella torre XXVIII delle Mura di Belisario. Ciò avvenne una ventina d’anni subito dopo l’annessione di Roma alla Patria italiana, quando ancora esisteva la Porta Salaria e lo spingersi oltre il palazzo del Ministero delle Finanze (oggi del Tesoro), allora in corso di costruzione, specialmente se di nottetempo, era considerato un’avventura da temerario.

In quell’epoca le Mura erano ridotte in uno stato pietoso: non essendo considerate monumento storico per reazione al Governo pontificio di cui fino al 20 settembre 1870 erano state quasi un emblema, su di esse gravava un generale senso di disprezzo. Rodolfo Lanciani così ebbe a scrivere a Francesco Randone: «Lo Stato non intende sostenere le spese della loro custodia; il Comune non vuole accettare un nuovo aggravio al bilancio oberato; la Finanza, dopo l’ampliamento dei confini del dazio-consumo, non sa più cosa fare del vecchio recinto; e così siamo arrivati a questo bel risultato: che caduto nel 1893 un bel tratto delle mura tra la Porta S. Giovanni e l’anfiteatro Castrense, il solo provvedimento adottato dalle autorità è stato quello di avvisare i passanti che un altro tratto delle mura stesse sarebbe probabilmente fra poco caduto …»!

Si era al principio del 1894 allorquando il Ministro Baccelli si onorò di condurre personalmente il Maestro Randone, allora giovanissimo, a prendere possesso della Torre. Il Maestro raccontava che il Ministro gli chiese: – Sei contento? Che cosa farai ora?

– Voglio fondare una scuola dove s’insegni quanto non s’insegna nelle scuole pubbliche – rispose il Randone – e a ricordo di questa bella giornata pianterò adesso stesso un cipressetto presso la porta della Torre.

E così fece. L’albero è ancora lì.

Più volte, negli anni successivi, il Maestro delle Mura Io additerà ai visitatori e agli scolari: – Guardalo bene quel cipresso, esso segna una data e un’idea: la fondazione di una scuola che volge il pensiero della gente verso il Cielo.

Annidatosi tra i vetusti laterizi di quelle storiche Mura, che offrivano allora un ricovero tutt’altro che confortevole, il Maestro delle Mura, come ben presto venne denominato, continuò da allora, senza mai stancarsi e senza mai deflettere, la sua lunga strada, accogliendo senza mire d’interesse tutti coloro – uomini e bambini – che si fossero rivolti a lui, lieto di poterli accogliere accompagnandoli ·su per le ripide scale dei ripristinati corridoi di ronda, che avevano udito le grida di incitamento dei difensori e il lamento dei soldati romani colpiti a morte.

E fu gelosissimo di quel tratto di Mura avuto in consegna, anche se dapprincipio dovette rassegnarsi a vivere come un primitivo. (1)

Senza minimamente alterare la struttura originale del manufatto, egli seppe trasformarlo in un geniale caratteristico ritrovo di intellettuali e di poeti. Del resto, basta rileggere il distico che tuttora vigila l’ingresso di quella che fu la sede definitiva della sua scuola, al civico numero dieci di via Campania, per comprendere l’animo suo dischiuso ad ogni forma di bellezza e di grazia. (2)

Il Maestro Randone non si adagiò tuttavia in una vita solitaria, eremitica, poiché entro quelle Mura si formò una famiglia e mise al mondo una balda schiera di figliuoli: sette, e cioè sei femmine (Iris, Honoria, Horitia, Urania, Lucilla, Saturnia) e un maschio (Belisario). (3)

Le sei fanciulle sono state tutte d’una bellezza statuaria classica, tutte finissime creatrici di buccheri (vasaie), tutte interpreti intelligenti, pronte e devote degli insegnamenti paterni, efficaci ed affettuose coadiuvatrici della sua opera, a loro volta maestre della minuscola scolaresca. (4)

Il Maestro Randone fu la bontà in persona e della bontà fece una disciplina costante della sua vita raccolta. Si può dire che ebbe tre grandi amori, oltre quello purissimo per la famiglia: le Mura dell’Urbe, i bambini per crescerli nella scuola dell’arte, i simboli, sia che ne infiorasse i suoi discorsi diretti alle piccole intelligenze, sia che li esprimesse nelle belle creazioni uscite dalla fornace.

Il nostro educatore – che aveva avuto i natali a Torino il 23 luglio 1864 – fu il primo che concepì in Italia l’idea della scuola all’aperto e quello di lasciare allo scolaro libertà di scelta del suo ingenuo lavoro. (5)

Nella sua scuola, che in breve divenne affollatissima, affluivano specialmente i bimbi, in mezzo ai quali il Randone, come Filippo Neri, si trovava felice ed insegnava loro con pazienza, amore e diligenza – seguendo un metodo suo tutto particolare, che ben s’addiceva all’età degli ascoltatori e degli apprendisti – le regole dell’arte, incitandoli al lavoro ed educandoli a mantenersi retti, ubbidienti, caritatevoli e saggi come la religione cristiana esigeva. Ai bambini egli chiedeva solo di presentarsi con la faccina e le manine pulite e con un pezzetto di nastro tricolore appuntato sul grembiulino; ai grandi, di portargli qualche cosa di utile per la scuola o per la fornace: un fascetto di legna, qualche matita, un po’ di carta o della creta. E di venire, soprattutto, con animo semplice e puro – come il suo, del resto – senza speranza di guadagni e senza mire di premi.6 Diceva ai più piccini: «Tu bimbetto vieni alla scuola; il maestro t’insegna tante cose utili, come il saper leggere, saper scrivere, fare le addizioni e le sottrazioni; ma assai meglio t’insegna a dividere: dividere il pane, dividere la minestra, dividere il frutto che a te viene da Dio, bimbetto fortunato. E prima che tu esca dalla scuola ti dice: bambino, ricordati che la felicità non sta nella ricchezza, ma nella bontà, nel lavoro, nella preghiera». Il Maestro aveva adottato ed offriva ai suoi scolari il motto socratico preso a tutela della propria esistenza: È necessario che pensiate questa cosa sola: nulla di male può accadere all’uomo buono. Forse qualcuno avrà trovato e troverebbe tuttora pericoloso mettersi in viaggio con il solo viatico di questo fiducioso usbergo, ma al Maestro delle Mura è bastato e non ha chiesto di più alla vita. (7)

Ai piccoli che muovevano i primi passi nell’arduo sentiero dell’arte egli diceva, sempre usando un linguaggio simbolico: Ti offro la scala, a salire impara. E poiché voleva che essi si liberassero da ogni impacciante peso del loro fardello intellettuale, soggiungeva: Prendi l’accetta, dei rami secchi la tua pianta netta.

Il simbolo della forza e della giustizia era per lui la vite, onde ammoniva: Stringi avvita, avvita stringi. Sei tu solo che non fingi.

E poiché la squadra gli dava l’idea e l’esempio dell’equilibrio, dell’equità e della giustizia, esclamava: Squadretta squadretta, strumento benedetto.

E i motti e gli ammonimenti che andavano imprimendosi nella memoria vergine dei piccoli, si moltiplicavano: Dolce cucchiara, senza maestro amara. – T’amo, o quadrato, perché mi dài l’idea dell’uomo che ha studiato. – Non formiamo, non riproduciamo cose di altri artisti, di altri paesi, di altri tempi. – Artista non è chi copia, ma chi crea. – Essere buono non significa non far male a nessuno: vuol dire far tutto il bene che si può.

Ed ecco la massima che era il fondamento morale del programma educativo di Francesco Randone, il quale non si contentò di predicarla, ma che l’ha costantemente insegnata con l’esempio: Lavorare è pagare il debito che abbiamo verso l’umanità, poiché l’ozioso usurpa alla società un posto che non gli spetta.

Spesso, infine, il buon Maestro rivolgeva particolari inviti ai suoi discepoli, grandi e piccini, al fine di mostrare loro e di commentare l’aurora oppure il tramonto del sole: Cittadino addormentato, mastro Checca t’ha svejato … È ‘na bella scocciatura der Maestro delle Mura. Ma anche più strane e simboliche le costumanze. Allo scoccare dell’ultima mezzanotte dell’anno, invece di sedere a mensa con i calici alzati, riuniva una eletta schiera di amici intorno alla fornace per accendere il fuoco e si accendeva il fuoco per cominciare l’anno lavorando.

figura: L’emblema della Scuola dell’re Educatrice di Francesco Randone.

Il giorno della Befana, altra grande festa nelle Mura: tutti i buoni amici, i vecchi scolari e le antiche allieve, che erano ormai L’emblema della Scuola d’Arte Educatrice di Francesco Randone. babbi e mamme, accorrevano portando i loro bambini e recando una piccola offerta per la scuola, per la fornace, per il buon Maestro, sempre lungo e magro, la barba incolta, che indossava sempre il suo semplice càmice, liso magari ma pulito, e che era sempre inalterabilmente buono, amabile, cortese, sorridente con tutti e che a tutti offriva, in quell’occasione, un minuscolo dono, un ricordo disegnato o plasmato da lui secondo la sua ispirazione educativa e memoranda.

Sbaglierebbe chi credesse che la scuola delle Mura, centro di misticismi simbolici, rimanesse insensibile, lontana od estranea alle vibrazioni della vita esteriore, cittadina e nazionale. Durante la prima grande guerra il lungo e barbuto filosofo, l’uomo che non avrebbe voluto far male ad un moscerino, si adoperò instancabilmente, insieme con i suoi amici piccoli e grandi, per la propaganda patriottica d’ogni genere: le sue attività si fondevano con quelle del « soccorso urgente » e con tutti i suoi scolari, amici e ammiratori si era mobilitato entro le Mura per concretare i lavori da vendere a beneficio dei Combattenti.

Nel 1923 diede anche vita ad una rivista mensile illustrata: «Cronache di Arte Educatrice » di dodici pagine formato cm. 22 per 32 (un numero, una lira), nella quale, oltre a diffondere i principi filosofici della sua teoria educativa, il Maestro delle Mura dava un’ampia panoramica delle manifestazioni d’arte in corso di svolgimento in ogni angolo del globo terracqueo, insieme con interessanti rubriche volte principalmente a richiamare l’attenzione delle Autorità costituite sulle negligenze constatate in fatto di conservazione dei monumenti dell’antichità classica. (8)

Nove lustri di pacifico apostolato entro le Mura di Roma lo resero noto non solo ai cittadini, ma largamente alla colonia straniera, cui era familiare l’alta ieratica figura del Maestro dall’inseparabile berrettone al pari del camiciotto da lavoro, con la lunga barba scarmigliata e gli occhiali all’antica, a stanghetta, cerchiati di metallo e una vocina esile esile che pure talvolta assumeva acuti da soprano.

La grama schiera di bimbetti che andavano ad imparare tante cose belle e nuove nella casa del Maestro delle Mura e che plasmavano, incidevano e colorivano con le loro manine tavolette, vasi minuscoli, lucernine in creta, affidati poi al fuoco della fornace, crebbe di anno in anno fino a raggiungere centinaia e centinaia di piccoli e grandi.

Diede inizio alla sua attività nell’anno 1890 con tre scolari, che divennero undici nel 1894 quando Guido Baccelli, allora Ministro della Pubblica Istruzione, interessato del singolare esperimento, consentì che la scuola si trasferisse dalla torre XXVIII delle Mura «ad oriente del Tevere» alla torre XXXIX, più larga e meglio adatta per le progettate future utilizzazioni, torre che Rodolfo Lanciani definì turris omnium perfectissima.

Più tardi fu Ruggero Bonghi che volle visitare, anzi ispezionare la scuola, cui impose il nome di Scuola d’Arte Educatrice.

Nel 1910 gli scolari erano già una sessantina, così devotamente affezionati al loro educatore che le mamme, per punirli di qualche birichinata, li minacciavano di non mandarli più alle Mura di Belisario!. .. (9)

Vennero poscia i successivi impensati sviluppi, ed ecco nel 1911 i primi corsi privati di ceramica per le signorine, ed ecco nel 1914 il primo corso didattico magistrale e nel 1924 l’inaugurazione della Sezione praticata all’aria libera sulle terrazze delle Torri XXXVII, XXXIX e XL.

I visitatori della scuola si contarono intorno al migliaio nel 1914; divennero duemila nel 1916; tremilacento nel 1920; cinquemila nel 1927 e andarono aumentando sempre di più. E press’a poco in quell’anno l’artista Randone espose le sue ceramiche nei saloni della signora Gallenga a Parigi in una mostra che è rimasta memorabile negli annali delle manifestazioni d’arte.

Ricordano i contemporanei che il Maestro Randone aveva tutta la figura di un filosofo d’antico stampo. Però, avvicinandolo, era facile convincersi di trovarsi dinanzi ad un realizzatore, sempre pronto a superare ogni ostacolo senza affatto scomporsi e senza preoccuparsi delle fatiche cui era costretto a sobbarcarsi per raggiungere l’affermazione dei suoi propositi.

Negli ultimi tempi si era un po’ curvato, quasi che la folta e fluente barba gli pesasse al punto di fargli abbassare la testa caratterizzata da una fronte lucida e spaziosa. Tuttavia conservava intatta quella loquacità tutta sua che a volte sembrava non conoscesse la pausa e tanto meno la stanchezza. Parlava di archeologia, di storia, d’arte con sicura competenza e sosteneva le proprie idee ed esprimeva i suoi giudizi con tanta convinzione che se anche si manifestava un po’ farraginoso, si faceva facilmente scusare perché c’era sempre qualche cosa di nuovo e d’interessante da apprendere dalla sua parola facile e suadente.

Francesco Randone volle morire da asceta, così come aveva vissuto, entro quelle Mura che avevano sentito in tempi remoti il clangore dell’assalto e che, dopo un lungo periodo di abbandono, erano state per suo merito nobilitate, con l’assegnare loro il compito di raccogliere e di custodire tanti interessanti cimeli d’arte.

Un ordine aveva dato ai familiari che lo circondavano durante le ultime ore di esistenza: quello di annunciare la sua dipartita solo dopo essere stato sepolto. Il Maestro si addormentò serenamente e da quel sonno più non si ridestò. In silenzio e senza pianto le spoglie furono .portate all’estrema dimora. (10) I giornali dell’epoca diedero notizia del suo trapasso sereno quattro giorni più tardi …

Alla famiglia lasciò l’eredità della sua scuola ed essa è proseguita e prosegue tuttora per virtù di una nepote, perché lo spirito buono di Francesco Randone non poteva abbandonare l’opera sua, che tanta fresca letizia dette ai bambini e aprì nella loro mente tanta luce di serenità.

Note

  1. Ricordava Pietro Scarpa che quando, da ragazzo, ebbe occasione di recarsi di sera a visitare l’eremitaggio volontario dell’artista, gli sembrò di entrare nella dimora di un anacoreta in cui, nell’antro di accesso, non mancava il teschio umano ammonitore, il segno della Passione di Nostro Signore e la lampada votiva infissa tra le connessure degli antichi e nudi mattoni. Poi, alla luce scialba del sole morente, che filtrava dalle rare feritoie protette da lunghe vetrate, gli apparve allineata come in una scacchiera la lunga e nera teoria di buccheri, che formava il vanto del Maestro.)
  2. La lapide, una volta all’esterno delle Mura, è stata poi affissa all’interno, all’inizio della scala d’accesso agli ambulacri. L’iscrizione fu dettata da Ruggero Bonghi (1894) e recita: Salve, visitatore benigno, entra né / ti dispiaccia lo aspetto rude e seve / ro. Su noi passarono i secoli e si acuirono / le insidie degli uomini ma salde restammo. Nel corridoio di ronda delle mura, un’altra iscrizione marmorea ricorda: LVDVS ANIMIS EXCOLENDIS ARTIBVS (LUIGI HUETTER, Iscrizioni, III, 415), mentre una dicitura al disopra del sacrario rivela che Francesco Randone e Marie Louise Fontaine principiarono a radunare gente nella cripta di questa grande Torre, domenica 20 luglio 1894 a ore 11 e continuarono coi loro figli Iris, Honoria, Horitia, Urania, Lucilla, Saturnia, Bellisario. Oggi 6 agosto 1932, ancora lavorano per la gioia di molti bimbi e amici e ancora continueranno fino al compimento del loro lavoro terrestre. Guido Baccelli dettò quest’altra iscrizione affissa all’interno della Torre: FAMILIA RANDONIA ARTEM EXERCENS FIGVLINAM IN BELISARII MOENIBVS (L. HUETTER, Iscr., III, 182).)
  3. Oggi apprezzato scrittore di teatro e regista.
  4. Tutto il lavoro e quello della scuola si compiva in famiglia, giacché Francesco Randone era povero e non poteva avvalersi di gente stipendiata. Allorquando le figliuole crebbero, iniziate ai segreti del fuoco, custodi della fìamma, la voce popolare le chiamò le Vestali. Alte, slanciate, dai puri lineamenti greci, si aggiravano per gli ambulacri raccolte in lunghi pepli, evocando l’idea delle sacerdotesse di un culto nobile e puro. Spesso udivasi dolcemente gemere il violino di Lucilla, che da piccolina era soltanto una «Cip» … Tutte, comunque, ebbero un forte senso dell’amore verso i manti, amore che avevano appreso dall’esempio della loro madre Marie Louise.
  5. La scuola Montessori è di poco posteriore. Giulio Loccatelli ricordò un aneddoto che chiaramente definisce il personaggio. Una notte due ragazzi si erano arrampicati sulle Mura dove abitava il Randone con la famiglia per impadronirsi, pare, di alcuni fili di rame. AI rumore si destarono le figliole Honoria e Horitia, una delle quali, coraggiosamente, dato di piglio ad un vecchio pistolone caricato a salve, ne fece partire un colpo in aria per richiamare l’attenzione delle guardie. Lo scoppio fece un fracasso del diavolo in via Campania ed ebbe la virtù di destare anche il padrone di casa, che accorse per vedere che cosa fosse successo. AI tempo stesso udirono delle voci imploranti: – Maestro, non ci fare del male, siamo tuoi scolari! – Nel trambusto che seguì, ecco accorrere due guardie di P.S. che, senza sentire ragioni, agguantarono il povero Maestro in veste assai succinta e lo trasportarono a Regina Coeli. Seraficamente egli tollerò qualche giorno di prigionia senza neppure protestare, solo sollecitando dalla famiglia i propri indumenti. E quando fu rinviato a casa non ebbe che questa generosa espressione: – Poveri ragazzi, in fondo è colpa mia che non ho saputo educarli bene! – E il giorno della discussione del processo egli stesso si levò a fare la loro difesa.
  6. Scuola gratuita d’Arte Educatrice. I bambini non devono portare né soldi, né materiale, ma molta gentilezza”, leggevasi ad una parete della torre.
  7. Agli amici, agli scolari, ai visitatori della Torre il Maestro Randone non augurava felicità, ricchezze e onori come si usa fare nel nostro povero mondo. Uno solo era il suo voto, il più vero, il più giusto, il più bello. Diceva: Ti auguro di essere buono!
  8. In seguito la direzione della rassegna fu assunta dal figlio Belisario Randone, il Lupo delle Mura. Ci piace qui riportare un pensiero filosofico con il quale il Maestro delle Mura concluse il primo numero della Rassegna, scritto a mano con grafia impeccabile e riprodotto litograficamente: NON HO PACE – NON HO RIPOSO E un bel giorno, a suo tempo, dopo cento sospiri la rosa si voltò sorridente verso il profumo che scese dal cielo e tutta, tutta la invase, la prese; così, anima e corpo, formarono per un momento una cosa sola, il simbolo. Ma la femminetta rosa, gelosa della sua grazia, della sua gioventù, della sua forma magnifica, non ho riposo, non ho pace, disse al profumo; scordatevi di me, perdonatemi: e il profumo che era spirito, che era anima, che era filosofia la guardò meravigliato e con un fil di voce rispose: Madonna, come siete bella, ma come siete ingrata! firmato Il filosofo
  9. All’epoca del sor Capanna, “li regazzini” avevano preso a cantare con quell’affettuosa arguzie del monello romano, che burla e ama insieme: Si cerchi drento Roma lo trovi Cappuccetto, sta drento a quela tore niscosto sott’ar tetto, bomba c’è … Cappuccetto era il buon Maestro Randone che soleva portare la lunga tunica d’artista e un cappuccio di tela sul capo, così come ci appare dalle fotografie che si conservano di lui.
  10. Francesco Randone riposa nel cimitero al Verano, in un loculo del cosiddetto «muro dei francesi».

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Scuola d’Arte Educatrice

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Bibliografia:

  • FRANCESCO RANDONE, Buccheri neri e colorati. XII conferenza con musica ai Mani del maestro Alberto Gasco per la vigesima riapertura della .Scuola (Roma, Scuola arte educatrice, Mura di Belisario, XXXIX Torre ad oriente del Tevere). Tivoli, tip. Maiella di Aldo Chicca, 1914.
  • PRIMA SCUOLA D'ARTE EDUCATRICE - Roma, Mura di Belisario, Programma didattico n. 2 per l'anno MCMXVII.
  • CRONACHE DI ARTE EDUCATRICE - Notiziario mensile della Scuola d'Arte Educatrice. Il primo numero reca la data del 21 marzo 1923.
  • IL MAESTRO DELLE MURA, La Scuola d'Arte Educatrice, Edizioni Arte Educatrice, Roma 1930.
  • MASTRIGLI (FEDERICO), Il maestro delle mura, in « Il Lavoro fascista», 16 novembre 1930.
  • P.S. (PIETRO SCARPA), È morto il «Maestro delle Mura», in « Il Messaggero», 6 giugno 1935.
  • GI. LO. (GIULIO LOCCATELLI), La scomparsa di un singolare Maestro - La prima scuola all'aperto sulle mura di Belisario, in «Il Giornale d'Italia», 7 giugno 1935.
  • AMINA ANDREOLA, Torre XXXIX ad oriente del Tevere, in rivista « L'Urbe », settembre-ottobre 1951.
  • AMINA ANDREOLA, Maghi sulle Mura di Roma, in « Cronache d'altri tempi», a. XXI, 1974, n. 5 (241).
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