Il giardino di Villa Bosia

Questo testo è una appendice nel libro Ville e casali nell’area dei Parioli che parla de “Il giardino di villa Bosia oggi nota come Villa Elia

È ben noto che Antonio Bosio ebbe una villa sul monte di San Valentino, nell’area dei Parioli, ma, sino ad oggi, non si avevano notizie particolareggiate su di essa. Esiste, invece, un documento, non utilizzato dagli storici dell’arte, sebbene pubblicato un secolo fa, che descrive accuratamente la struttura della proprietà, soprattutto del suo particolarissimo giardino (A. Valeri 1900, pp. 80-83, M. Ghilardi 2001, p. 49 n. 116). La presentazione di questa descrizione, trovata a breve distanza di tempo dalla pubblicazione di questi Atti, vuole introdurre nel circuito degli studi notizie di notevole interesse che sarà poi necessario approfondire.

Antonio Bosio fu un intellettuale importante a Roma nei primi anni del Seicento soprattutto come principale esploratore degli antichi cimiteri cristiani (ne scoprì trenta), ai quali dedicò la celebre Roma sotterranea, uscita postuma nel 1632 (N. Parise 1971).  La scelta del luogo in cui Bosio comprò le sue vigne non fu certo casuale. La proprietà insisteva in parte sui resti del cimitero di S. Valentino, anche se l’archeologo affermava che nel suo terreno vi erano solo cunicoli e grotte senza sepolture (A. Bosio 1632, Pp. 578-583).

Villa Bosia era giudicata una proprietà molto ornata e il suo padrone si indebitò per realizzarla, riunendovi altresì una preziosa collezione di iscrizioni, molte delle quali citate da R. Fabretti nel 1699.  Le notizie relative alla realizzazione di questo giardino non sono molte. Bosio possedeva già un terreno sulla collina di S. Valentino quando comprò nel 1620 la proprietà dell’orefice Quintilio Bartolozzi da Monte Casciano, per 1200 scudi (pari a 14 delle 32 pezze che l’archeologo possedeva al momento della morte). La vigna di Bartolozzi era confinante con la strada per l’Acqua Acetosa, quella della Rondinella, i terreni di Bosio, dei padri di S. Maria della Pace e i canneti dei Mignanelli e dei Lazzaroni (ASR, Notai AC, Mosca, vol. 4441, c. 256, cit. da A. Valeri 1900, p. 48).

Nove anni dopo, Antonio, che aveva ereditato anche i beni dello zio Giacomo morto nel 1627 (G. De Caro 1971), lasciò tutti i suoi averi all’ordine dei Cavalieri di Malta, per il quale i due uomini avevano lavorato.
Così una significativa collezione di quadri, il palazzo a via Condotti, ancora oggi dei Cavalieri, e la villa in questione, passarono nelle mani del nuovo proprietario che alienò rapidamente parte dei beni. Bosio lasciava all’erede anche alcuni debiti con gli operai attivi nella sua vigna – lo scalpellino Antonio Merino, il muratore, il fornitore della calce, ecc. – dove, dunque, i lavori erano ancora in corso o da poco conclusi (ASR, Notai Auditor Camerae, D. Fonthia, vol. 3107, c. 129v).

La storia successiva della villa è per ora piuttosto lacunosa:  alla fine del Seicento era dei Cesarini (R. Fabretti), nell’Ottocento apparteneva ai Brenda, ai Campanari, al conte Trezza (Villa Trezza), nel 1922 l’edificio fu ricostruito per il conte G. E. Elia (Villa Elia) e attualmente è sede dell’Ambasciata Portoghese presso la Santa Sede (O. Marucchi 1890, I. Belli Barsali 1970, M. Vichi 1971).

In assenza di documenti iconografici è particolarmente difficile immaginare l’aspetto complessivo del giardino. Infatti, non essendo noti gli eventuali lavori successivi, non possono avere valore probante le tarde testimonianze ottocentesche, come la planimetria contenuta nel Catasto gregoriano (mappa 153).  In essa tuttavia si vede una situazione che ha analogie con quella descritta nel documento seicentesco, ovvero la presenza di più edifici di piccole dimensioni e di una zona con giardino all’italiana, prossima agli stabili e al centro di lunghi percorsi viari interni alla proprietà.  Pertanto la descrizione della villa del 1629 è di grande interesse perché ci restituisce abbastanza vividamente l’idea del giardino, notevole esempio di eclettismo, che testimonia i particolari interessi del suo creatore.

La proprietà si distribuiva su un terreno irregolare, con zone fortemente scoscese, ed era pari a circa otto ettari e mezzo. Vi si alternavano, come era tradizionale, zone incolte – il bosco e il canneto – ad altre produttive – le vigne -e infine c’era il giardino vero e proprio.  Sin dall’ingresso il visitatore era accolto da figure inconsuete – sei tedeschi di peperino colorato, armati con alabarde, accompagnate da due figure di buoi – che stavano a guardia della villa e preannunciavano il mondo di figure in pietra nascosto nel verde.  L’inventario descrive ben tre edifici, uno con cinque locali al piano nobile e una loggia, probabilmente poco più in alto dell’ingresso principale, e due casini detti dell’orefice e del celso (gelso). È probabile che ciascuno avesse un suo giardino originario e non è chiaro sino a che punto le tre parti fossero state collegate.

Il casino del gelso aveva un giardino e un viale che terminava con un gruppo scultoreo singolare formato da una Madonna, appoggiata su una “lumaca”, incoronata da due angeli, davanti alla quale pregavano altri quattro angeli inginocchiati, di tufo imbiancato, associati ad iscrizioni.  Davanti all’edificio principale cera un ripiano (stazzo) con statue di peperino, che confinava con un giardino recintato e ornato da varie fontane. Una fontana più grande cra decorata da una statua di Apollo e si trovava presso un secondo cancello, arricchito da figure di selvaggi, due uomini e due donne, sempre di peperino colorato.

Nel giardino sembrano esservi stati lunghi viali, chiamati del boschetto, dei cipressi e viale coperto. In particolare lungo quest’ultimo, probabilmente formato da alberi potati in modo da congiungersi superiormente, erano dislocate moltissime sculture intervallate da iscrizioni, spesso con la presenza di sedili che dovevano favorire la sosta e la riflessione. Qui troviamo S. Bartolomeo, la Madonna tra i due S. Giovanni, seguiti poco dopo da pellegrini con agnelli, S. Michele, S. Giacomo, S. Girolamo, ma anche un Bacco e un satiro a sedere su una botte, un Apollo, un console e molte altre statuette e sculture.

All’estremità del viale coperto c’era una cappella dedicata all’Annunziata, con ben trentadue iscrizioni all’esterno, e, forse all’altra estremità del percorso, le statue dei santi Pietro e Paolo.

I lunghi viali sembrano traguardare elementi scultorei o architettonici – ad esempio è citata una guglia – e sono itinerari spaziali ma forse anche spirituali. Le statue dei santi, ben dieci, sorta di stazioni sacre, il percorso tra vestigia antiche, almeno in parte pagane. La scelta di questi santi p0trebbe essere stata dettata da motivi occasionali, come il riferimento ai nomi di vari membri di casa Bosio, o essere pensata in rapporto a una tematica religiosa.

In generale, per ora, non è possibile precisare se vi fu un progetto iconografico d’insieme, ma quel che colpisce è la varietà delle decorazioni e l’audacia degli accostamenti.  Un’iscrizione posta sul portale principale ricordava che il giardino era posto sotto la protezione di San Valentino (O. Marucchi 1890, pp. 137-138), martire romano sepolto qui vicino, ma è la Vergine che domina in questo piccolo mondo, poiché a lei erano dedicati ben tre complessi scultorei tra i più complessi. Una di queste statue di della Madonna fu rimossa nel 1887 circa, per la creazione della passeggiata Flaminia, e fu trasportata nel 1911, come ricorda un’iscrizione in loco, presso le catacombe di Domitilla (G. e F. Tomassetti 1912, ed. 1976, III p. 289). Benché mutila del braccio sinistro e ricoperta con una grezza scialbatura di cemento, è ancora un’opera leggibile, di grandezza monumentale e concepita per essere appoggiata ad un muro. L’atteggiamento e il panneggio della figura ne rivelano la derivazione da modelli classici mentre le tre iscrizioni che l’accompagnano la celebrano …

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