Case a torre in viale Etiopia

Nell’isolato tra viale Etiopia, via Tripolitania, via dei Galla e Sidama, via Adua, sorgono otto torri di dieci piani che dominano la sottostante Tangenziale Est e la valle dell’Aniene.

viale Etiopia è la strada che, costeggiando la Tangenziale Est, segna il limite orientale del Quartiere Africano.

Le case torri di viale Etiopia sono costruite dall’INA (Istituto Nazionale delle Assicurazioni) dal 1951 al 1954, da Mario Ridolfi e Wolfang Frankl e costituiscono la forma di espressione più compiuta del neorealismo architettonico a Roma, frutto dell’ampia ricerca tipologica avviata nel dopoguerra sull’edificio intensivo. Diventeranno un simbolo della ricostruzione.

I vincoli posti dal Regolamento edilizio e dalle regole di cantiere (entrambi arretrati rispetto alle tecnologie allora disponibili) sono assunti come elementi di base del progetto e indagati per quanto di positivo essi potevano offrire.

Tutti i piani sono tra loro uguali tranne il quinto e l’ultimo di ciascun edificio (in alcuni casi solo l’ultimo) che sono arretrati in modo da definire un loggiato continuo.

La superficie totale del lotto è di 1,2 ettari. L’organizzazione planimetrica degli edifici costituisce una soluzione alternativa rispetto al modello di crescita della città intensiva allora utilizzato dall’iniziativa privata (vedi viale Eritrea e viale Libia). Il progetto comprende anche un nucleo di negozi e servizi collettivi. Gli edifici hanno una profondità costante di 14 m mentre la lunghezza varia tra i 23,30 e i 33 m. Quelli più grandi comprendono 40 alloggi (4 per piano) e quelli più piccoli 30 (3 per piano). I corpi scala sono e … caratterizzati dagli elementi circolari in vetro cemento che ne costituiscono la principale fonte di illuminazione.

Le torri si distribuiscono in diagonale rispetto alla strada. Il disegno dei prospetti è risolto attraverso l’evidenziazione della funzione svolta dalle singole parti. Nel reticolo strutturale in cemento armato è evidente il progressivo assottigliamento dei pilastri, in relazione alla diminuzione dei carichi, e la conformazione a gocciolatoio delle travi perimetrali, che allontanano l’acqua piovana, così come fanno le tamponature, in leggero aggetto rispetto a queste ultime.

I vani finestra sono tripartiti orizzontalmente: il davanzale maiolicato quale omaggio alla cultura popolare, l’infisso sapientemente suddiviso e la veletta degli avvolgibili.

Con questo progetto Ridolfi e Frankl, lasciati decantare quegli aspetti sostanzialmente antiurbani che avevano caratterizzato gli edifici da loro realizzati al Tiburtino, affrontarono il tema della città e qui giunsero a maturazione una serie di esperienze sviluppate negli anni precedenti: le ricerche sulla casa alta elaborate per la Mostra dell’Abitazione all’E42, il lavoro per il Manuale dell’architetto, gli studi sui tipi edilizi predisposti per l’UNRRA e per l’INA Casa. Esse ebbero così occasione di integrarsi con quella particolare attenzione verso il «benessere psicologico» che caratterizzava in quegli anni il lavoro di Ridolfi e dell’Associazione per l’Architettura Organica.

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Viale Etiopia

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Bibliografia essenziale

  • “Guida all'architettura moderna. Roma. 1909-2000”, di Tullio Ostilio Rossi
  • «Casabella», n. 199, dicembre 1953-gennaio 1954 e n. 215 aprile-maggio 1957;
  • «La Casa», n. 6, 1959;
  • «Controspazio»: n. 3, novembre 1974; Mario Ridol/i, pp. 81-85;
  • M. Rebecchini Architetti italiani 1930-1960, Officina, Roma 1990, pp. 147-48: figg. 32-36.
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