In corso d’Italia 41 e 43, tra via Tevere e via Aniene, sorgono due palazzi per uffici costruiti per ospitare la sede della STET (una volta società capogruppo del gruppo Telecom Italia).
I due palazzi della STET sono stati realizzati in tempi successivi su progetto architettonico di A. Antonelli e M. Greco e su progetto strutturale di C. Benedetti e F. De Miranda. Il primo, quello all’angolo con via Aniene, è stato realizzato nel 1963-1965, il secondo dal 1965 al 1968.
I due edifici sono rivestiti con pannelli prefabbricati in pietra artificiale di due diverse tonalità di ocra e il partito architettonico è marcato dai canali verticali degli impianti che, pur assumendo configurazioni diverse, costituiscono un elemento di unità del progetto.
Nel primo edificio la soluzione architettonica ha un carattere più analitico e descrittivo nella quale vengono evidenziati il disegno dell’attico, il cornicione, i marcapiani e le soglie. Il secondo, quello all’angolo con via Tevere, ha invece un disegno più sintetico con un basamento porticato segnato dalle travi metalliche di bordo ed un coronamento molto netto, sottolineato dall’arretramento della facciata in corrispondenza del penultimo piano, che nel fronte su via Tevere si arretra dal filo della strada con una parete inclinata alta due piani.
In entrambi gli edifici le facciate sono caratterizzate da un forte spessore nel quale sono concentrati strutture portanti e impianti. Questo spessore, grazie anche alla disposizione su tre piani diversi degli elementi verticali, dei pannelli di tamponamento e delle finestre, determina chiaroscuri molto netti che rimandano alla profondità delle articolazioni delle pareti esterne negli edifici in muratura della città storica.
Questa caratteristica delle facciate è volta a ricucire sia la continuità volumetrica della quinta stradale, sia la continuità percettiva con gli edifici adiacenti e manifesta il proposito dei progettisti di non alterare i caratteri volumetrici e cromatici dell’ambiente nel quale i due edifici si inseriscono, nonostante anche questa opera si inserisca nel processo di terziarizzazione del quartiere esattamente come il vicino edificio in via Campania, che, al contrario, si pone come un frammento autonomo di un’ altra città, di una «città possibile».
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Bibliografia essenziale
- “Guida all'architettura moderna. Roma. 1909-2000”, di Tullio Ostilio Rossi (da cui è stata tratta questa pagina)
- “ Progetti di Architettura” di autori vari, Officina, Roma 1990, pp. 77·80.