Scala a chiocciola di Palazzo Corrodi

Palazzo Corrodi è “umbertino” all’esterno, ma oltre agli echi di una Roma fin de siécle, avvertibili nelle volte di vetro e nella sistemazione dei saloni, si è voluto,  in ossequio al Genius Loci, riferirsi al “linguaggio della città” al quale ogni epoca ha dato il suo contributo creativo.

La scala, per esempio, collocata al posto dello scalone ottocentesco demolito negli anni cinquanta del secolo scorso, rievoca il percorso delle grandi “chiocciole” romane, da quella bramantesca del cortile del Belvedere (la prima e più originale della serie oggi nei Musei Vaticani), alla scala del Mascherino nella Palazzina Gregoriana del Quirinale, a quella borrominiana di Palazzo Barberini, a quelle moderne di Giuseppe Capponi e di Pietro Aschieri.

Queste scale elicoidali hanno costituito il modo, tipicamente romano, di affrontare il problema della continuità visiva tra i diversi piani di un edificio.

Nell’edizione studiata per Palazzo Corrodi la chiocciola parte dal solaio del piano terreno ma non poggia su di esso.  Appesa al solaio del terzo piano si avvita verso l’alto usando le colonne di travertino come tiranti.  All’interno delle colonne, divise in quattro spicchi, si nascondono funi di acciaio che si scoprono solo a tratti per evidenziare lo stratagemma che ha permesso di costruire al di sotto un grande parcheggio meccanizzato.

Ai piedi della scala l’immagine scultorea della Geometria regge con una mano la “groma”, lo strumento degli agrimensori romani, e affianca la colonna spezzata che traduce in metafora il paradosso statico della scala, tesa come quella di Giacobbe verso il cielo.

Fonte:  testo di Paolo Portoghesi

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