Ai Parioli c’è una strada intitolata ai fratelli Ruspoli …
Degli ufficiali di nobile casato la “Folgore” ne conteneva parecchi, in gran parte provenienti dalla Cavalleria. I Ruspoli avevano voluto a tutti i costi far parte della divisione paracadutisti costituita per la conquista di Malta. E quando, sfumata la possibilità d’impiego dal cielo, i paracadutisti furono inviati in Africa Settentrionale a fare la guerra dei fanti, i Ruspoli, come tutti gli altri avevano obbedito, pur rendendosi conto quanto fosse stupido sprecare in quel modo dei magnifici reparti, composti dal fior fiore della gioventù italiana, costituiti per un tipo di guerra ben diverso da quello tradizionale.
Il tenente colonnello Marescotti Ruspoli, 49 anni, bruno, alto, elegante, provetto cavaliere, era il prototipo dell’ufficiale di carriera. Aveva preso parte alla prima guerra mondiale guadagnando una promozione sul campo, una medaglia d’argento e tre di bronzo. Nel dopoguerra era stato ufficiale d’ordinanza del Maresciallo Diaz, aveva compiuto diverse spedizioni in Africa, tra cui una, tra Sudan e Etiopia, alla ricerca della salma dello zio, il noto esploratore Eugenio Ruspoli, morto 34 anni prima e nel 1935 aveva partecipato da volontario all’impresa etiopica come capitano dei Cavalleggeri. All’inizio del secondo conflitto mondiale, aveva combattutto prima in Jugoslavia con il Genova Cavalleria e poi era stato uno dei primi ufficiali a raggiungere la Scuola Paracadutisti di Tarquinia.
Costantino, due anni più di Marescotti, era stato anche lui ufficiale di Cavalleria nella prima guerra mondiale, meritando una medaglia d’argento, ma, a differenza del fratello, aveva abbandonato la vita militare e s’era trasferito in Belgio. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, era subito tornato in patria chiedendo di essere arruolato “per fare il proprio dovere” ed era stato assegnato al suo vecchio reggimento. Saputo che il fratello era entrato a far parte di un nuovo corpo d’arditi che si lanciavano dagli aerei affidandosi a un ombrellone di seta, aveva deciso di seguirlo. E cosi un giorno gli istruttori di Tarquinia si erano trovati di fronte un capitano ultracinquantenne, un tipo austero che parlava a monosillabi, e avevano temuto che si spezzasse in due nel fare i vari esercizi obbligatori per un paracadutista. Invece Costantino, con la sua flemma di gentiluomo annoiato, aveva sbalordito tutti dimostrandosi più agile di un ventenne.
La sera del 23 ottobre 1942 a El Alamein un uragano di fuoco d’artiglieria inglese s’abbatté sulle linee italiane. Durò parecchie ore, poi davanti alla postazione della Folgore comparvero i carri armati. I primi a essere investiti furono i posti avanzati che furono travolti e soltanto pochi uomini riuscirono a ripiegare. Il nemico arriva a soli duecento metri dalle nostre linee. Il mattino del 24, mentre gli inglesi si riorganizzavano per riprendere l’attacco, il tenente colonnello Marescotti, appena tornato dall’ospedaletto da campo dove gli avevano curato le ferite procurategli dallo scoppio d’una mina, raggiunge il VII battaglione per concordare con il capitano Mautino il contrattacco. Poi, nonostante il fuoco nemico fosse ripreso con violenza, volle proseguire fino alle postazioni dell’VIII guastatori. “Non era possibile – raccontò poi Mautino – alzarsi in piedi, bisognava strisciare per non essere colpiti. Ma un Ruspoli non poteva strisciare di fronte agli inglesi. Lo vedemmo avanzare, in piedi, fino alla camionetta che lo stava attendendo in posizione più arretrata; poi l’automezzo partì verso il nord. Dalle nostre buche lo seguimmo con lo sguardo mentre filava nella zona già presidiata dai fanti della Pavia, fatto segno al tiro d’innumerevoli bocche da fuoco e dalle armi automatiche dei carri che scorrazzavano per il campo minato. Tutt’intorno era un ribollire di scoppi e di vampe, i fanti inglesi delle truppe d’assalto erano poco lontani e, al riparo dei loro mezzi corazzati, stavano avanzando. Improvvisamente, qualcuno fu visto balzare a terra dalla camionetta bruscamente arrestatasi e vedemmo confusamente delle figure agitarsi. Poi il fragore e il fumo della battaglia tutto avvolsero e non distinguemmo più nulla.
La sera, dal generale Bignami, avemmo le prime frammentarie notizie: schiantato in pieno da una granata …”. Quando comunicarono a Costantino la morte del fratello, egli non fece commenti. Si limitò a stringere la mascella e rifiutò seccamente la licenza che gli veniva offerta. Due giorni dopo, il 26 ottobre, cadeva anche lui in combattimento. La sua compagnia, la 11a era stata assalita da forze enormemente superiori. Nell’ultima comunicazione telefonica con il comando del IV battaglione, così riferì la situazione con la sua abituale laconicità: “Sono tanti… arrivano da tutte le parti… ci difendiamo”. Poi chiese ad un paracadutista di passargli il moschetto e si mise a sparare da una buca. Calmissimo, prendeva bene la mira prima di premere il grilletto, come se fosse in un poligono. Osservava attentamente gli uomini in cachi con l’elmetto a scodella a balzelloni dietro ai carri e a ogni colpo mormorava: “Ah, questi inglesi…”. Gli uomini in cachi continuavano ad avanzare, urlavano agli italiani di arrendersi, e Costantino Ruspoli, il principe flemmatico che non alzava mai la voce, questa volta si mise a gridare: “Non ci arrenderemo mai…” e, rivolto ai suoi paracadutisti: “Attenti, ragazzi, fate economia di colpi, tirate dritto…”. Poi, vedendo che gli inglesi continuavano ad arrivare da tutte le parti, pensò che fosse venuto il momento di dargli addosso all’arma bianca e saltò fuori dalla buca. Ma, fatti pochi passi, fu colpito e cadde riverso. I suoi ragazzi si fecero decimare, ma non cedettero la posizione al nemico.
Tratto da un articolo di di Aldo Giorleo pubblicato su bascogrigioverde.blogspot.it un blog dedicato ai paracadutisti delle Folgore.
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