Villa Felicetti

In  via Mafalda di Savoia 3, davanti all’ingresso di villa Polissena c’è un antico edifico rosso che si allunga sulla via. Sul portoncino è scritto Villa Felicetti.

L’edificio che vediamo ospita oggi un istituto religioso. Ma siamo sul percorso dell’antico vicolo di San Filippo e questa modesta costruzione è in realtà il “Casino Scarlatti”, casino nobile dell’antica Vigna Del Grillo Scarlatti, poi denominata Villa San Filippo.

All’inizio del Novecento, Villa San Filippo è proprietà dei Felicetti che avevano acquistato Villa San Filippo dai marchesi Guglielmi delle Rocchette che, a loro volta l’avevano acquistata nel 1858 dal marchese Giuliano Capranica del Grillo Scarlatti (vedi Vigna Del Grillo Scarlatti).

Sono i Felicetti, nel 1920, a lottizzare il giardino della villa e a svolgere spesso la duplice funzione di committenti e costruttori del complesso di villini e palazzine tra via Salvini, via Ristori, via Duse, via Moretti e via Bellotti-Bon.

E’ a loro in particolare che è espropriato il terreno intorno alla futura via Ristori, dove alcune cooperative, tra cui quella degli Invalidi della prima guerra mondiale, costruiscono i villini che vediamo ancor oggi (Villini di via Ristori). E questo succede quando piazza Ungheria era solo un polveroso incrocio di campagna.

Dopo la lottizzazione solo un piccolo giardino, residuo dell’originaria estensione della villa, sopravvive tra il casale e via Tommaso Salvini.

Il volume del casale Scarlatti è assai sobrio, allungato di fianco alla strada ad assecondarne la curvatura con l’irregolarità del proprio perimetro, secondo una tipologia di casale rustico assai comune nel suburbio romano, che traduce nell’unitarietà del prospetto la frammentazione, quasi per gemmazione “organica”, delle successive fasi di sviluppo e accrescimento proprie dell’edilizia premoderna.

Nella sua veste attuale, il casino è frutto di pesanti rimaneggiamenti moderni, a malapena leggibili sul prospetto interno dalla via Salvini, affacciato sul giardino: un ritmo di piatte e anonime lesene ai livelli inferiore e superiore e poi, al terzo piano, la sopraelevazione dell’intero edificio.

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