Questa pagina delinea la vita di Luchino Visconti proprietario di Villa Visconti sulla via Salaria.
Luchino Visconti di Modrone, (1906-1976), è stato un grande regista e sceneggiatore italiano, padre, insieme a Roberto Rossellini e Vittorio De Sica, del Neorealismo italiano.
Figlio quartogenito del duca Giuseppe Visconti di Modrone e di Carla Erba, proprietaria della più grande casa farmaceutica italiana, non riesce nemmeno prendersi un diploma. Presta servizio militare come sottufficiale di cavalleria. A soli 26 anni però, Luchino guida una scuderia di cavalli di sua proprietà raggiungendo ottimi risultati. Fin da ragazzo studia violoncello e frequenta il mondo della lirica e del melodramma: il padre è uno dei finanziatori del Teatro alla Scala di Milano e il salotto di casa Visconti è frequentato, tra gli altri, da Arturo Toscanini.
Luchino è insofferente a un ambiente che non corrisponde alle sue ambizioni intellettuali. Scrive drammi e racconti; acquista una cinepresa con cui compie i primi esperimenti cinematografici. Nel 1936 parte per Parigi dove inizia a frequentare il mondo della gauche. Entra in contatto con alcuni militanti antifascisti fuoriusciti dall’Italia, conosce la stilista Coco Chanel, con cui allaccia una relazione sentimentale. E’ lei che lo introduce negli ambienti degli intellettuali vicini al Fronte Popolare. Conosce Jean Cocteau, André Gide, Luis Buñuel, Man Ray, Kurt Weill, Henry Bernstein, Jean Renoir, con il quale inizia a lavorare come assistente alla regia e ai costumi e che lo introduce alle posizioni della sinistra. Dopo un breve soggiorno a Hollywood, rientra in Italia nel 1939 a causa della morte della madre e si stabilisce a Roma nella villa del padre a via Salaria.
A Roma incontra i giovani intellettuali collaboratori della rivista Cinema e si avvicina, grazie a questi al clandestino Partito Comunista Italiano al quale rimarrà legato fino alla morte. Da questo gruppo nasce una nuova idea di cinema che, abbandonando le melense commedie del cinema dei telefoni bianchi ambientate in ville lussuose, racconta realisticamente la vita e i drammi quotidiani della gente. Su queste basi, insieme a Pietro Ingrao, Mario Alicata e Giuseppe De Santis, nel 1942 Visconti mette in cantiere il suo primo film: Ossessione, ispirato al romanzo Il postino suona sempre due volte di James Cain. Protagonisti sono Clara Calamai, che sostituisce all’ultimo momento Anna Magnani costretta ad abbandonare il progetto perché in stato di avanzata gravidanza, e Massimo Girotti, nella parte del meccanico Gino. La vicenda inizia in un’osteria che sorge lungo una strada della bassa padana, poi si sposta ad Ancona e infine a Ferrara. La scelta di girare il film in queste città era controcorrente per l’epoca e dà al film un tono di realtà quotidiana che sorprese allora e continua a sorprendere. Con Ossessione Visconti dà inizio al genere cinematografico del Neorealismo. È proprio il montatore del film, Mario Serandrei, che visionando la pellicola girata darà per primo al film la definizione di ‘neorealista’, ufficializzando così la nascita di uno stile espressivo che avrà grande fortuna negli anni seguenti. Il film ha una distribuzione discontinua e tormentata in un’Italia sconvolta dalla guerra.
Dopo l’armistizio, Visconti collabora con la Resistenza assumendo il nome di battaglia di Alfredo. Datosi alla latitanza, invita l’attrice Maria Denis, con la quale ha una relazione, a offrire ospitalità nella sua villa a tutti gli antifascisti che si presentavano con la parola d’ordine « per conto di chi sai tu ». Questa villa diviene il rifugio di tantissimi clandestini. Tutte le finestre venivano sbarrate ed oscurate, in modo che dall’esterno la casa risultasse come disabitata, mentre all’interno era stata trasformata in una specie di dormitorio, mensa e ufficio, i cui occupanti entravano e uscivano solo di notte. Saranno “ospiti” di Villa Visconti Alliata, Guttuso, Morra, Lizzani, Amendola, Longo. Tutti debitori di soccorsi e di sovvenzioni al gran patrizio lombardo, affascinato dagli ideali della Resistenza. Sisinnio Mocci, impegnato nella lotta clandestina contro l’occupazione nazifascista di Roma, è assunto come maggiordomo ma, arrestato nella villa di Visconti, è poi trucidato alle Fosse Ardeatine.
Luchino è catturato nel ’44 e tenuto prigioniero per alcuni giorni dalla famigerata Banda Koch. Si salva dalla fucilazione solo grazie all’intervento dell’attrice Maria Denis, che intercede per lui presso Pietro Koch, probabilmente innamorato di lei. Nel 1945; al processo contro Pietro Koch Visconti fu uno dei principali accusatori del Koch e ne filmò anche l’esecuzione per il documentario Giorni di gloria, un film di regia collettiva dedicato alla Resistenza.
Nel frattempo si dedica all’allestimento di drammi in prosa (rimane leggendaria la compagnia formata con Paolo Stoppa e Rina Morelli) e, negli anni Cinquanta, anche alla regia di melodrammi lirici, tra cui quelli con Maria Callas Meneghini. La sua regia del 1958 di Don Carlo al Royal Opera House, Covent Garden di Londra è stata utilizzata fino al 2002.
Nel 1948 torna dietro la macchina da presa, realizzando un film polemico e crudo che denuncia apertamente le condizioni sociali delle classi più povere, La terra trema, adattamento dal romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga, uno dei pochi film italiani interamente parlati in dialetto, solo successivamente doppiato in lingua italiana. La sua carriera cinematografica continua con Bellissima del 1951, Siamo donne del 1953, Senso del 1954 a colori. Nel 1956 è tra gli intellettuali comunisti che manifestano contro l’invasione sovietica d’Ungheria, ma non lascia il partito comunista. Le notti bianche del 1957, vince il Leone d’Argento a Venezia. Rocco e i suoi fratelli, del 1960, nonostante le polemiche sollevate, vince il Gran Premio della Giuria a Venezia. Nel 1961, con Vittorio De Sica, Federico Fellini e Mario Monicelli, realizza il film Boccaccio ’70. Nel 1962 Visconti mette d’accordo critica e pubblico con Il Gattopardo, tratto dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e interpretato da Burt Lancaster e Claudia Cardinale.
Nel 1965 esce il film Vaghe stelle dell’Orsa. Durante le riprese, a Visconti viene presentato il giovane Helmut Berger, di cui si infatua e che diventa una delle icone del suo cinema nonché suo compagno nella vita, con una relazione che, tra gli alti e bassi dovuti al vivace stile di vita dell’attore austriaco, prosegue fino alla morte del regista. Accanto alle storie d’amore tradizionali infatti, vissute con Coco Chanel, Clara Calamai, Maria Denis, Marlene Dietrich, Elsa Morante, il regista non ha mai nascosto un suo orientamento omosessuale,che trova riferimenti espliciti in molti dei suoi film e allestimenti teatrali. Negli anni Trenta a Parigi, Visconti ha una relazione con un fotografo, negli anni Quaranta, nel pieno della sua consacrazione professionale, si innamora del giovane scenografo dei suoi spettacoli, Franco Zeffirelli, che vive per un lungo periodo nella villa del regista sulla via Salaria a Roma.
Alla fine degli anni sessanta Visconti, realizza La caduta degli Dei (1969), che costituisce il primo tassello di quella che sarà poi definita la ‘trilogia tedesca’. Gli altri due film saranno Morte a Venezia del (1971) e Ludwig del 1972, tutti e te interpretati da Helmut Berger. La ‘trilogia’ doveva diventare ‘tetralogia’ con La montagna incantata, un altro lavoro di Mann, ma nel 1972, il regista viene colto da un ictus cerebrale che lo lascia paralizzato nella parte sinistra del corpo.
Dopo l’ictus, il regista lascia la case di via Salaria e si trasferisce vicino alla sorella Uberta a via Fleming, in un appartamento in affitto moderno ma anonimo in cui probabilmente si sentiva provvisorio (sul citofono, c’era solo un pezzetto di foglio a quadretti con su scritto, con la biro, L. Visconti, dove, assistito dagli amici più intimi, Suso Cecchi D’Amico, Pietro Ingrao, lo sceneggiatore Enrico Medioli, il musicista Franco Mannino, Enrico Lucherini, lo scrittore Giuseppe Patroni Griffi, l’attrice Adriana Asti e il giovane aiuto-regista Giorgio Ferrara trascorre i suoi ultimi anni in cui, malgrado le condizioni di salute, ritorna a lavorare e riesce a girare due ultimi film, Gruppo di famiglia in un interno (1974), e il crepuscolare L’innocente (1976), tratto dal romanzo omonimo di Gabriele d’Annunzio.
Luchino Visconti muore nel 1976. Le sue ceneri di sono conservate dal 2003 sotto una roccia sull’isola d’Ischia, nella sua storica residenza estiva La Colombaia.
“Luchino, erede d’un nome storico e d’una ricchezza imponente, ha tentato in ogni modo di demolire la sua fortuna, ma sempre invano. Prima ci ha provato con i cavalli, poi con i film. Ma è riuscito soltanto a fare un sacco di soldi. Le donne più belle, dalla Calamai alla Valli, erano pazze di lui che non poteva amarle. La villa della Salaria fu il tempio delle occasioni perdute da un grande scialacquatore della vita, il quale si rivelerà insieme un memorabile regista e un elegante intellettuale, pur rimanendo soprattutto ciò che non gli interessava di essere, l’aristocratico lombardo che non amava nessuno.” La Villa sulla Salaria (Luchino Visconti e la Resistenza) di Giorgio Cavalleri Editore Nuove Parole.
Pagine al livello inferiore:
Pagina a livello superiore: Villa Visconti
Pagine allo stesso livello:
Pagine che parlano di questo soggetto
Altre pagine correlate:
In rete:
- http://www.panoramio.com/photo_explorer#user=303123&with_photo_id=18322423&order=date_desc
Bibliografia essenziale: La villa della Salaria, Editrice Nuove Parole, 2002