Edda Ciano

10 Aprile 1995. Si terranno domani, a Roma, i funerali di Edda Ciano, la primogenita di Benito Mussolini morta nella notte fra sabato e domenica nella clinica Nostra Signora della Mercede.

Ricoverata da circa un mese per una grave infezione renale, la vedova del ministro degli Esteri del Duce (che fu fucilato nel 1944 a Verona) aveva 85 anni. Nella camera ardente, a rendere omaggio alla salma, oltre ai figli Fabrizio e Raimonda, al fratello Romano con la figlia Alessandra e la moglie Maria Scicolone, si è recato il segretario di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini. I familiari non hanno voluto rilasciare dichiarazioni alla stampa, anzi alcuni parenti hanno invitato i cronisti ad allontanarsi.

Soltanto un’ amica che ha assistito Edda fino all’ ultimo, ha accettato di offrire il suo ricordo della figlia del Duce: “Era una persona meravigliosa, intelligentissima e di un’ estrema bontà . Ha sempre perdonato tutto e tutti e, diversamente da quello che si dice, aveva perdonato anche suo padre, al quale somigliava tantissimo. E’ stata una delle donne piu’ incomprese . ha concluso . e ha sofferto molto di piu’ di quello che gli italiani immaginano“. Ha chiuso nel silenzio una vita contrassegnata dalla tragedia: Eschilo e Euripide avrebbero potuto descrivere questa Elettra moderna, disperatamente legata al mito del padre nonostante fosse stato lui ad ucciderle il marito. Eppure il suo giudizio fu di condanna del genitore, anche se il tempo e le familiari riconciliazioni avevano affievolito risentimenti, rancori e maledizioni. Dopo essersi battuta fino all’ ultimo per salvare Galeazzo, continuava a difenderne la memoria e l’ azione, ad accusare chi avrebbe potuto intervenire e non lo fece: “Anche se mio padre quella morte non la volle direttamente, in ogni caso lasciò fare, sia per quella sorta di fatalismo che talvolta ci induce a dire, quando ci troviamo di fronte a una determinata situazione: “Pazienza. Non si possono fermare le cose, succeda quel che deve succedere. Di conseguenza, almeno in parte, egli ne fu responsabile“. E ancora: “Non e’ stata la morte come fatto in sè ad assumere tanta importanza ai miei occhi, ma le ragioni di quella morte e il modo in cui mio marito fu ucciso“.

Lei, in quella vicenda di odio e di sangue, era stata all’altezza degli eventi. Forse la sola creatura umana tra gente feroce in cerca di spietate vendette.  La notte del 7 gennaio 1944, affranta per il gelo e l’angoscia di essere giunta con un ritardo di due ore all’appuntamento, immobile al decimo chilometro della strada da Verona a Brescia, Edda aspettò a lungo che i tedeschi tenessero fede all’ impegno preso e le portassero, libero, Galeazzo Ciano. C’era un reciproco ricatto tra lei e i nazisti: la consegna a Kaltenbrunner e Himmler del diario del marito, in cambio della sua vita. Il diario era un’ arma potente, un’ accusa documentata della malafede dei tedeschi e della loro dichiarata responsabilità nell’ avvio della guerra, una denuncia delle menzogne di Ribbentrop. Per questo soprattutto i due gerarchi nazisti lo volevano, per poter schiacciare il ministro degli Esteri del Reich, loro nemico mortale. L’ iniziativa era stata suggerita da Frau Beetz, la spia messa a fianco del conte per carpigli i documenti e che invece aveva perso la testa per lui. Per questo erano concordi nel tacere con Hitler e nel metterlo di fronte al fatto compiuto: due SS travestite da ufficiali fascisti sarebbero penetrate nel carcere di Verona e avrebbero portato via Ciano, conducendolo dove lo aspettava Edda quella notte. Insieme sarebbero volati in Ungheria e quindi in Turchia.

Tutto crollò perché, all’ ultimo momento, Hitler seppe del piano. Ciano fu fucilato sugli spalti del tiro a segno militare di Porta Catena. Un’esecuzione orrenda, filmata dai tedeschi per mandarne testimonianza a Berlino. Edda il giorno 8 raggiunse Como con il marchese Pucci, aveva con se parte del diario, un’altra parte la ritirò in città da un amico a cui l’ aveva affidata. Passò la notte all’albergo Madonnina di Viggiù, la sera del 9 varcò il confine con la Svizzera e si consegnò ai doganieri. Poté riunirsi ai suoi tre bambini, già in Svizzera dal 12 dicembre precedente. Là seppe della morte di Galeazzo e si scoprì perfino incapace di piangere. Piansero i suoi due figli più grandi, quando glielo disse. Era sempre stata una donna di carattere deciso e lo aveva dimostrato al momento del bisogno, quando si era trattato di lottare contro Hitler e contro suo padre per salvare la vita a Galeazzo. Nessuno le era venuto in aiuto, dei tanti che nei giorni della fortuna le strisciavano ai piedi, tranne Pucci.

Tutto era crollato dopo il 25 luglio, con Mussolini prigioniero e lei e suo marito agli arresti domiciliari a Roma, sentendo incombere ogni giorno di più la vendicativa avversione di Badoglio. Finché, per disperazione, s’ era intesa con i tedeschi, ottenendo da loro (proprio da loro…) la promessa d’ essere portata in Spagna con Galeazzo. I Ciano furono caricati su un’ automobile fornita dai servizi segreti delle Ss e condotti all’ aeroporto; ma invece che a Madrid, si ritrovarono a Monaco. Era il 27 agosto 1943. Furono i tedeschi a consegnare Ciano ai fascisti a Verona, assicurandosi che lo avrebbero ucciso. Era meglio lasciar compiere il delitto agli sgherri, Machiavelli lo avevano letto anche loro. Ancora oggi e’ difficile capire perché i Ciano abbiano commesso l’ ingenuità di affidarsi ai loro peggiori nemici. Edda disse che erano sicuri di essere arrestati da Badoglio e di avere temuto che il Maresciallo facesse fare a loro la stessa fine di Muti. Sarà . Credere però di venir portati in Spagna, una volta saliti su un aereo tedesco, dimostra . non fosse altro, come Edda e Ciano attraversassero un momento di grave confusione, incapaci di un’ analisi obiettiva della situazione. Lei dirà che i tedeschi li ingannarono, e questo e’ sicuro: li portarono a Monaco con la frode. Ma il tradimento era prevedibile, sia Edda sia Galeazzo sapevano di trovarsi sulla lista nera di Hitler. Edda capì quale sarebbe stato il destino di suo marito quando Galeazzo venne trasferito a Verona e chiuso in carcere.

Era stata una moglie molto mondana, molto frivola, molto coinvolta nel giro di quella che negli anni del Littorio fu la dolce vita. Suo padre, da piccolo borghese qual era, una volta raggiunta una posizione di spicco, aveva voluto per la figlia un’ educazione da classi alte. Di conseguenza, iscrizione al collegio delle Dame Inglesi di Firenze, dove studiavano le ragazze della nobiltà europea (e di dove Edda sarà cacciata per condotta turbolenta), studio delle lingue, denari, famose sarte, un’ Alfa Romeo decapottabile quando le donne al volante si contavano sulle dita, viaggi, bei ragazzi di estrazione elevata e di solidi patrimoni. Lei ebbe vari flirt senza importanza, fu sul punto di sposare un Pier Francesco Mangelli, industriale forlivese, poi incontrò Ciano, se ne innamorò . Al cinema, guardando un film, promisero anticonformisticamente di sposarsi. Edda aveva 20 anni, lui 27. Mussolini si dichiarò entusiasta. Galeazzo era figlio del suo amico Costanzo, designato successore in caso di morte, medaglia d’ oro, conte di Cortellazzo, eroe di guerra, ricchissimo. Nozze principesche il 24 aprile 1930, nella chiesa di San Giuseppe al Nomentano, dopo un ricevimento a Villa Torlonia di quattrocento invitati, le signore in lungo e i signori in tight.

Partirono per la Cina, dove Ciano era stato inviato come console generale a Shanghai. Rimasero tre anni e là nacque il loro primo figlio, Fabrizio, nel 1931. Tornarono in Italia quando Galeazzo prese il volo per quella straordinaria carriera pilotata dal suocero che doveva portarlo nel 1936 ad essere ministro degli Esteri a 33 anni. Ebbero altri due bambini, Raimonda nel 1933 e Marzio nel 1937. Frequentavano l’ aristocrazia romana ricevevano con sfarzo; poi poco per volta ognuno scelse la propria vita, con eleganza, senza clamore, divennero quella che oggi si sarebbe detta una coppia aperta. Galeazzo aveva le sue contesse adoranti al Circolo del golf, i suoi amori di cui tutta Roma sapeva (e Edda per prima), la sua corte nel salotto della principessa Isabel Colonna. Edda partiva con i suoi amici e i suoi flirt per Cortina, per Venezia, per Capri, regnava su un gruppo di playboy e di bellezze disinibite, giocava (e perdeva) a bridge e a poker quasi con furore. Era talvolta protagonista di episodi su cui le questure stendevano con preoccupazione un velo di silenzio. Con Galeazzo, si telefonavano, con tolleranza reciproca e stile. Non si sarebbe immaginata in quella bella signora svagata e indifferente a qualsiasi impegno serio una donna capace alla fine di sfidare il terrore nazista e il proprio padre per strappare suo marito alla forca.

Ma questo ritratto di Edda si basava sulle apparenze. In realtà era dura, forte, intelligentissima, coraggiosa. Di tutti i fratelli la più simile a suo padre e da lui la più amata, per certi versi (intuizione, interessi, rapidità di decidere, uso di mondo) superiore allo stesso Mussolini. Fin dall’ inizio la sua esistenza era stata fuori del comune: nata a Forlì il primo settembre 1910, quando i suoi genitori non erano sposati, si disse a lungo che non fosse figlia di Rachele, ma di Angelica Balabanoff, l’agitatrice russa con cui Mussolini aveva avuto una relazione. Non era stata nemmeno battezzata, in omaggio alla pratica del libero amore dei genitori socialisti; lo fu solo quando suo padre, presidente del Consiglio, capì la convenienza di rientrare nell’ ortodossia. Edda teneva a far sapere di non essersi mai interessata di politica, di aver vissuto come se non fosse stata la figlia del Duce e la moglie di Ciano. Non e’ vero. Il Duce la mandò a Londra, alla vigilia della guerra d’ Etiopia, a fare propaganda alla causa fascista e a captare gli umori degli inglesi, e lei vi riuscì benissimo. Così pure le toccò recarsi da Hitler a riannodare i fili con Mussolini, dopo il loro infelice incontro di Venezia del 1934: e anche stavolta ebbe successo. Interveniva in politica interna, seppure nell’ ambito familiare, ed ebbe il coraggio di affrontare suo padre, irretito dalla Petacci, e di accusarlo di perdere la testa per quella donna trascurando tutto il resto, di mostrargli che razza di gente circolasse intorno a Claretta, di dirgli chiaro e tondo che il fratello Marcello Petacci era un pericoloso intrallazzatore. E fu ancora lei, quando sembrava che Mussolini avesse un cancro e nessuno osava affrontare la situazione e costringerlo a curarsi, ad assumersi la responsabilità di parlargli fuori dai denti e a cercargli medici meno avventurosi di quelli a cui si affidava. Una donna di ferro. Mussolini, pur temendola, l’ ammirava e ne era orgoglioso.

La sua vita si è conclusa non ora che la morte l’ha raggiunta, ma quel giorno del gennaio 1944 quando seppe della fine di suo marito. Quali sentimenti abbiano lacerato per anni il suo cuore è possibile immaginare: questa donna aveva avuto il marito, il padre dei suoi figli, fatto uccidere da suo padre che aveva subito quella morte senza far nulla per impedirla, che aveva resistito ad ogni sua supplica e minaccia. Odio? Desiderio d’ una nemesi? Disprezzo? Astio per una madre che non l’ aveva aiutata e che era stata anzi la più severa accusatrice del genero? Oppure, come sembrò negli ultimi anni, se non rappacificazione, almeno rassegnazione a un destino legato comunque a un’ ombra paterna ora forse più vicina e a un mondo a cui tuttavia continuava a sentirsi estranea? Chissà se dentro di se aveva perdonato. Compreso, forse. Ma continuava ad accusare il padre, pure amato fino allo struggimento, di avere accettato il vile escamotage di Pavolini per scaricarsi la coscienza: le domande di grazia non gli erano state portate e dunque non aveva potuto firmarle, non era colpa sua dunque. Edda diceva: “Che bisogno aveva di aspettare le domande di grazia? Era in grado di graziare i condannati con un colpo di telefono. La verità e’ che aveva paura di indebolire il suo prestigio presso i tedeschi”. Questo, lei, poteva anche capirlo. Ma perdonarlo? “Edda era una donna notevole, certamente la migliore della famiglia”, sostiene lo storico britannico Dennis Mack Smith, “una donna certamente coraggiosa, direi migliore di suo marito Galeazzo, di cui credo proprio che non fosse per nulla innamorata”.

Il regista Carlo Lizzani, che nel 1962 diresse il celebre film “Il processo di Verona”, ancora oggi ricorda le polemiche che ne seguirono: “Gli antifascisti mi rimproverarono di essere stato troppo generoso con la figura di Edda: ma sono convinto che dimostrò molto coraggio nell’opporsi al padre e anche ai tedeschi“. Edda, osserva il giornalista e storico Antonio Spinosa, “interpretò un ruolo di primo piano in quel “teatro della crudeltà ” che fu il fascismo“. Dopo il regime, prosegue Spinosa, lei rimase “in solitudine, al limite della follia“. Spinosa ricorda ancora che nel 1945, alla notizia della morte del padre, Edda, segregata in Svizzera, indossò uno sgargiante abito rosso per gioire dell’ evento. Per Marina Addis Saba, docente di Storia Contemporanea all’ Università di Sassari, “Edda incarnò la donna nuova del regime, non più solo sposa e madre, ma signora elegante e sportiva“. Il tentativo di salvare il marito fu reso vano dagli uomini di Hitler, che non la tenevano molto in considerazione: questa la dichiarazione dello storico tedesco Erich Kuby. “Goebbels, aggiunge Kuby, sapeva molto di lei ma probabilmente accreditava quelle voci secondo cui Edda era figlia di un’ ebrea russa (Angelica Balabanoff) e non di donna Rachele“.

Testo parzialmente tratto da un articolo di Silvio Bertoldi pubblicato sul Corriere della Sera il 10 aprile 1995

Ritornata dalla Cina Edda e Costanzo abitano in Via Angelo Secchi 9. Gli ultimi anni di vita Edda li trascorre in Via Paolo Frisi 38, circondata dai numerosi gatti che accudiva.

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