Targa Antonio Varisco

Nel giardinetto di lungotevere Arnaldo da Brescia, prima di Ponte Nenni di fronte alla Palazzina Nebbiosi, c’è una grande lapide in memoria di un Carabiniere: il Colonnello Antonio Varisco.

Classe 1927, di Zara, Antonio Varisco entra nei Carabinieri giovanissimo.  Compiuti 30 anni è ufficiale e viene a Roma con il compito di organizzare la sicurezza degli uffici giudiziari.  Nel 1973, gli viene affidata la responsabilità del Nucleo di Polizia Giudiziaria.  Siamo in piena emergenza eversiva, i giudici e gli avvocati sono bersaglio dei gruppi terroristici di estrema sinistra e destra e Varisco svolge indagini che toccano quel sottobosco delle istituzioni che lavora alla destabilizzazione dell’ordinamento democratico.  Attento e puntiglioso nel suo lavoro, ha anche una buona capacità di relazionarsi con i cronisti di nera, tra cui Mino Pecorelli. Si occupa dello scandalo Lockheed, è coinvolto nell’inchiesta sulla Rosa dei Venti, per poi occuparsi dello scandalo Italcasse, inchieste che vedono coinvolti apparati dello Stato ai massimi livelli.  E’ chiamato in causa dal giudice Vittorio Occorsio nelle primissime indagini sulla loggia P2 di Gelli, che il Giudice considerava legata all’eversione nera.

Tra le inchieste più scottanti seguite da Varisco c’è quella sul caso Moro nel 1978.  Alcuni memoriali dello statista ucciso dalle Brigate Rosse vengono pubblicati da Pecorelli, che sembra molto informato a dispetto dei suoi colleghi.  Di quante altre informazioni Mino Pecorelli fosse a conoscenza non potremo mai saperlo perché nel 1979 viene ucciso sotto la sede del suo giornale, in via Tacito 50.  Vent’anni dopo, il Corriere della Sera, scrive che quella sera Varisco, e Domenico Sica arrivano sul posto poco dopo l’omicidio, salgono in redazione e trovano un biglietto dalla firma illustrissima. «Caro Pecorelli, le invio questo medicinale perché possa lenire la sua cefalea. Io, come lei sa, soffro del medesimo male.  Importante è comunque che lei si prenda un periodo di riposo.  Giulio Andreotti».  Un invito cordiale o un ordine?

Pochi giorni dopo quella morte, in un taxi a Roma viene ritrovato (quanto casualmente non si sa) un borsello con appunti su persone in vista, tra cui Pecorelli, con scritto: «Mino Pecorelli (da eliminare) preferibilmente dopo le 19 nei pressi della redazione di OP».  A margine un’altra annotazione: «Martedì 6 marzo 1979 causa intrattenimento prolungato presso alto ufficiale dei Carabinieri, zona piazza delle Cinque Lune, l’operazione è stata rinviata».  L’alto ufficiale era proprio Varisco e quell’omicidio lo convince, a soli 52 anni, a lasciare l’Arma e una carriera sicura. Il colonnello rassegna le dimissioni per andare a dirigere la sicurezza di un colosso dell’industria italiana.  Qualcuno ipotizza invece che queste dimissioni fossero un salto di qualità del suo ruolo investigativo.

Fatto sta che, mentre con la sua BMW sta percorrendo Lungotevere Arnaldo da Brescia verso piazzale Clodio per il passaggio di consegne, in un tratto dove la strada si restringe per un cantiere della metropolitana, due auto gli si affiancano e gli sparano quattro colpi con due fucili a canne mozze, uccidendolo all’istante.

Nel 2024, dopo più di cinquant’anni, nel cantiere hanno ripreso a lavorare .

Fonte: un articolo di Mauro Valentini che ringraziamo.

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