Assedio di Roma degli Ostrogoti

Dopo la caduta dell’Impero Romano di Occidente, tra il 2 marzo del 537 ed il 12 marzo del 538, Roma dovette subire l’assedio degli Ostrogoti guidati da Vitige.  Questo famoso episodio della Guerra Gotica ebbe come protagonista assoluto il generale Belisario e le Mura Aureliane intorno alla città. 

Il 3 dicembre del 536 d.C. Flavio Belisario (Flavius Belisarius), generalissimo della Maestà Imperiale Romana d’Oriente celebrato per le molte vittorie, invitato da Papa Silverio a liberare Roma dai barbari, dopo aver attraversato la “via Latina”, entrava in città, dalla “Porta Asinara” (Porta San Giovanni), con il suo esercito. Iniziava così la prima parte della guerra gotica. Nel frattempo, gli Ostrogoti, battendo frettolosamente in ritirata, uscivano dalla “Porta Flaminia”, dirigendosi a Ravenna.

Tra i primi di dicembre del 536 e quelli di febbraio dell’anno successivo, Vitige (Witigis o Witiges), re dei Goti, (di famiglia ostrogota non illustre) riunita una forte armata, si presentò sotto le mura dell’Urbe, cingendola d’assedio con sei accampamenti, tra “Porta Flaminia” e la “Prenestina”, mentre un settimo, collocato a Trastevere, impediva i contrattacchi e distruggeva il Ponte Milvio, tagliando agli assediati il traghettamento tra le sponde fiume, minacciando la “Porta Aurelia” e quella trasteverina.

Gli Ostrogoti, inoltre, avevano costruito, intorno ai loro campi, fossati e trincee, e, come tutti i popoli germani, li avevano fortificati con pali aguzzi, per evitare incursioni notturne da parte degli assediati. Nel frattempo avevano tagliato tutti e quattordici gli acquedotti di Roma, con l’intento di fare capitolare la città per sete.

Lo stratega bizantino, però, dopo aver assunto la difesa di Porta Pinciana e Porta Salaria, secondo il suo parere più minacciate, fece murare la “Porta Flaminia”. E ricordandosi che, nella conquista dell’Italia meridionale, era penetrato nella città di Napoli, attraverso gli acquedotti, fece ostruire solo quelli che penetravano nell’urbe.

La mancanza d’acqua, nel frattempo, mise in crisi la “Città Eterna”, impedendo ai mulini di funzionare, soprattutto per la scarsità di animali da soma. Belisario, allora, creò “mulini a nave”, ossia fece ancorare sul fiume delle barche, l’una accanto all’altra, e v’impiantò delle mole, che giravano grazie a delle ruote mosse dall’acqua del Tevere. Era iniziata la famosa “guerra di logoramento” che caratterizzava la strategia militare del generale di Bisanzio.

Di contro, i Goti cercarono di spazzare il ponte di barche e le mole, con grandi tronchi d’albero immessi nel fiume, e inquinare le acque con cadaveri di nemici morti in battaglia. La contromossa del condottiero orientale non si fece attendere.  Chiuse il Tevere con delle catene, distese da una riva all’altra, impedendo ai barbari i loro disegni e soprattutto la navigazione.  I mulini cominciarono a funzionare e i romani grazie all’acquedotto Vergine che scorreva in profondità e ad alcuni pozzi sparsi in città, poterono combattere la sete.

Gli Ostrogoti durante l’assedio alla “città eterna” usarono onagri, arieti, testuggini, baliste, torri di legno, fascine per colmare i fossati, eccidi di prigionieri, e persino un trabucco chiamato “Lupo” , una micidiale macchina da guerra che lanciava sassi per distruggere le mura, senza mai riuscire ad annoverare una sola vittoria.

Avevano di fronte la grande civiltà militare di Bisanzio e loro erano, ancora, dei popoli barbari. All’apice della “guerra psicologica”, tra Bizantini e Ostrogoti, c’erano i “catafratti bizantini”, (cavalieri ricoperti interamente di armatura ferrea, così come i cavalli di corazze formate da lamine di ferro), figli della tradizione militare sarmata, armena, sasanide e parta, l’unità da guerra più terrificante e temuta del tempo.

All’improvviso, uscendo dalle porte segrete dei bastioni, i “cavalieri della morte” piombavano veloci come il vento sull’esercito ostrogoto, seminando terrore. La prima ondata colpiva la cavalleria gota, con le lunghe e famose lance “Kontarion”, la seconda, la seconda con gli arcieri sterminava la fanteria. Era un tiro a segno, impietoso, un massacro, veloce e pungente, che non dava tregua ai nemici, impotenti a reagire a una macchina da guerra, così rapida e perfetta.

Passata l’orda dei “cavalieri neri”, tutt’intorno, regnava il silenzio della morte: I “catafratti” erano spariti nel mistero da cui erano venuti. Anche i cittadini romani compirono atti di eroismo, aiutando i soldati bizantini, giunti in loro aiuto, a lanciare pece e acqua bollente sugli Ostrogoti.

Famoso fu l’avvenimento al Tempio di Adriano, dentro le mura, dove gli assedianti erano penetrati.  La popolazione ruppe le statue di marmo del mausoleo e, con un fitto lancio di lastroni, distrusse l’iniziativa dei nemico, che lasciarono sul terreno molti morti. I Goti, allora, tentarono una forte sortita nello stretto passaggio del “Vivarium”, con ingenti forze, ma, avendo Belisario fatto predisporre una trappola, l’attacco si trasformò in un eccidio per i Goti dell’est, che lasciarono sul terreno molte armi e macchine da guerra in fiamme.

L’assedio alla “città eterna” durò dal marzo del 537 a marzo del 538 quando Belisario con i catafratti ed i brucellarii uscì da Porta Pinciana e sbaragliò definitivamente Witiges.

Dopo questa sortita, le truppe ostrogote, decimate dalla peste, dalla fame, dalla sete e dalle armi, e, dopo aver inviato una delegazione a Bisanzio per una pace onorevole, respinta dall’imperatore d’oriente, si ritirarono con il loro re e tolsero l’assedio all’Urbe.

Nel 539, il re ostrogoto si rifugiò a Ravenna, a causa di una calata devastatrice dei Franchi.  L’imperatore, nel frattempo, minacciato dai Persiani (sobillati dallo stesso Witigis, così come affermano gli storici), aderì a una pace con il re dei Goti dell’est. Belisario, però, si oppose fermamente e, quando i Goti, gli offrirono la corona, fece finta di accettare ed entrato, a maggio del 540, in Ravenna fece prigioniero Witiges, la moglie Matasunta, (Mataswintha, che spesso aveva tramato contro il marito, della dinastia degli Amali, figlia del re visigoto Eutarico Amalo e di Amalasunta – Amalaswintha), la corte e confiscò il tesoro regio.

A Costantinopoli, Vitige divenne amico di Giustiniano, che lo creò “patricius” dell’impero romano d’oriente.  Morì nel 542 e fu l’ultimo sovrano degli Ostrogoti, riconosciuto dall’autorità legislativa imperiale.  Mataswinta, “patricia ordinaria”, andò in sposa al nipote di Giustiniano I, Germano, comandante supremo militare in Italia.  Lo scopo fu politico: legare gli Amali goti con gli Anici romani.

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Mura Aureliane

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