“Quando ai Parioli c’erano i campi …” di Giovanna Alatri

di Giovanna Alatri

vicolo dell’Arco Oscuro

Sino agli inizi del Novecento, prima che venissero realizzati i lavori di trasformazione di Roma, previsti dopo l’Unità per lo sviluppo urbanistico della Capitale (1), la zona dei Parioli era una delle periferie più ricche di verde della città per la presenza di ville storiche, di vigne, di campi, ma destinata in tempi relativamente brevi a trasformarsi in un quartiere denso di edifici, che hanno cancellato gran parte dei suoi splendori naturalistici e hanno fatto dimenticare i nomi di alcuni “inquilini” che vi abitavano: artisti, letterati, educatori, come ad esempio, tra i tanti, Giacomo Balla, Alessandro Marcucci, Giovanni Cena, allora poveri e sconosciuti ma che sarebbero presto “saliti in gloria”. 

Questi tre personaggi, legati da forti vincoli di amicizia e familiari, hanno abitato in quella parte dei Parioli compresa tra Villa Borghese, Villa Glori, Villa Ada (n.d.r. allora Villa Savoia), luoghi allora pieni di fascino per le loro ricchezze architettoniche, naturali e storiche: a cominciare da Villa Borghese che nel 1901 da bene privato era diventata proprietà dello Stato e che, ceduta al Comune nel 1903, divenne parco pubblico col nome di Villa Umberto I. Per la posizione privilegiata, la ricca vegetazione e la presenza di preziosi manufatti, questo vastissimo parco, considerato da subito il simbolo della città, è stato fonte di ispirazione per artisti e poeti, e meta esclusiva per feste, pubbliche, manifestazioni, passeggiate ricreative; inoltre, per l’aria pura che vi si respirava, divenne sede ideale per soggiorni diurni di bambini bisognosi di cure igienico-sanitarie.

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Anche la verde altura di Villa Glori, resa celebre dalle vicende storiche che vi si svolsero nel Risorgimento, possedeva le stesse caratteristiche salubri di Villa Borghese, tant’è che fu scelta dall’amministrazione comunale ad ospitare sulla sua sommità la “Colonia Marchiafava”, costituita da alcuni padiglioni in legno in cui venivano accolti i bambini poveri, gracili e predisposti alla tubercolosi (n.d.r. oggi Case Famiglie della Caritas).

Ai piedi di Villa Glori, punto di ritrovo popolare e meta di gite “fuori porta” era allora la Fontana dell’Acqua Acetosa: “[…] La fama della salutare acqua, che scaturiva in riva al Tevere fuori porta Flaminia, […] risale all’inizio del secolo XVII, quando il Papa, Paolo V Borghese, per far fronte alle numerose malattie che serpeggiavano tra i suoi soldati e la popolazione, su consiglio di valenti medici, fece costruire la fonte che, attraverso condotte allacciate alla sorgente, erogava gratuitamente l’acqua medicamentosa […]”.(2)

Dopo la prima costruzione voluta da Paolo V, altri pontefici, convinti da illustri scienziati sostenitori della sua efficacia, si interessarono all’acqua acetosa e alla conservazione della fontana; Papa Alessandro VII, della famiglia Chigi, le diede l’aspetto di monumento, facendola ricostruire su disegno del Bernini, ampliandola, depurando le condutture, circondandola di alberi e dotandola di tre getti di acqua per favorirne la distribuzione al numeroso pubblico; nel corso del tempo seguirono altri interventi per la sua tutela e conservazione.

La fontana dell’Acqua Acetosa, oltre a costituire una specie di dispensario farmaceutico gratuito per la popolazione, ha alimentato per secoli una industria povera ma particolarmente caratteristica dei costumi romani: quella dei tradizionali venditori d’acqua, degli acquacetosari, che nonostante il gran lavoro, occupavano uno dei gradini più bassi della variegata scala commerciale esistente in Roma. I numerosi venditori ambulanti, a piedi o con dei carretti trainati da somari, giravano per la città con barili e i fiaschi per distribuire alla popolazione quella particolare acqua dalle qualità terapeutiche. All’Acqua Acetosa, quando ancora la città non si era estesa fuori le mura, una volta l’anno si recavano in gita tutti gli alunni delle scuole elementari di Roma: “Per la passeggiata annuale – narra la cronaca – occorreva provvedersi di un berretto di tela grezza alla scozzese, orlato con una fettuccia rossa, che formava al finale due codini svolazzanti sulla nuca, così da sembrare il copricapo di un perfetto garzone di scuderia, e i più abbienti dovevano acquistare […] una divisa fatta completamente di tela, con pantaloni lunghi, serrati in fondo dalle ghette […].

Questi privilegiati, la mattina dell’adunata che si effettuava a piazza del Collegio Romano allo spuntar dell’alba, venivano incolonnati quali campioni di stile e di eleganze subito dopo la fanfara dell’Istituto della Sacra Famiglia. Seguivano gli “ordinari”, cioè quelli in abito borghese, anch’essi con berretto da stallino, tascapane e borraccia, e quando il corteo si metteva in moto, si notava tutta una retroguardia formata da un codazzo di castagnacciari, di pasticceri ambulanti muniti del sacchetto con le palline della tombola per la lotteria, di bibitari, bruscolinari eccetera […]”.(3)  Attualmente, soffocata tra un parcheggio, un deposito di mezzi della Nettezza urbana, un incrocio di strade trafficate, un supermercato e un nuovo mercato rionale, la fontana del Bernini, dopo anni di abbandono e totale degrado e stata finalmente restaurata, ma priva della sua famosa acqua che, nel frattempo, chissà mai dove è andata a finire, è stata resa inaccessibile da robuste inferriate. E pensare che Goethe durante il suo soggiorno a Roma, dall’inizio del Corso vicino a piazza del Popolo, dove alloggiava, si recava a piedi tutte le mattine (andata e ritorno km. 6,400) alla fontana dell’Acqua Acetosa per berne un bicchiere!

Continua con la puntata: Giacomo Balla e la via dei Parioli)

Altre puntate seguenti del racconto: Alessandro Marcucci e il vicolo CarcanoGiovanni Cena e il vicolo San Filippo.

NOTE:

(1)  Nel 1873 venne redatto il primo Piano Regolatore per il rinnovo di Roma capitale, che però rimase inattuato; nel 1883 a sua modifica e integrazione venne approvato un nuovo Piano Regolatore, di Alessandro Viviani, che permise di avviare i primi lavori per il miglioramento della città; nel 1909 un terzo Piano Regolatore firmato da Edmondo Sanjust di Teulada e approvato dall’allora Sindaco Ernesto Nathan, contribuì in modo significativo a realizzare la trasformazione urbanistica della Capitale e a fornirle i servizi necessari.
(2) Cfr. Paolo Picca, ‘L’acqua acetosa e gli acquacetosari a Roma”, Nuova Antologia, maggio 1910, p. 113; Alessandro Canezza, “Il risanamento clementino dell’Acqua Acetosa e l’opera di Giovanni Maria Lancisi”, Capitolium, N.11, novembre 1931, p. 576.
(3) Piero Scarpa, Vecchia Roma, Roma, Editore Ferri, 1939, p. 126.

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