“Il Flâneur racconta …” di Caterina Loredana Mammola

RACCONTO DEL FLANEUR PUBBLICATO IL 30/04/2024.

Alba domenicale di marzo, dall’insolito splendore: a Roma, il verde e l’azzurro gareggiano nella sinestesia della luce e del silenzio.  La primavera incipiente sembra volersi annunciare con sontuoso compiacimento.  Un eccentrico personaggio, gode, solitario, delle strade dormienti, delle prospettive aperte, del profumo delle grandi ville a nord del centro.  Risale dal laghetto di Villa Ada, alle spalle l’odore intenso delle siepi d’alloro, attraversa la Salaria sgombra del rumore della “civiltà” dell’uomo, percorre viale Somalia, oltrepassa il quadrivio di largo Forano, imbocca via Magliano Sabina, supera la chiesa dei Cuori di Gesù e Maria (i cuori del figlio e della madre) si ferma a piazza Vescovio: un caffè?  No, il suo pensiero è altrove.  Non è distratto, quest’oggi, il Flâneur del secondo Municipio (poiché di lui si tratta), cerca qualcosa, segue il filo del ricordo e della memoria. 

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Ecco, via Poggio Moiano, al numero 6, laddove “Il Civico Giusto” ha affisso una targa, c’è il portone secondario e, poco oltre, al numero 8, il portone principale di un convento francescano che è ancora lì, quasi il tempo non fosse trascorso.  Un luogo sacro, la chiesa, il piccolo giardino, a lato della strada consolare che va all’Adriatico.  Non c’era e non c’è quartiere o strada di Roma che non accolga una chiesa.  La Roma Papale, il Vaticano, la capitale sacra è indissolubilmente intrecciata alla Roma profana dei luoghi sacri: “le chiese, le basiliche, gli istituti religiosi, i conventi, i seminari, le case generalizie, gli ospedali, le associazioni”.  Una doppia presenza, un doppio potere, lo sanno da secoli i romani, lo ripete a se stesso il Flâneur.  E l’anima vola all’oscurità di un’estate del ’43: il quartiere di San Lorenzo devastato dalle bombe.  Roma non era più città aperta ed era solo l’inizio della tragedia: i luoghi di Roma, i suoi quartieri sarebbero stati colpiti dall’alto dai bombardieri alleati mentre i tedeschi l’assediavano spietatamente.  Solo la Santa Sede sarebbe stata risparmiata, non la Roma profana dei romani che pagavano con la vita ogni cenno di ribellione in una città stremata dalla fame e dal terrore.

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Il Flâneur si accosta e accarezza il massiccio portone del piccolo convento: l’orrore del rastrellamento del Ghetto, la persecuzione degli inermi, le tante storie, i libri, i film, le interviste, le Giornate di celebrazione attraversano la sua mente come una scia di fuoco.  Eppure, rimane insistente la sensazione di non sapere mai abbastanza dei mille atti segreti di eroismo di coloro che, infrangendo regole e comandamenti, vollero agire in nome della vita.  E’ l’ultimo anno di guerra, il ’44, l’ultimo atto di un passato buio, rischiarato dalle mille fiaccole del coraggio e della carità.

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C’è un libro che racconta un atto d’eroismo compiutosi in un luogo dove il Flâneur vuole recarsi e al contempo accompagnarci: “Il secondo piano”, di Ritanna Armeni, il secondo piano del convento delle Suore Francescane della Misericordia di Lussemburgo.  Sette piccole suore, sfidarono la “banalità del Male” armate della loro fede e dell’amore senza riserve verso coloro che chiedevano aiuto, incuranti del rischio estremo e impavide nella loro determinazione.  Per lunghissimi mesi, senza domandare nulla, all’insegna della solidarietà: di troppi di questi uomini e donne il ricordo si è smarrito o il loro sacrificio è rimasto segreto.  Eppure, il Flâneur lo sa, sono antieroi che hanno vissuto nei nostri quartieri, hanno abitato case che adesso ospitano altri, mura rimaste uniche testimoni silenti di un’ospitalità oblata.  Luoghi dei Giusti per eccellenza, di laica sacralità, dove – al pari del primo Giardino dei Giusti di Yad Vashem – la Memoria deve essere conservata e onorata.

Il Flâneur esita ancora, indietreggia, travolto dalla commozione dei ricordi: non è più la figura scanzonata, lo sguardo vagabondo, che ripercorre, con leggerezza, strade e monumenti dell’amatissimo Municipio, che osserva attentamente le persone e i luoghi dietro la maschera della superficialità collezionando aneddoti, scoprendo nessi, indagando dettagli: adesso lo sguardo è intento, il viso corrucciato, il respiro pesante. “Amico, sa lei che cosa sia una creatura solitaria vagante nelle grandi città?…”.  Ottant’anni prima, il 24 marzo del 1944, le atrocità delle persecuzioni nazifasciste culminavano a Roma nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Nella Terra di Mordor, dove l’Ombra cupa scende, l’oscurità sembrava avere spento ogni scintilla di umanità.

Ma il Flâneur si riscuote, sale rapido i pochi gradini, bussa alla porta del convento, gli viene aperto senza alcuna diffidenza o ritrosia, lo accoglie – con un sorriso negli occhi azzurri – una suora, una delle poche che vivono ancora a Poggio Moiano, testimoni indirette di ciò che fecero le loro consorelle. “Non vorrei turbare la vostra quiete”, dice il Flâneur, levandosi d’istinto il cappello. “Vorrei solo vedere o, forse, rivedere il posto di tanto tempo fa quando sette intrepide Sorelle, dall’ottobre del 1943 al giugno del 1944, salvarono decine di ebrei soprattutto donne e bambini”. “Non è cambiato nulla da allora”, gli viene risposto con un gesto del braccio che indica il lungo corridoio spartano, l’odore di pulito nella penombra, il silenzio accogliente. “Ciò che accadde allora è un po’ romanzato nel libro” precisa la suora “I nazisti avevano allestito un ospedale militare all’interno del convento poco tempo prima che venissero ospitate le famiglie ebree cioè i due eventi non furono contemporanei.  Ma non ci fu nulla di straordinario, hanno fatto quel che andava fatto, il bene.”  E’ quello che Madre Benedetta, superiora del Convento del 1943, scrisse nel suo diario: “una paginetta, solo poche righe e quando viene a trovarci Lello dell’Ariccia, piange sempre”.

Lello Dell’Ariccia era uno dei bambini accolti e salvati dalle suore di piazza Vescovio: oggi è Presidente dell’Associazione Progetto Memoria, e vuole ricordare non solo la Shoah e i suoi parenti morti nei lager nazisti, ma tutte le vittime e i perseguitati della Seconda guerra mondiale.  Le suore francescane non erano e non vivono ancora adesso in un mondo a parte, erano inserite nella realtà della guerra, nel loro territorio, sono parte della realtà del quartiere, delle sue necessità, esempio mai scontato di convivenza e solidarietà, “ perché è il Vangelo che dice di amare il prossimo, no?”

Il Flâneur si chiude il portone alle spalle, negli occhi la luce e il calore del sole e del sorriso della suora. Non le ha chiesto neppure come si chiamasse.

Katia Mammola

(1) Targa “Il Civico Giusto” affissa sul portone secondario del Convento delle Suore Francescane di via Poggio Moiano” il 25 gennaio 2023 in memoria delle persone salvate dalle suore francescane.  Le Religiose rifiutarono inizialmente la mattonella con l’albero di carrubo (simbolo dei Giusti fra le Nazioni”) nel rispetto dello stile del loro Ordine: “abbiamo fatto del bene, dichiararono, e non è necessario che il mondo lo sappia”.  In seguito, accettarono il riconoscimento, subordinando il loro consenso all’apposizione della mattonella sul portone secondario del convento, corrispondente al civico 6.  Da quell’ingresso si accede alla cappella e da quell’ingresso gli ebrei potevano entrare confondendosi tra i fedeli.

(2) Copertina del diario di Madre Benedetta, Superiora del Convento di Via Poggio Moiano dove avvenne il salvataggio degli ebrei (da Vatican News)

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