Interni di villa Lancellotti

L’ingresso di Villa Lancellotti, lungo il muro di cinta della villa, consiste in un bel portale barocco, chiuso da un doppio cancello di ferro; dopo di questo si apre un breve spazio recinto da muretti verdi, nel quale si erge l’unico dei quattro casini dell’antica villa rimasto in piedi.  

La facciata principale del casino è di linee molto semplici, allo stesso tempo eleganti e rustiche. Presenta un porticato che prima della distruzione della villa si affacciava sul giardino a parterre e finestre raggruppate a coppie. Gli unici elementi architettonici decorativi sono le arcate in basso e la facciata posteriore, asimmetrica.

Il piano terra inizia con un cancelletto che immette in un corridoio a volta chiuso in fondo da un minuscolo giardino, ultimo avanzo di un verde labirinto, rallegrato nel mezzo da una fontana a vasca ovale, ornata in stile barocco.

Fin dalle origini le stanze del piano terreno vennero adibite per i servizi: la prima stanza a sinistra, infatti, dopo essere stata usata per anni come dispensa, venne più tardi ridotta a magazzino delle statue e dei busti precedentemente disseminati per tutta la villa. Adiacente a questa prima stanza vi è la vasta cucina, con un ampio camino e con un complicato meccanismo per il girarrosto posto in un angolo. Di fronte vi è invece un’anticamera ornata a fiori e arabeschi, che comunica con un salone da pranzo decorato a tempera. Due porte, l’una sul viale di bossi che scendeva al ninfeo e l’altra sul minuscolo giardinetto, permettono che l’ambiente si riempia di luce e di sole.

E’ al primo piano, a cui si arriva mediante una scala di travertino, che il senso d’intimità si fa più intenso. Infatti, al posto di spaziosi saloni, vi sono cinque piccole stanze con accoglienti comodità.

Una rasserenante sensazione d’intimità familiare a pervadere questi ambienti che, per precisa volonta dei proprietari, non sono stati deturpati dalle trasformazioni avvenute nel resto della villa. Sono rimaste alle finestre le tende di seta e ai loro rispettivi posti le sedie ricoperte di damasco, i tipici sgabelli, gli armadietti e i mobili d’epoca: semplici ed eleganti consolle con sopra ninnoli, candelieri, e campane di vetro che servivano da porta-parrucche. E’ rimasto nel suo angolo anche l’inginocchiatoio di noce, con i cuscini di velluto rosso e il crocifisso d’avorio dinanzi ai quali la famiglia recitava il rosario al vespro.

Tra le stanze di questo piano primeggia “la sala nobile da ricevere” per i suoi affreschi che con l’elegante meticolosità dell’arte settecentesca raffigurano paesaggi laziali; l’autore è ignoto, ma con grande probabilità si tratta del pittore romano Antonio Locatelli (1660-1741). Sulle pareti sfilano quadri di un autore ignoto, ornati con cornici d’oro e raffiguranti nature morte, battaglie e paesaggi.

Al soffitto, ai travicelli sono sempre rimasti appesi caratteristici lampioni con tanto olio dell’epoca. Un tavolinetto da gioco testimonia le lunghe partite ingaggiate per ingannare il tempo o per aspettare di sedersi a tavola nella vicina sala da pranzo, che, dominando l’aperto orizzonte della valle superiore del Tevere, era più gradita di quella al piano terreno. L’ultimo vano del primo piano, quella nell’angolo a destra, era la stanza da letto padronale. Dell’arredo originale oggi è rimasta solo la spalliera di legno intagliato e dorato, un lavamani, un comò, due vasi da notte ricoperti con custodie finemente ricamate e due ripiani in cui giacciono ancora allineati dei libri rilegati in pergamena.

Il terzo piano del casino è articolato in sette stanze dipinte a tempera, la cui funzione originaria è sconosciuta; comunque, con il passare degli anni e il conseguente degrado della villa, alcune di esse si dono trasformate in abitazione per il custode e in magazzino di tele, stampe, mobili, cristalli, stoviglie e porcellane che fino ad allora avevano impreziosito la villa.

Per concludere questa descrizione del casino può risultare proficuo, per bene individuare il carattere di ricercata rusticità dello stesso, citare ciò che Pietro Paolo Trompero scrisse in un suo articolo: “Tutto è in uno stile che si potrebbe definire in sordina o minore. Quello che è nobile vi è trascritto in rustico con grande maestria. La materia vile simula con sopraffina ingenuità la materia nobile. Le nicchie e le statue in grisaille imitano il marmo e il travertino; il legno tinto di giallo, l’oro; la stoffa comune, il broccato e il damasco. Sembra un’opera buffa che rifaccia caricaturalmente l’opera seria. O meglio, una commedia di Marivaux in cui i servi e le cameriere si mascherino da padroni e ne imitano a loro volta il linguaggio. C’è qui veramente lo spirito inimitabile del più malizioso Settecentesco”.

Fonti: da un testo di Adriana Migliucci che ringraziamo

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