Storia di Villa Lancellotti

Villa Lancellotti è presente nella pianta del Nolli del 1748 e definita “Casa di villeggiatura con corte” di proprietà Gangalandi. 

Il conte Fortunato Gangalandi (1668-1748) era un facoltoso appaltatore delle miniere di allume dello Stato Pontificio che aveva acquistato la villa nel 1710 da Francesco Paolucci per 4500 scudi.

Nel febbraio del 1738 il conte ingrandì questa sua tenuta, acquistando per 3100 scudi tutto il terreno attiguo che si estendeva verso Ponte Salario. In quello stesso anno i dodici ettari della villa passarono in eredità al figlio Domenico; sopraggiunta nel 1746 la morte di questi, la piacevole dimora divenne proprietà del conte Fausto Dandi e, dal 1806, di suo fratello Fortunato, entrambi appartenenti ancora alla casata dei Gangalandi. Nel 1813 quest’ultimo designò come suo erede universale il nipote, il conte Filippo Della Porta Rodiani.

Successivamente, sempre in virtù di parentele, la villa passò ai principi Massimo, finché, dal 1865 in poi, divenne proprietà dei Lancellotti.

Nel 1868, la proprietà è presa in affitto dal conte Campbell Smith De Heritz che pochi anni dopo, nel 1878, acquisterà una grande villa, poi nota come villa De Heritz, adiacente a villa Savoia, che si estendeva dalla via Salaria fino a vicolo di San Filippo (l’odierna viale Romania).

Fino alla metà degli anni Venti del Novecento, la zona in cui sorgeva la villa era una valle di modeste dimensioni in cui si susseguivano platani, cipressi, lecci, cespugli e campi, ricchi di mandorli, peschi e ciliegi. In alto, lungo la via Salaria, i Gangalandi avevano fatto costruire, o forse soltanto  restaurare, quattro casali, una piccola chiesa pubblica annessa a uno di essi e una stalla che poteva accogliere una decina di cavalli. Dietro gli edifici oggi distrutti, nella vigna, c’era un emiciclo da cui partiva un viale che attraversava la proprietà, scendendo verso il Fosso di Sant’Agnese. Il viale è l’attuale via Chiana e l’emiciclo corrisponde all’attuale piazzale all’inizio della via.

Dal 1923 in poi, a causa dell’allargamento di via Salaria, è stato raso al suolo tutto ciò che sorgeva sul lato destro di essa, tranne uno dei quattro casini : quello che possiamo vedere ancora oggi al civico … dove la strada consolare si restringe.

Dei tre casini scomparsi, della stalla e del giardino non sono state tramandate documentazioni. Sappiamo invece che la chiesina era stata costruita nel 1737 e consacrata l’anno successivo alla Beata Vergine, a San Giuseppe, a San Francesco d’Assisi e a San Filippo Neri; era a forma ovale con la facciata su Via Salaria e con una decorosa architettura interamente guarnita di stucchi; facevano parte della costruzione anche la sacrestia e altre due stanze.

La chiesetta è ricordata in una delle Lapidi sul muro di Villa Lancellotti vicino al grande cancello sulla via Salaria.

Come già accennato, fino agli anni Venti del nostro secolo, la villa Gangalandi, Massimo, Lancellotti era rimasta integra e pienamente immersa nella dolce e serena pace campestre, così come era stato esplicitamente imposto dal testamento redatto nel 1813, con cui Fortunato Gangalandi aveva nominato erede universale il nipote conte Filippo Della Porta Rodiani e stabilito un fedecommesso nei riguardi della proprietà. Il testamento recitava infatti così: “Proibisco al suddetto signor conte Filippo, e a tutti gli altri in infinitum, qualunque abbenché minima detrazione, sotto qualsiasi pretesto, o quesito colore, perché voglio, ordino e comando che la mia eredità si conservi sempre intatta e nella sua integrità, perché così a me pare e piace di disporre del mio”.

Questa precisa volontà di non alienare la proprietà venne rispettata solo per poco più di un secolo, dopodiché, per ragioni dettate dall’ampliamento della città, si attuò l’allargamento della Salaria, causando la distruzione pressoché totale delle villa.

Nel 1925 l’ingegner Barbieri, incaricato dall’INCIS, predispone nell’area del parco di Villa Lancellotti un piano urbanistico-architettonico in conformità al Piano Regolatore del 1909. Al centro è creata piazza Verbano e, lì dov’era il principale viale del giardino che scendeva tra due filari di lecci, è tracciata via Chiana.

Per dare alloggio agli impiegati dello stato nasce così il quartiere di piazza Verbano. Sicuramente uno dei meglio riusciti di Roma capitale, ma ciò non toglie che a causa sua, ancora una volta, scomparve un complesso che, fondendo in sé natura e arte, rappresentava l’armonia del Settecento romano.

E’ in quella occasione che, nonostante le ovvie indicazioni urbanistiche si rinunciò ad allargare la via Salaria in corrispondenza di Villa Lancellotti e della Palazzina Filomarino (sembra per un intervento diretto di Mussolini).

Come pallidi resti della villa, seppur preziosi, rimangono soltanto due piccole aree del giardino con tre grandi cipressi, dei vialetti tra le pareti di bossi, una fontana settecentesca, il tratto di mura di cinta con il portale barocco e l’unico casino superstite che il principe Pietro Lancellotti fece restaurare negli anni del secondo dopoguerra.

Fonte un testo di Adriana Migliucci, che ringraziamo.

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