2. Vita e amori di Scipio Slataper

Scipio Slataper (1888-1915) è eroico irredentista che ha combattuto tutta la sua vita . La sua biografia, la sua attività letteraria, le sue relazioni ci restituiscono un personaggio avventuroso e degno di nota. 

Il padre di Scipio, Luigi Slataper, è un imprenditore di successo, mentre la madre, Iginia de’ Sandrinelli, proviene da una famiglia di origine veneta, figlia di un politico locale del quale Luigi è amico e sodale.

Il nome di battesimo dato al primogenito è quello del nonno materno, Luigi Scipione de’ Sandrinelli, leader del partito liberal-nazionale triestino che, anni dopo (tra il 1900 ed il 1909) sarebbe divenuto Podestà di Trieste, e soprattutto primo appassionato propugnatore presso la corte di Vienna di una Università di Trieste in lingua italiana, che il governo asburgico rifiuterà sempre con forza, tanto che Trieste avrà una università solo a partire dal 1924.  Iginia e Luigi ebbero sei figli: oltre a Scipio e Lucilla, che non superò il primo anno di vita, nacquero Gastone, Vanda, Nerina e Guido (vedi Slataper, una famiglia di eroi).

Scipio si iscrive nel 1899 in quello che solo dal 1912 (con grossi contrasti con Vienna) sarà il liceo classico “Dante Alighieri” di piazza dei Carradori (ora largo Odorico Panfili). Ma pochi anno dopo il ragazzo interrompe gli studi per una malattia nervosa e si trasferisce sul Carso per passare un periodo di cura.  Lì rimane affascinato dalla natura dei luoghi e con difficoltà riesce a staccarsi da quella natura aspra per rientrare in città, dove si diploma nell’estate del 1908.

Vulcanico e geniale, insofferente verso la disciplina scolastica, scrive su vari giornali, tra i quali il quotidiano socialista “Il lavoratore” (1905), organo ufficiale della Società Operaia Italiana (fondata da Antonio Gerin con sede a Vienna), e un giornale letterario della domenica che si chiamava “Il palvese”, titolo mutuato da antiche leggende che così chiamavano uno scudo in cuoio di difesa. Questo giornale infatti voleva difendere la cultura triestina dalla “pressione” austriaca, dando voce a un gruppo di giovani irredentisti (tra di essi Umberto Saba, Cesare Musatti, Ferdinando Pasini) che si sarebbero affermati successivamente e che allora, per sfuggire alla severissima censura asburgica, usavano spesso pseudonimi (Saba era “Umberto da Montereale” e Slataper “Publio Scipioni”).

Le sue letture di formazione coniugano patriottismo, socialismo e mazzinianesimo, oscillando tra autori italiani del tempo (Giosuè Carducci) e i ‘postromantici’ tedeschi e nordici.  Tra il 1905 e il 1907 scrive articoli politico-culturali, saggi letterari, novelle, racconti e il dramma “Passato ribelle”, ispirato all’amore giovanile per Maria Conegliano, mentre la relazione con un’altra Maria, la Spigolotto, lascia profonda traccia nella sua vita e nelle opere (Maria sarà la «buona figliola» del suo capolavoro letterario “Il Mio Carso”).

Una volta diplomato, Scipio cerca una università italiana nella quale laurearsi ma, a causa di improvvise difficoltà economiche familiari, deve procurarsi una borsa di studio.  La ottiene dalla Fondazione Ester Kohen Fano, con l’obbligo di utilizzarla, appunto, in Italia.  Nell’ottobre del 1908 entra nell’Istituto di studi superiori di Firenze, partecipando al movimento studentesco per ottenere nell’Impero asburgico un’università in lingua italiana.

Collabora con il mitico “Giornalino della domenica” diretto da Luigi Bertelli detto “Vamba” (l’autore del famoso “Giornalino di Gian Burrasca”).  La compagine redazionale del “Giornalino” è di tutto rispetto.  Tra i redattori vi sono molti tra i più importanti scrittori italiani dell’epoca ed esponenti di primo piano delle arti grafiche.  Oltre allo stesso Vamba, vi scrivono autori come Edmondo De Amicis, Luigi Capuana, Grazia Deledda, Ada Negri, Emilio Salgari, Antonio Beltramelli.  Le illustrazioni sono opere di noti disegnatori dell’epoca come Antonio Rubino, Giuseppe Biasi, Mario Mossa De Murtas, Filiberto Scarpelli, Umberto Brunelleschi, Marcello Dudovich, Sergio Tofano, Riccardo Magni.

Nel dicembre del 1908, il devastante terremoto di Messina e Reggio lo spinge a partecipare da volontario ai soccorsi assieme ad altri intellettuali e artisti provenienti da tutta Italia. La tragedia del terremoto sullo stretto, con la spaventosa messe di morti e devastazioni, genera tuttavia un’ondata di solidarietà che coinvolge non solo la Croce Rossa svizzera ma giovani, intellettuali, giornalisti, gente comune e, forse per la prima volta, le donne di tutti i ceti ed estrazioni e questi eventi, che precedono la guerra mondiale, sono un primo importante collante sociale della nazione italiana.

Tornato a Firenze, Slataper inizia a scrivere sulla rivista di cultura e politica “La Voce”, con un primo, polemico articolo su: “Trieste non ha tradizioni di cultura”, seguito da altri articoli di forte sapore politico e irredentista.  Nell’articolo “Ai giovani intelligenti d’Italia” (dell’agosto 1909) appoggia l’azione di Giuseppe Prezzolini per un’alta divulgazione e il rinnovamento morale e culturale.  Dal 1909 al 1912 la collaborazione alla rivista si fa sempre più intensa.  Le sue critiche all’accademismo e al governo di Vienna gli costano però la borsa di studio universitaria e lo costringono ad intensificare il lavoro editoriale per potersi mantenere agli studi.

Nel 1910 coordina il numero speciale della Voce dedicato all’irredentismo.  Tra coloro che collaborarono con lui alla redazione di questo numero: Gaetano Salvemini, Benito Mussolini, Giuseppe Prezzolini e i triestini Angelo Vivante, Ruggero Fauro (vedi via Ruggero Fauro) e Alberto Spaini. Ma in quell’anno Scipio è anche coinvolto in tempestosi rapporti sentimentali con tre amiche triestine: Luisa Carniel (che lui chiama affettuosamente Gigetta), Elody Oblath e Anna Pulitzer (Gioietta).  Luisa diventerà la sua moglie a Trieste nel settembre del 1913.  Elody, intellettuale e poetessa, sposerà Giani Stuparich, il migliore amico di Scipio, compagno di scuola e università e commilitone (nonché fratello di Carlo Stuparich a cui a Roma è intitolata una piccola traversa di viale dei Parioli).  Anna Pulitzer, inaspettatamente, si suiciderà con un colpo di pistola alla testa.

Slataper cade in uno stato di depressione, da cui riesce a uscire solo lavorando e rafforzando i propri ideali di fraternità e solidarietà. Dal novembre del 1911 all’aprile del 1912 è segretario di redazione con funzioni direttive de “La Voce”, quando Prezzolini lascia la direzione a Giovanni Papini. Tra il 1914 e il 1915 Slataper aderisce al Gruppo nazionale liberale di Roma, ed è in corrispondenza con Sibilla Aleramo con la quale mostra confidenza ed empatia.

Accanto agli articoli di informazione bibliografica, critico-letterari, di riflessione etica e d’analisi storico-politica, nel 1912 Slataper pubblica anche scritti per l’infanzia, un argomento per lui molto importante e stimolante. In tali opere tra l’altro, partendo dalla riflessione sui bambini fondata sull’estetica di Johann Christoph Friedrich Schiller, Friedrich Wilhelm Joseph Schelling e Benedetto Croce, Slataper approfondisce la funzione gnoseologica intuitiva del simbolo, propria dell’arte primitiva.

Nel maggio del 1912 esce “Il mio Carso” un racconto in prima persona dall’infanzia alla maturità, dai paesaggi carsici e marini alla Trieste del tempo e al suo porto. In quell’anno, Slataper si dedica alla sua tesi su Henrik Ibsen riuscendo a laurearsi nel dicembre del 1912, e parte per Vienna per perfezionare il suo tedesco e per superare l’esame di abilitazione all’insegnamento. La visione di Slataper su Ibsen riguarda l’interpretazione e l’interesse per la storia. Illustrando i nessi tra drammi, biografia e contesto storico, Scipio mette in luce i problemi dell’Europa del tempo e la propria personale visione tragica della vita. A metà maggio, grazie ad una presentazione del critico letterario e germanista Arturo Farinelli, si trasferisce ad Amburgo, come lettore di italiano al Kolonial Institut, dove rimane con Gigetta, che aveva sposato, fino allo scoppio della guerra nel luglio del 1914.

Tornato a Trieste, nel settembre 1914 le grandi difficoltà con la censura asburgica lo inducono a trasferirsi con la moglie a Roma, dove inizia a collaborare con “Il Resto del Carlino”. All’entrata in guerra dell’Italia, Scipio parte per il fronte nel giugno del 1915 come volontario nei Granatieri di Sardegna. E’ ferito a Monfalcone ma, terminata la convalescenza, torna di nuovo in zona di guerra a Sacile (Pordenone). Promosso sottotenente, si ritrova insieme al fratello Guido a Caneva (in provincia di Pordenone): qui, come scrive a Gigetta, incontra «molti che conoscono me, la Voce e il Carso».

In effetti sul fronte del Friuli si concentra il meglio della letteratura italiana e mondiale. Assieme a Scipio e Guido Slataper, combattono i loro amici di sempre, Giani Stuparich e suo fratello Carlo, e Clemente Rebora; ma lì, da inviati sono presenti anche Arthur Conan Doyle, H.G. Wells (uno degli inventori della fantascienza) e addirittura Rudyard Kipling. La nuova destinazione di Scipio è il Monte Calvario dove “l’inferno si tocca con mano”, e scrive alla moglie: «Io vedo che siamo uomini, che la guerra esige di più che le forze umane, che ha in sé qualcosa di superiore e di troppo più spaventevole che un uomo possa dare e sopportare».

A dicembre, nella quarta battaglia dell’Isonzo, proprio nell’azione che si concluderà con la conquista del «Calvario», viene colpito a morte. La sua tomba è una delle poche che è stata lasciata lì dopo la riunificazione nel sacrario di Redipuglia di tutti i cimiteri provvisori sorti lungo la linea del fronte. Sulla croce una lapide riporta: “1° R. FANTERIA – S.TENENTE SCIPIO SLATAPER TRIESTINO – PER LA LIBERTA’ DEL SUO CARSO – PER LA GRANDEZZA DELL’ITALIA – VISSE NOBILMENTE – EROICAMMENTE CADDE – PODGORA 3 DICEMBRE 1915”

Fonte:  https://www.roma2pass.it/racconti-del-flaneur/slataper-una-famiglia-di-eroi/

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