Casa dei Ciechi di Guerra

La Casa di lavoro per i Ciechi di Guerra sorge in via Parenzo 5 nei pressi di corso Trieste e piazza Istria e è stata costruita nel 1931 su progetto di Piero Aschieri e oggi è una delle sedi romane della LUISS.

Rivedere oggi la magnifica facciata su via Parenzo restituita al disegno di Aschieri, con le specchiature delle pareti e le grandi strombature delle finestre dipinte nei due toni di grigio che ricordano la cementite originale, da la stessa emozione che si prova di fronte ad un reperto archeologico riportato alla luce. Ma alcune differenze di quota e improbabili sistemazioni esterne avvertono delle radicali trasformazioni interne subite dalla costruzione.

Nel seguito è riportato un articolo pubblicata nel Marzo 1931 nel Corriere Architettonico)

“L’arch. Pietro Aschieri, per incarico dell’on. Carlo Delcroix, ha architettato la casa di lavoro dei ciechi di guerra, che sorgerà in Via Rovereto a Roma e di cui è già stata posta la prima pietra. Nell’edificio, per cui è prevista la spesa di L. 1.500.000, troverà posto l’officina di protesi per mutilati, e il laboratorio di maglieria; esso permetterà il soggiorno al lavoro di 80 ciechi e di circa 100 ragazze per i lavori di bobinatura e finitura. Ospiterà permanentemente 14 suore addette al servizio e 24 uomini di truppa accompagnatori con graduato. Oltre i laboratori veri e propri ed i servizi relativi, l’edificio conterrà, distribuiti in tre piani fuori terra, oltre il seminterrato: refettori, cucine e servizi per ciechi, suore e militari di truppa; uffici di Direzione; locali di rappresentanza e trattenimento, magazzini, garage, lavanderia, alloggi per circa 30 ciechi di passaggio.

L’arch. Aschieri, in una sua relazione al progetto, dice di essersi proposto nel redigerlo i seguenti obiettivi principali: “che la forma della pianta discenda con spontanea e logica aderenza dalla configurazione del terreno; che la successione e la posizione relativa dei vari servizi sia la più comoda, pratica, e quella che risponde nel modo migliore al loro funzionamento; che l’organismo dell’edificio sia tale da garantire in modo assoluto la ventilazione e l’illuminazione (i ciechi sentono se l’ambiente è illuminato o no, vogliono la luce) indispensabili all’igiene di locali in cui conviene al lavoro una notevole quantità di individui.

L’edificio, che ha in linea approssimativa la forma di una “S”, ripartisce il residuo terreno in cortili aperti e giardini fra loro indipendenti, i quali hanno ciascuno una propria destinazione.

L’aspetto esteriore dell’edificio è l’immediata derivazione della ossatura, dell’organismo, delle necessità interiori della costruzione. Assenza assoluta di decorazione (il laboratorio dei Ciechi di Guerra non ha bisogno di figurazioni allegoriche e di finzioni ornamentali per essere valorizzato). Tutto l’effetto architettonico è basato sul gioco dei volumi semplici, che io non ho voluto tormentare con fasciature o cornici; dei rapporti delle masse, dei vuoti e dei pieni e della gamma dei colori.L’intonazione generale dei colori sarà sui toni grigi e andrà dal bianco (adoperato nei piani rientranti normali alle pareti) al grigio ardesia delle scorniciature e delle parti scure (finestre, rientri, zoccolatura).I ferri dei finestroni saranno rosso vermiglio, le balaustrate metalliche in alluminio.

Il prospetto in curva che si presenta come un trittico o una icona aperta si lega al terreno con una linea di fontane ove l’acqua scende in cascatelle su gradinate circolari. Il rumore dell’acqua in movimento e il profumo dei fiori del giardino circostante saranno gli elementi sensibili e vivi dell’edificio per i ciechi che lavorano nell’interno. La parte rientrante su strada che forma cortile aperto è quella che contiene la maggior parte dei laboratori e i servizi ed ha l’aspetto esteriore di un edificio industriale. Le parti rotonde che formano contrafforte verso il cortile sono determinate dalla presenza, sull’angolo, dell’oratorio. L’ossatura in cemento armato della scala principale d’accesso mostra sinceramente in vista le pareti in cemento naturale come restano dal getto, semplicemente martellinate per regolarizzarne la superficie. I gradini in marmo di colore lucidato restano incastrati fra le due travate. Dello stesso marmo lucido è il portale d’ingresso. Le ringhiere laterali della scala sono in canna di ferro alluminato.L’edificio, su questa fronte, si lega al terreno per mezzo di scarpate seminate a prato alternate a ripiani coltivati a fiori.”

Con questa nuova opera l’arch. Aschieri prosegue francamente nella sua via che lo porta a realizzare opere dotate in sommo grado di libertà, sanità e vitalità architettonica.

Anche in questo lavoro vediamo infatti le forme espressive essere esenti da ogni retorica ed emergere dalla sostanza stessa della fabbrica per aderenza diretta di sensibilità, esplicantesi in tutta la gamma dei valori, da quelli più intimamente costruttivi agli altri più particolarmente decorativi. L’organismo della pianta nasce con chiarezza dalla forma del terreno, e si differenzia distributivamente ed esteticamente in funzione degli ambienti ospitati, più larga e sontuosa nella parte destinata a sale di soggiorno e rappresentanza, ubicate nel corpo di fabbrica a settore circolare tra le due ali laterali, più modesta ed utilitaria in quella adibita ai laboratori, affacciantesi al cortile aperto rettangolare. I volumi sorgono accentuando il valore espressivo delle forme planimetriche: con ampio respiro di pareti piene e largo ritmo nella ripartizione dei vuoti nella zona più monumentale, con secca e schematica cubicità dei laboratori. Gli elementi decorativi di superficie, da cui esulano integralmente le forme pseudo costruttive ed ogni diretta reminiscenza parassitaria, sono affidati oltreché alle forme, al valore di bellezza intrinseca delle sostanze scelte per realizzarli e concorrono in definitiva a differenziare le singole parti.

È da notar d’altra parte che gli stretti criteri di razionalità e di interiorità architettonica recanti un’impronta di fresca modernità all’opera dell’Aschieri, nulla tolgono di calore e di fecondità artistica alle forme; la potenza formativa ha potuto realizzarli non ai danni della ispirazione estetica, ma a vantaggio di essa, che ne risulta soltanto più approfondita ed appropriata.”

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