Approfondimento

Questa è un approfondimento della pagina Piano Regolatore del 1909.

Nel 1907, grazie al successo del blocco popolare, viene eletto sindaco di Roma Ernesto Nathan, laico, massone, repubblicano, nato da famiglia ebraica a Londra, dove aveva a lungo vissuto. È un momento importante per Roma, perché intorno alla figura del sindaco si coagulano le forze laiche e anticlericali, espri­mendo una giunta sensibile alle esperienze del riformismo europeo e alla cultura urbanistica internazionale. La giunta Nathan è destinata a lasciare un segno consistente sulla città in più settori: si costruiscono edifici scolastici e presidi sanitari; si ampliano i trasporti urbani; sono municipalizzate le forniture d’acqua, luce elettrica, gas . Anche nel settore residenziale, soprattutto quello rivolto alle classi popolari, si raggiungono esiti di valore, giacché è costituito un vero demanio municipale e si incentiva la formazione e l’attività delle cooperative edilizie e dell’Istituto per le case popolari, con il risultato che nel periodo del mandato amministrativo, quasi un terzo dei vani prodotti è di tipo economico e popolare.

Fra i meriti della giunta va ascritta anche la redazione di un nuovo Piano regolatore, che ha l’obiettivo di dare ordine ad una espansione urbana che ha ormai saturato, e in molti punti superato, la cinta muraria.

li Piano viene redatto da Edmondo Sanjust di Teulada, ingegnere capo presso il Genio civile di Milano, prescelto in quanto estraneo all’ apparato amministrativo del comune e quindi meno influenzabile dai proprietari fondiari locali. Come già i precedenti strumenti urbanistici, anche il nuovo Piano regolatore, che viene approvato nel 1909, legittima l’espansione urbana intervenuta spontaneamente, ma propone insieme la volontà dell’am­ministrazione municipale di configurare uno strumento di dise­gno complessivo, capace di dare forma in maniera convincente alla città intera. In particolare, il Piano accentua la funzione di­rezionale del centro antico, mentre colloca i nuovi quartieri residenziali lungo le direttrici d’espansione già impostate, di cui si rafforza il disegno radiale. La previsione di sviluppo, che fa riferimento ai modelli urbanistici europei del tardo Ottocento, indi­rizza la crescita urbana verso una corona anulare di nuovi nuclei residenziali con grandi piazze interne, i quali sono separati da zo­ne verdi di diversa caratterizzazione e ampiezza, e collegati da un grande boulevard anulare, lungo oltre venticinque chilometri.

Secondo le indicazioni del Piano, negli anni successivi le aree residenziali circostanti le piazze Mazzini, piazza Bologna e piazza Re di Roma, sono effettivamente realizzate intorno a spazi aperti centrali, da cui radialmente si sviluppano gli assi stradali di strutturazione del quartiere. In mancanza di presupposti legislativi, la ferma opposizione dei privati che considerano lesi i loro diritti, impe­disce però il mantenimento delle zone verdi indicate dal Piano, e la città si sviluppa in forma pressoché compatta. L’ostilità da parte della proprietà fondiaria sia al Piano sia al congiunto tentativo, appoggiato dal sindaco, di tassare la rendita fondiaria, porta anche un contributo decisivo alla caduta della giunta Nathan.’

Quando nel 1911 l’Italia festeggia il suo primo mezzo secolo di vita, Roma è ormai una città diversa dalla capitale papale di quarant’anni prima. li centro storico è stato modificato, in alcune zone potentemente, dalle demolizioni che hanno aperto strade e piazze; l’insediamento di ministeri e uffici amministrativi ha determinato la costituzione di un centro degli affari esteso tra la stazione e piazza Venezia e nella parte di centro storico adiacen­le, sino a piazza Colonna. L’abitato si è fortemente espanso, so­prattutto verso est e nord-ovest, le due principali direttrici di cre­scita, mentre nella direzione meridionale l’unico nuovo quartiere è quello di Testaccio. È nata una nuova rete viaria e anche l’aspetto delle costruzioni si va uniformando: nei quartieri, da Prati fino a Ludovisi e al Viminale, sulla scacchiera delle strade, si alzano edifici analoghi, a quattro o cinque piani, dalle facciate ispirate ad un’architettura neo-storicistica, più o meno classicheggiante. Si è così formata la prima cerchia dell’espansione, principale tappa di una crescita urbana che proseguirà vigorosa Ira le due guerre .

Per la ricorrenza del cinquantenario dell’unità nazionale, nel 1911, l’Italia organizza un’esposizione universale con sede nelle tre città che di seguito erano state capitali del Regno: Torino, Firenze e Roma. Seguendo la tradizione papale dell’ accelerazione dell’ attività edilizia in occasione dei giubilei, anche la giunta Nathan utilizza l’occasione del cinquantenario per portare a termine grandi lavori urbani, interventi previsti ormai da decenni per consolidare l’immagine della capitale italiana, la Terza Roma.

Nella città la manifestazione del 1911 si articola in un complesso di mostre situate in vari luoghi. A vigna Cartoni, la zona oggi meglio conosciuta con la denominazione di Valle Giulia, viene ospitata l’Esposizione internazionale di Belle Arti, per la quale si costruiscono vari padiglioni nazionali e il Palazzo delle Belle Arti, edificio destinato in seguito ad ospitare la Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Sulla riva opposta del fiume, nella piazza d’Armi, l’area compresa fra il quartiere di Prati ed il Tevere di cui è già prevista la successiva edificazione, trova luogo la Mostra etnografica, che dell’Italia si propone di restituire «il documento vivo della spontanea vita popolare, negli usi, abitudini, fogge, negli utensili e strumenti di Iavoro” . Castel Sant’Angelo, che viene dotato di un adiacente padiglione provvisorio per i congressi, ospita le mostre retrospettive dedicate all’ingegneria militare, all’ arte italiana minore, alla topografia della città. Le terme di Diocleziano, acquisite dallo Stato e per cui termina nell’occasione l’isolamento e la liberazione dalle minute strutture edilizie che nei secoli le avevano pervase, contengono la Mostra archeologica; quella risorgimentale e garibaldina sono infine ospitate nel mastodontico complesso del Vittoriano.

L’insieme delle manifestazioni coniuga aspetti effimeri con realizzazioni urbane durature. I due momenti più importanti dell’Esposizione sono la Mostra artistica a vigna Cartoni e quella etnografica e regionale a piazza d’Armi; per la prima manifestazione l’architetto Cesare Bazzani, alle prese con i dislivelli della valletta che la ospita, crea uno scenografico sistema di viali alberati, piazzali, gradonate e rampe curvilinee, che collegano il Palazzo dell’Esposizione internazionale di belle atti (oggi Galleria Nazionale d’Arte Moderna) con i vari padiglioni stranieri alloggiati sui declivi. Le sistemazioni segnano in maniera permanente l’area, caratterizzandola come un comparto artistico e culturale della città e accelerando lo sviluppo dei vicini quartiere Flaminio e quartiere Pinciano. Altrettanto importanti sono gli interventi oltre il Tevere affidati a Marcello Piacentini (progettista, fra gli altri, del Palazzo delle Feste, di quello delle Scuole e del Foro delle Regioni), dove la formazione delle reti stradale e fognaria favorisce lo sviluppo dell’ area circostante piazza Mazzini. Per collegare le due aree a cavallo del fiume, viene realizzato il ponte del Risorgimento, una struttura in cemento armato assai avanzata dal punto di vista costruttivo, con campata di cento metri realizzata secondo il brevetto francese Hennébique.

Legati alle varie manifestazioni sono anche la parziale ultimazione del Vittoriano, le definitive sistemazioni delle piazze Colonna e Venezia, la creazione del complesso archeologico alle terme di Caracalla, la costruzione dello Stadio Nazionale al Flaminio, la creazione della viale del Muro Torto con il sovrastante cavalcavia tra villa Borghese e il Pincio, l’avvio dei nuovi Mercati Generali all’Ostiense.

Un grande peso nella formazione dell’identità urbana ha anche l’edilizia popolare. Già il Piano regolatore del 1883 aveva posto la questione, identificando Testaccio come area per costruzioni operaie, ma altre iniziative di costruzione di edilizia popolare nascono spontaneamente alla fine del XIX secolo, promosse dalle prime cooperative di lavoratori, come quelle dei ferrovieri. La localizzazione di questi complessi di abitazione coincide con i luoghi di lavoro: così ad esempio case per ferrovieri nascono in aree adiacenti le basiliche di San Lorenzo e Santa Croce in Gerusalemme, dall’una e dall’altra parte cioè, del fascio di binari che penetra nella cinta muraria urbana in corrispondenza della porta Maggiore.

Nel 1903 Luigi Luzzatti crea l’Istituto case popolari, sostenuto dall’allora sindaco della città, principe Colonna. L’Istituto ottiene una sovvenzione di 700.000 lire dallo Stato e la cessione gratuita di quattro ettari su viale Manzoni, nei quali, nel 1905, viene completato un primo nucleo di costruzioni a bassa densità, con giardini. Nel 1907 costruzioni analoghe si avviano sul piccolo Aventino intorno a San Saba, poi, tra il 1911 e il 1914, abitazioni economiche di maggiore volume sono realizzate sulla via Trionfale ai piedi di Monte Mario, e sulla via Flaminia, fuori dalla porta del Popolo .

Il beneficio portato però da questo nuovo tipo di alloggi, con­tinua a risultare modesto, rispetto alle pressanti richieste poste dall’immigrazione verso la capitale; anche se il Piano regolatore del 1909 e le leggi speciali per Roma del 1907 e del 1911, cercano di orientare l’iniziativa privata verso la costruzione di abitazioni economiche. Inizia così la formazione di nuclei di misere costruzioni spontanee, i cosiddetti «borghetti», eretti dai nuovi arrivati, senza risorse, fuori dai confini del Piano regolatore, lungo le vie di accesso alla città: al Quadraro sulla Tuscolana, a Cen­tocelle e a Tor Pignattara sulla Casilina, lungo la Flaminia.

Seppure con modificazioni, all’inizio degli anni Venti il Piano del Sanjust risulta realizzato, almeno in parte, per le aree di espansione residenziale; assai più lenta è invece la realizzazione di infrastrutture e attrezzature pubbliche.

Nel 1914, è solo parzialmente eseguita la passeggiata archeologica, mentre sono rinviati molti degli sventramenti previsti dal piano, sia per difficoltà finanziarie, sia perché la cultura architettonica si va indirizzando verso ipotesi di maggiore conservazione della città antica. È quanto avviene per il progetto di «di­radamento» del quartiere Rinascimento, fortunatamente non av­viato proprio a causa delle difficoltà economiche e attuative. Do­po lunghe discussioni è abbandonato anche il progetto, proposto dal comitato «Sviluppo Marittimo Industriale Roma» per la realizzazione e 1’esercizio del porto di Ostia nuova, il quale do­veva essere collegato alla città da un canale navigabile, dalla linea ferroviaria e da un’ autostrada, supporti per lo sviluppo di una città lineare verso il mare.

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In rete:

Fonte:  saggio di Maristella Casciato, pubblicato nel volume Lo sviluppo urbano e il disegno della città, da Storia di Roma dall’antichità ad oggi, vol. Roma Capitale, Vittorio Vidotto (a cura di), 2002, Editori Laterza

Bibliografia essenziale:

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