Nel territorio dei Parioli, nel lontano VI secolo a.C. prosperava un’antica città dal nome Antemnae. Il suo nome derivava dalla sua originaria posizione geografica “davanti ai due fiumi” cioè “ante amnes”; infatti questa città era posta alla confluenza del Tevere e del suo affluente Aniene, in posizione sopraelevata, in cima al verde Monte Antenne, dominando l’intera valle.
Una città fortificata e fiorente, citata nell’Eneide come una delle cinque città che prendono le armi contro Enea. Senza le citazioni di queste antiche realtà non ne sapremmo nulla, perché nulla ci è pervenuto di queste antichità.
Antemnae si pone sin dall’inizio, in contrasto con il “volere Divino” sulla nascita della “città eterna”. Come finisce questa infausta iniziativa d’arme ne sono tutti a conoscenza: Roma nasce con i successi militari del suo fondatore e inizia il suo eterno e glorioso cammino arricchendo le città che la sostennero mentre Antemnae scomparve, ma è curioso sapere come poi risultò, suo malgrado, determinante per lo sviluppo della città fondatrice dell’Impero.
Come?.. portate un poco di pazienza.. prima debbo esprimere ciò che più mi addolora e amareggia. Come è mia consuetudine, mi sono recato sul luogo per verificare quali presenze ancora ci ricordino il passato e, debbo confessarlo, l’ho fatto con molto entusiasmo sicuro d’immortalare immagini che avrebbero arricchito questa narrazione. La suggestione di recarmi su un luogo così pregnante di significato storico-antropologico citato da tale eminente personaggio mi eccitava.
Attrezzatomi da moderno archeologo con cappello a falde larghe, stivali (mi scuseranno i miei amici colleghi archeologi), mantellina, cinta metrica e macchina fotografica (alla Indiana Jones insomma) mi avviavo verso Monte Antenne prefiggendomi di attraversare Villa Ada. Introdottomi nella lussureggiante Villa dalla Salaria, numero civico 325, abbandonavo, dopo pochi metri, i numerosi tracciati sentieri, percorsi da innumerevoli e infaticabili podisti isolati dai silenzi del luogo dalle loro auricolari “cuffie” per immettermi nel verde più lussureggiante fidando sul mio “infallibile” senso d’orientamento al fine di raggiungere la desiderata meta, il Monte Antenne.
Percorsi, credo, tutti i 180 ettari della Villa-parco, incrociato esclusivi centri ippici frequentati da equipaggiati Gentleman, superato alberi stroncati dalla violenza degli eventi atmosferici che ostacolavano il mio avanzare e, circumnavigato incantati laghetti di azzurro cobalto immersi nel verde cadmio della vegetazione, fermavo il deciso passo dinanzi un grigio alto muro perimetrale. Costretto a cercare un varco nel continuo invalicabile recinto che isola in modo innaturale lo spazio di Villa Ada e quello di Monte Antenne, trovavo infine il varco in un grande cancello posto a valle ed adibito ad ingresso pubblico.
Finalmente libero, mi inerpicavo così su per il monte, stanco, ma sorretto da un entusiastico sentimento per le meraviglie attese.
Sentimento subito avvilito dall’assoluto degradato ambiente nel quale mi addentravo. Cercando d’ignorare lo squallore, mi ritrovai, nei pressi della cima, dinanzi ad una continua rete di recinzione. Questa, inglobata nei rovi, ostacolava il mio passo ed inutili si dimostravano i tentativi di aggirarla; l’Antico era là, davanti a me, ma non potevo raggiungerlo. Tentavo allora di introdurmi da un passaggio che, originariamente, doveva essere un’antica porta della città, ma questa era sprangata da un arrugginito cancello con su la scritta “vietato l’accesso, attenzione al cane”.
Così tutto ciò che mi fu possibile individuare fu una costruzione semicircolare di recente realizzazione di sicura pertinenza al “Forte difensivo” in questo luogo sconsideratamente eretto dalla nuova classe dominante dei Savoia nel 1877.
Dove erano le indelebili tracce del lontano passato?
Dove la città che fornì le prime donne che consentirono alla antiche genti stanziatesi sulle rive del Tevere di avere una discendenza? E questa è la risposta alla domanda sopra posta. Da una narrazione di Plinio il Vecchio, si ricava che molte donne Antemnate si confusero con quelle Sabine e furono protagoniste di quello che la storia ricorda come il “Ratto delle Sabine” sancendo così “l’ancestrale legame” che ho anticipato nella narrazione. In seguito, fu il mitico re Romolo che cinse d’assedio la città e la conquistò sconfiggendo il suo re Tito Tazio. Dopo la conquista l’Antica città, con il suo territorio, fu trasformata dai coloni romani in una grande tenuta agricola.
L’amara, ironica riflessione non risolleva il mio morale che cerco di elevare inseguendo le orme del passato gettandomi sugli scritti che, per fortuna, ancora sono accessibili e, al fine di spronarvi nella ricerca, allevierò la vostra curiosità rimasta sospesa citando le altre quattro città che affrontarono in arme Enea : la forte Atina e le superbe Tivoli, Crustumèrio, Ardea. (Eneide libro VII verso 630)
Fonte: Testo tratto da un articolo di Iorise Agostinelli, autore del libro RomAmoR, www.feltrinelli.it.
Pagina al livello superiore: Antemnae
Pagine allo stesso livello: