Ipogeo di Villa Glori

Nel 1794 il naturalista danese, prof. Abilgaard, rinviene in modo casuale una tomba ipogea scavata nel tufo delle propaggini settentrionali dei Monti Parioli, non lontano dalla necropoli sorta ai margini della via Flaminia.  Oggi la tomba è chiamata Ipogeo di Villa Glori e non è visitabile.

Probabilmente la tomba è stata realizzata utilizzando un antro preistorico sulle falde del Saxum Mollaricum, il colle che oggi chiamiamo Villa Glori, non distante da via Venezuela, nell’area della villa oggi concessa alla Caritas per ospitare delle Case Famiglie.

La tomba si attestava su un antico tracciato, successivamente ricalcato dal vicolo della Rondinella, che staccandosi dall’asse principale della via Flaminia si dirigeva verso il Tevere e costeggiava le alture che costituiscono l’attuale Villa Glori, per poi raggiungere la via Salaria.  L’ipogeo, inoltre, non doveva essere isolato ma inserito in un’area cimiteriale rispetto a quella più prossima alla via consolare.

Al momento della scoperta, il sepolcro appariva già spogliato del suo arredo scultoreo e assai danneggiato nella decorazione di stucchi e mosaici, ulteriormente compromessi in anni più recenti. Tuttavia la descrizione dettagliata che ne fece nei suoi disegni il pittore danese J.H. Cabott, all’indomani della scoperta, supplisce in parte alcune gravi lacune.

La volta, a sesto ribassato e interamente ricavata nel tufo, era ricoperta da una decorazione in stucco bianco a partizione geometrica con i campi separati tra loro da un motivo a treccia e occupati da motivi vegetali e figurati. Al centro della composizione un campo rettangolare è occupato dalle figure dei Dioscuri; tutt’intorno, all’interno di sei campi ottagonali, sono raffigurati Bacco sul dorso di una pantera, Ercole ebbro seduto su un vecchio centauro, menadi e fauni con gli attributi delle quattro stagioni. Nei campi minori ricorrono figure e attributi del repertorio dionisiaco. Entrambi i soffitti delle nicchie laterali presentavano una partizione geometrica con elementi quadrangolari disposti in file regolari intorno ad un campo centrale più grande occupato da una figura alata.

Il sepolcro era destinato fin dall’inizio ad accogliere sia sepolture di inumati che di incinerati, tuttavia, il rito inumatorio sembra essere quello prevalente, vista l’esigua presenza di nicchie per olle rispetto agli spazi destinati alle sepolture di inumati; questo dato confermerebbe la datazione dell’ipogeo, attribuito, nel suo impianto originario, ad epoca Antonina con un utilizzo prolungato nel corso del II e III secolo d.C.

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