Bruno Sargentini (1910-1984) è un uomo che veniva dalla terra, da Vignaie, un piccolo nucleo di case nel bosco in Umbria nel comune di Piegaro dove era nato nel 1910.
La sua è la storia di un self made man. Il padre era un mugnaio e lui per andare a scuola percorreva ogni giorno molti chilometri a piedi. Poi gli studi in seminario dai preti a Orvieto, l’arrivo a Roma senza un soldo, la laurea in giurisprudenza sudata mentre lavorava come maestro in una scuola elementare e la carriera che l’ha visto diventare segretario generale dell’INCIS (Istituto Nazionale Case Impiegati Statali) e presidente della Camera di Commercio di Roma.
La passione per la politica lo porta a ricoprire le cariche di consigliere comunale, assessore e infine deputato. La folgorazione per l’arte gli fa aprire nel 1957, in piazza di Spagna insieme al figlio Fabio Sargentini, la galleria l’Attico, ancora oggi un punto di riferimento a livello internazionale, in cui si susseguirono mostre dei maestri delle avanguardie storiche, Permeke, Brauner, Magritte, Matta, della prima e seconda Scuola romana, da Francalancia a Mafai, e poi l’ informale, a cominciare dal grande Fautrier.
A quest’uomo e a questa storia è stata dedicata una targa toponomastica dal comune di Roma, viale Bruno Sargentini, nella Villa Ada dove lui amava tanto passeggiare alla ricerca di quel contatto con la natura che in una grande città è difficile trovare.
Perché se Bruno era un vero umbro, anche nel carattere un po’ brusco e selvatico, bisogna ammettere che amava Roma come se ci fosse nato. Ci arriva a soli quindici anni, ospite di parenti emigrati da poco tempo, e nel 1938 sposa Maria Petroncini, di una famiglia romana alto borghese, da cui ha tre figli: Fabio, Grazia e Simonetta. Pervicace, concreto ma anche capace di grandi intuizioni, Bruno era uno che se si metteva in testa una cosa la portava a termine. Quando nel 1968 si candida per la prima volta alle elezioni politiche, nelle file del PSDI, ha così tanti voti che arriva secondo dopo Mario Tanassi. E’ deputato fino al 1979.
Ma il contributo più importante alla città l’ha dato facendo conoscere pittori e scultori stranieri che lui scovava per primo con il suo fiuto da vero talent scout. Con i quadri aveva un rapporto fisico: li guardava per ore, li spostava e poi li toccava. Diceva: «Un’opera d’ arte ti deve dare un’ emozione dentro, devi sentirla con la pancia».
Da un articolo di R. Cro. pubblicato sul Corriere della Sera il 16 gennaio 2012
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