Pietre d’inciampo

Percorriamo con le nostre passeggiate le strade e gli spazi pubblici del Municipio II. Non ci accorgiamo che lungo di esse (via Flaminia, via Po, corso Trieste, via Padova, via Livorno, piazza Bologna e tante altre) sono collocate “pietre di inciampo”.

Le prime “pietre” risalgono al 1995, a Colonia; da allora ne sono state installate circa 60.000 in molti Paesi Europei. L’artista tedesco che ha avviato questa iniziativa, Gunter Demnig, ha scelto il marciapiede prospiciente la casa in cui hanno vissuto uno o più deportati e vi ha installato altrettante “pietre d’inciampo”, sampietrini del tipo comune e di dimensioni standard (cm. 10×10). Li distingue solo la superficie superiore, a livello della strada, poiché di ottone lucente. Su di essa sono incisi: nome e cognome del deportato, anno di nascita, data e luogo di deportazione e, quando nota, data di morte.

L’inciampo non è fisico ma visivo e mentale: costringe chi passa a interrogarsi su quella diversità e agli attuali abitanti della casa a ricordare quanto accaduto in quel luogo e a quella data, intrecciando continuamente il passato e il presente, la memoria e l’attualità. Le “Pietre di inciampo” sono un segno concreto e tangibile, discreto e non monumentale, che diviene parte della città, a conferma che la memoria costituisce parte integrante della vita quotidiana. Le “Pietre” sono finanziate da sottoscrizioni private; il costo di ognuno, compresa l’installazione, si aggira tra i 75 e i 95 euro.

È a partire dal 1995, e in Italia dal 2010, spiega la storica Anna Foa nella relazione tenuta al Senato diversi anni fa, “ che le pietre d’inciampo hanno cominciato a segnare case e strade delle città. Vere e proprie opere d’arte, piccole sculture sobrie e discrete, destinate ad essere calpestate perché destinate appunto all’inciampo: inciampo dell’attenzione ma anche inciampo materiale, non destinato a far cadere il passante ma a fargli percepire che là qualcosa è successo.

Le pietre d’inciampo segnano lo spazio, mentre i nomi che vi sono incisi segnano il tempo.

Il tempo della nascita e della morte di un essere umano, lungo, lunghissimo, brevissimo. Le date ci dicono se da quella porta è passato un neonato ancora incapace di camminare o un vecchio che si appoggiava al bastone, un uomo giovane e forte, una donna incinta. Le due categorie fondamentali dell’essere umano, il tempo e lo spazio, sono compresse dentro quel sampietrino di bronzo, quella scultura.

Tempo che si lega allo spazio, in un legame indissolubile che solo consente l’identificazione e la memoria. Attraverso quelle piccole sculture, pietre che richiamano ad un essere umano, ad una identità, lo spazio si riempie di memorie

Sono memorie che, messe tutte insieme, formerebbero un grande tappeto ma la loro caratteristica è proprio quella di essere il ricordo ciascuna di una persona, di renderci concreta quella persona a differenza delle grandi lapidi con tanti nomi, anch’esse importanti, ma che hanno una diversa funzione.  La funzione delle pietre d’inciampo è quella di dare un nome ad ogni uomo, donna, bambino che ha superato quelle soglie, quei portoni, senza alcuna gerarchia; strappato alla vita da quel luogo e assassinato.”

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