Fig.1 – Villa Patrizi e dintorni
Uscendo da Porta Pia e andando a destra per viale del Policlinico, fiancheggiamo a sinistra i due palazzi del Ministero delle Infrastrutture (ex Lavori Pubblici) e delle Ferrovie dello Stato Italiane (quest’ultimo, con ingresso dalla successiva Piazza della Croce Rossa, è detto “villa Patrizi”, dal nome di una dimora settecentesca che qui sorgeva, circondata da un ampio parco, fino all’inizio del Novecento: fig.1). Tali palazzi sono separati da una stradina interna – che prima rettilinea poi piega a sinistra fino alla Nomentana – la quale nei cartelli apposti dalle FS è chiamata via “De Meus” (fig.2). Ma alle stesse Ferrovie non sanno cosa voglia dire, il nome non compare nello Stradario del Comune, e perfino su Google non risulta nulla. È questo il nostro primo mistero.
Fig.2 – Via De Meus
Venendo al Santo di cui vogliamo parlare, da Porta Pia andiamo stavolta dritti per via Nomentana e troviamo sempre, a destra, il Ministero delle Infrastrutture; poi al civico 4 la predetta uscita di via De Meus; quindi al n.8 un primo Monastero, quello delle “Religiose dell’Eucarestia” (fra poco ne vedremo un secondo) con una sua Chiesa dedicata al Corpus Domini (anche di Chiese ne troveremo una seconda, quella di S. Giuseppe, più avanti al n.60); infine giriamo a destra per via dei Villini. Ci fermiamo quasi in fondo a questa strada, alla palazzina con ingresso dal n.34, che ospita il secondo Monastero, questo appartenente alle “Figlie del Cuore di Gesù” (fig.3). Prima di tale ingresso c’è un vecchio portone di ferro (fig.4), alla cui sinistra una frase dipinta sul muro, pur assai sbiadita da ottant’anni di intemperie, recita ancora “Ricovero antiaereo pubblico Capienza posti 200”; quella che però ci interessa, scolpita sopra detta porta, è la scritta “C.D.A.S. S. Nicomede”. Di che si tratta?
Quanto a “C.D.A.S.”, è la pontificia Commissione Di Archeologia Sacra, istituita da Pio IX nel 1852 per la tutela – scrisse il Papa – dei “sacri cemeteri antichi”; è tuttora attiva, in quanto – in base al Concordato del 1929, rinnovato nel 1984 – la Santa Sede è rimasta competente in materia di studio e tutela delle catacombe cristiane in Italia. Per questa porta si dovrebbe quindi accedere a uno di tali cimiteri; dall’erba che c’è davanti, è evidente che non viene aperta da parecchio tempo.
Fig.3 – Monastero Figlie del Cuore di Gesù a via Villini 34
Fig.4 – Porta ipogeo via dei Villini
Quanto a “S. Nicomede”, chi era? Certamente uno dei primi Martiri cristiani; ma troviamo sue notizie solo in un testo del V secolo d.C., intitolato “Passio Sanctorum Nerei et Achillei”. Vi si narra di Petronilla, bellissima figlia nientemeno che di San Pietro (che fra l’altro, divenuta paralitica, era stata poi miracolosamente guarita, ovviamente dal babbo). Nell’85 d.C. – durante le persecuzioni di Domiziano – la ragazza ricevette la visita di un nobile pagano, Flacco, che “cum militibus armatis” le ordinò (talebano ante litteram) di sposarla. Lei, pur vergine e votata al Signore, non poteva negarsi al potente patrizio: riuscì solo a ottenere un rinvio di tre giorni. Quindi, desiderando essere comunque sottratta a quell’uomo, con l’assistenza del presbitero Nicomede si ritirò a pregare insieme con l’amica Felicola. Il terzo giorno le sue preghiere furono esaudite, ed ella tranquillamente … morì. Poco dopo giunse Flacco, e non la prese per niente bene; però, vista Felicola (anch’essa “di forme leggiadre”) e dato che la cerimonia nuziale era già pronta, decise detto fatto di sposare lei. La donna, anch’essa votata alla verginità, rifiutò; allora Flacco – che evidentemente andava per le spicce – la fece uccidere e gettare in una cloaca. Nicomede, conosciuto l’accaduto, ne recuperò le spoglie e la seppellì; ma il cattivissimo Flacco, venutolo a sapere, lo fece arrestare; poi (secondo un’altra versione del VII secolo) lo condannò alla graticola, ma un temporale spense il fuoco e un successivo terremoto disperse i pagani che assistevano, uccidendone un centinaio. Quindi, entrambe le versioni concordano che (cambiando sistema) fu frustato con flagelli piombati, e alla fine perì; dopodiché, per impedire che qualcuno recuperasse pure lui, venne buttato a Tevere. Controcorrente andò un altro cristiano, evidentemente barcarolo, Giusto (“nomine et opere”, di nome e di fatto), che ripescò Nicomede; lo portò “ad horticellum sum, iuxta muros via Nomentana” (cioè nella nostra zona, fra tale strada e le mura Aureliane) e lì lo seppellì. Era, secondo la tradizione, il 15 di settembre, che nel calendario venne intitolato a tale Santo.
Una bella storia, evidentemente inventata: a parte l’improbabile figlia di San Pietro, e il nome di Giusto che calza fin troppo sul personaggio, c’è il fatto che all’epoca di Domiziano le mura Aureliane ancora non c’erano. Ciò nonostante il seppellimento in questo luogo sulla Nomentana è l’unica parte attendibile del racconto; per il resto è probabile che nel V secolo si fosse perso il ricordo della vicenda originaria e occorresse dare fondamento e spiegazione al culto di un Santo comunque molto venerato; tanto che attorno al suo sepolcro erano sorte delle catacombe. Ma andiamo con ordine.
Da una parte il sottosuolo della zona è per lo più tufaceo, per cui è relativamente facile scavarlo. D’altra parte, nel 450 a.C. le “Leggi delle XII tavole” stabilirono che nessuno potesse essere inumato o cremato all’interno del “pomerium”, confine di Roma sia amministrativo che sacro, che coincise inizialmente con le mura Serviane, per poi gradualmente allargarsi fino alle più tarde Aureliane; perciò nel sito in questione c’erano sempre state tombe pagane. Da tutto ciò derivò l’usanza dei primi cristiani di seppellire i defunti fuori le mura in gallerie sotterranee, dette “catacumbae”; così intorno al sepolcro di Nicomede si svilupparono – intorno al III secolo d.C. – le grandi catacombe a tale Santo intitolate. Rimasero in uso fino al V/VI secolo d.C.; poi furono abbandonate, mentre le attività di culto si spostavano in superficie. Si ha infatti notizia, già nel 499, dell’esistenza di una Basilica – il “Titulus Nicomedis” – di cui non è chiara l’ubicazione; comunque verso il 620 Papa Bonifacio V fece costruire, presso le catacombe di Nicomede, una chiesa a lui dedicata; restaurata da Adriano I nel VII secolo, ospitò le reliquie del Santo. Ma verso l’820 un altro Pontefice le trasferì altrove; così le sorti del Martire si separarono da quelle delle sue catacombe, e i loro misteri – come i sentieri di Borges – si biforcano: dove sono finiti i resti del Santo? Ed è proprio sotto via dei Villini che stanno le predette catacombe?
Partiamo da queste ultime. Per secoli non se n’ebbero più notizie; occorre arrivare all’inizio del Seicento, e ad Antonio Bosio, soprannominato “il Cristoforo Colombo della Roma sotterranea”, perché di catacombe ne scoprì una trentina. Così il 14 dicembre 1601, “uscendo fuori dalla Porta Pia, e caminando per la via Nomentana alcuni passi a mano dritta … in una vigna”, il Bosio – come scrisse nella sua opera “Roma sotterranea” – ritrovò un “piccuolo Cimiterio sotterraneo, al quale si discende per alcuni scalini di mattoni … il quale ha li suoi monumenti cavati nel tufo … Il detto cimiterio è piccolissimo, havendo quattro o cinque strade, con tre o quattro cubicoli solamente, ed io penso che questo sia di S. Nicomede”; ciò in quanto, nella stessa vigna, aveva ritrovato anche “alcune vestigi di muri, che forsi sono della Chiesa dell’istesso Santo”. Erano proprio le nostre catacombe? Chissà; dopo poco, di questa scoperta del Bosio si perse di nuovo l’ubicazione (al novello Colombo è ora intitolata una via nel quartiere Nomentano).
Sempre qui sorse, fra il 1716 e il 1725, la citata villa dei Patrizi col suo parco. Un po’ più oltre, lungo la Nomentana, venne nel 1741 costruita una piccola Chiesa, dedicata a Santa Maria della Natività; tra l’altro, nel suo altare furono collocate le reliquie di tre Santi: Modesto, Pio e … Giusto (chissà se era il barcarolo di Nicomede).
Arriviamo così al 1864, quando a scavare nel parco della villa fu Giovanni Battista De Rossi – archeologo e studioso del cristianesimo antico – che vi scoprì i resti di un edificio rettangolare absidato, di fronte al quale una scalinata scendeva ad alcune gallerie sotterranee con cubicoli ed iscrizioni greche e latine, fra cui un graffito con le lettere “NIKO” (che facevano pensare a Nicomede); forse il luogo era lo stesso del Bosio, certo siamo nella zona della futura via dei Villini. De Rossi concluse che tali ruderi corrispondevano all’antica basilica del Santo, e gli ambienti sottostanti erano le sue catacombe (anche a De Rossi è dedicata, nel Nomentano, una via, che incrocia quella di Bosio). Vent’anni dopo, a partire dal Piano Regolatore del 1883, il parco di villa Patrizi fu lottizzato ed edificato. Si realizzarono nuove strade, che per lo più si diramavano dalla Nomentana; la stessa, a partire dal 1890, fu allargata, arrivando da m.10 di larghezza (fig.5) agli attuali 40.
Fig.5 – Inizio via Nomentana prima dell’allargamento
Per il nuovo quartiere occorrevano anche più edifici religiosi, e come sappiamo c’era solo una Chiesa, quella dedicata alla Natività di Maria, che i Patrizi avevano acquistata dal 1869. Fecero un pessimo affare, perché il fabbricato incappò nell’allargamento della strada e, dopo alterne vicende, fu demolito nel 1902; sul terreno retrostante venne costruita, allineata al nuovo limite della via, l’attuale Chiesa (come detto, al civico 60), progettata dall’architetto Carlo Busiri Vici (lui la strada non ce l’ha; ce n’è invece, vicino a villa Pamphili, una dedicata a suo padre Andrea, anch’esso architetto). Neoromanica, con all’interno richiami bizantini, venne inaugurata nel 1905 e intitolata a San Giuseppe (fig.6); nell’altare della sagrestia furono trasferite le reliquie di Giusto (sempre insieme – in un compendio di virtù – con Modesto e Pio).
Tornando verso Porta Pia, nacque fra le altre anche via dei Villini, e il terreno sovrastante le gallerie scoperte dal De Rossi passò come detto alle Figlie del Cuore di Gesù, che vi fecero edificare – sempre da Carlo Busiri Vici – il loro predetto Monastero, in stile neoromanico; l’ingresso alle presunte catacombe restò assicurato dal citato portone di ferro del C.D.A.S.
Avvicinandosi ancor di più a Porta Pia, un altro lotto sulla Nomentana fu venduto alle Religiose dell’Eucarestia; lì fra il 1886 e il 1889 vennero costruiti – come detto al civico 8 – l’attuale, sopracitata Chiesa del Corpus Domini, in stile neogotico (fig.7), coll’altro annesso Monastero. Il progetto, definito dall’onnipresente Busiri Vici, fu modificato e attuato prima dal francese Victor Gay (nulla a che fare col Pride), poi dal belga Arthur T. Verhaegen (a Bruxelles c’è una rue Théodore Verhaegen, chissà se è lui).
Fig.6 – Chiesa S.Giuseppe a via Nomentana 60
Fig.7 – Chiesa Corpus Domini a via Nomentana 8
Terminata così la lottizzazione del parco, di villa Patrizi era rimasto il fabbricato (peraltro rifacimento di quello settecentesco, distrutto da un incendio nel 1849) con poco giardino intorno; nel 1907 furono le Ferrovie dello Stato, costituite da un paio d’anni, ad acquistarlo. Lo abbatterono, e iniziarono gli scavi per le fondamenta di due nuove costruzioni: il Ministero dei Lavori Pubblici di Porta Pia, e la Direzione Generale delle stesse FS di Piazza Croce Rossa.
Per il fabbricato ferroviario, Rodolfo Lanciani – ingegnere, topografo e archeologo (gli sono intitolati sia una via che un largo, sempre nel quartiere Nomentano) – fu incaricato di analizzare tutto ciò che, rinvenuto durante gli scavi delle fondamenta, avesse un interesse geologico e storico, facendo asportare quanto poteva essere salvato. Nel maggio 1918 – a costruzione del palazzo ancora in corso, ma terminato il compito affidatogli – il Lanciani pubblicò un’ampia relazione, intitolata “Delle scoperte di antichità avvenute nelle fondazioni degli edifici per le Ferrovie dello Stato nella già Villa Patrizi” e corredata da vari disegni e fotografie (ad essa dobbiamo molte delle notizie qui riferite). Lanciani descrisse in dettaglio, tra l’altro, i ritrovamenti – proprio sotto il costruendo palazzo – di varie gallerie cimiteriali, da lui definite di Nicomede; continuò però, in modo un po’ equivoco, ad associarle alle “piccole catacombe di Nicomede” scoperte dal De Rossi nel 1864 (che invece sono come detto sotto via dei Villini).
Sulla base di tale relazione, nonché di altri ritrovamenti negli anni successivi, a dire la parola definitiva sulla vicenda fu Enrico Iosi, ispettore della citata Commissione di Archeologia Sacra (la sua strada sta però a Casal Palocco); concluse che molte delle gallerie trovate dal Lanciani erano parte del cimitero di Nicomede, modificando così l’interpretazione del De Rossi, e preferendo definire il cimitero da questi ritrovato nel 1864 come “ipogeo anonimo di via dei Villini”.
Gli fece eco con ulteriori argomenti, in una pubblicazione del 1932, un collaboratore di De Rossi, Orazio Marucchi (che ci riporta nel Nomentano, ha una piazza vicino via Lanciani); riferì infatti che nel 1920 oltre trenta gallerie rinvenute nelle fondazioni dell’edificio FS erano state riconosciute come “vero cimitero di Nicomede … mi associai a tale conclusione perché, avendo seguito … le identificazioni proposte dal de Rossi, non mi ero però potuto spiegare l’estrema piccolezza dell’ipogeo, mentre sembra che il cimitero di Nicomede dovesse essere assai ragguardevole”. Altri più recenti studi confermano che tale cimitero doveva essere molto vicino alle Mura Aureliane, e pure ciò ben si accorda con la sua identificazione nelle gallerie rinvenute sotto il fabbricato ferroviario.
Dobbiamo così concludere che il portone inserito nel Monastero di via dei Villini 34, nonostante la scritta che c’è sopra, non dà accesso alle catacombe di Nicomede, ma ad un diverso e più piccolo ipogeo. Le vere catacombe in questione erano sotto il palazzo ferroviario di Piazza della Croce Rossa: in parte distrutte realizzando le fondamenta di tale edificio, in altra parte stanno ancora lì (pur rimanendo, ahimè, inaccessibili). Anche il mistero della loro collocazione è così svelato.< Passando alla ricerca dei resti del Santo, torniamo indietro di dodici secoli e ci spostiamo sull’Esquilino, alla bellissima Basilica di S. Prassede, costruita da Pasquale I, Papa dall’817 all’824 (fig.8). Al suo interno una vecchia lapide ricorda che ”riposano in questa Chiesa … due mila trecento corpi de SI. Martiri postivi da S. Pasquale Papa Primo”; di questi, un’altra lapide ancor più antica ne elenca per nome ottantasei, fra cui appunto Nicomede. Una ricerca delle reliquie residue fu intrapresa nel 1729; alcune vennero ritrovate, ma solo in piccola parte identificate. Ora stanno composte nella cripta in quattro sarcofaghi, tre anonimi e uno coi nomi della stessa Prassede e sua sorella Pudenziana. Non vi è quindi alcun sepolcro di Nicomede e, data l’evidente perdita della maggior parte dei 2.300 resti (e la commistione di quelli residui), non è dato sapere se, fra quanto rimasto, vi siano i suoi. La ricerca è finita? Fig.8 – Papa Pasquale I No. Una vecchia cronaca narra che nell’876 (circa sessant’anni dopo la traslazione di Nicomede a Santa Prassede) il vescovo di Parma Guibodo si recò in pellegrinaggio a Roma, e ritornò a casa portandosi le reliquie di due Santi, Giovanni Calibita e Ciriaco. Di Nicomede non si parla; ma possiamo ipotizzare che, oltre ciò che il Papa gli aveva concesso ufficialmente, Guibodo abbia in qualche modo, come dire … arrotondato, prendendosi pure una parte dei resti del nostro Santo. Lo conferma un altro documento dell’885, nove anni dopo, con cui l’Imperatore Carlo il Grosso donò a Guibodo una proprietà in località “Fontanabroccola”, ai confini fra le diocesi di Parma e Piacenza ”onde ne faccia dote alla Chiesa in cui si dovrà riporre il corpo del martire Nicomede”. La Chiesa fu costruita e c’è ancora; se si ha occasione di passare di là (a pochi chilometri da Salsomaggiore) vale la pena visitarla. In mezzo a prati verdi, vicino ad un bosco e un fiume, vi regna un’atmosfera di pace, quasi magica. Già prima dell’avvento del cristianesimo, lì scaturiva una sorgente considerata miracolosa, quindi per i pagani sacra; e continuò ad essere tale anche per la nuova religione. L’acqua della fonte “broccola” – cioè traboccante – era ritenuta benefica in particolare per i dolori alla testa; tanto che i pellegrini usavano arrivarci tenendo sul capo una pietra o un mattone, che poi lasciavano vicino alla stessa fonte (e forse il mal di testa passava … proprio per questo). Pure con quei materiali fu edificato l’edificio commissionato dall’Imperatore, attribuendo i poteri miracolosi dell’acqua al nostro Martire. Restaurata nel 1909, all’esterno appare in pietre e mattoni rossi (fig.9); al suo interno si sovrappongono diverse fasi costruttive: l’abside è duecentesca e l’aula del Trecento; ma più suggestiva è la piccola cripta del IX secolo, a tre navate sorrette da quattro colonne di spoglio (fig.10). A sinistra si vede il pozzo dell’antica sorgente, non accessibile perché chiuso da una grata (se si ha mal di testa, meglio quindi un cachet). Di Nicomede c’è, dietro l’altare maggiore, solo una statua lignea, nient’altro: infatti – pure se il culto del Santo qui si protrae ininterrotto da undici secoli – i suoi resti ci sono stati poco; per sottrarli alle scorrerie degli Ungari (che in quel periodo devastavano il nord Italia), già nel 913 vennero trasferiti nel Duomo di Parma, e bisogna cercarli lì. Andiamoci. Fig.9 – Chiesa S. Nicomede a Fontanabroccola Fig.10 – Cripta Chiesa S.Nicomede La Cattedrale parmense, a croce latina, esternamente romanica, dentro è rinascimentale; stupenda la cupola, affrescata nel Cinquecento dal Correggio. Del nostro Santo però nessuna traccia; ma è proprio questa la Chiesa dove furono portate le reliquie di Nicomede? Sì e no. In effetti, la prima notizia sull’esistenza di un Duomo a Parma è dell’anno 830; è in esso che nel 913 vennero trasferiti i resti del Martire; pochi anni dopo, nel 920, l’edificio finì distrutto da un incendio. Ricostruito, tale secondo Duomo venne danneggiato dalle fiamme nel 1038 e bruciato nell’incendio di Parma del 1058; e ancora rifatto una terza volta, ridanneggiato in un terremoto del 1117 e di nuovo restaurato: è quest’ultimo il fabbricato attuale. Possibile che, fra tutte queste distruzioni e ricostruzioni, qualche reliquia si sia salvata? Ebbene, un vecchio documento, custodito nell’Archivio della stessa Cattedrale, racconta che nel 1587 venne collocata nell’altare maggiore (fig.11) un’urna contenente “corpora Sanctorum Herculani, Abdonis … et dimidium corporis Sti. Nicomedis martyris”, cioè “la metà del corpo di S.Nicomede martire”. Nel 1983, in occasione di lavori nel presbiterio, fu eseguita una ricognizione, ritrovando sotto lo stesso altare una cassetta con vari resti, divisi fra quattro scomparti, nel terzo dei quali c’erano ossa molto antiche appartenute a due diversi individui, nonchè una targa metallica con scritto – udite udite – “SS. MM. Nicomedes et Herculanus” (fig.12). Poiché la cassetta venne lì ricollocata, dove siano le reliquie del martire – già custodite per settecento anni vicino a Porta Pia – non è più un mistero: stanno in quell’altare. Fig.11 – Altare Maggiore Duomo Parma Fig.12 – Cassetta con Reliquie S.Nicomede >Ma un devoto di Nicomede, o comunque chi voglia rendergli omaggio, deve per forza recarsi a Parma? Non occorre, basta andare in via Nomentana 60, alla citata Chiesa di S. Giuseppe. Alle sue decorazioni ha lavorato, fra gli altri, il pittore Eugenio Cisterna. Studioso dell’arte paleocristiana, dipinse in molti edifici religiosi, iniziando nel 1882 dalla cripta di Sant’Agnese in Agone: l’archeologo De Rossi fu talmente colpito dalle opere ivi realizzate che lo pregò di metterci ben chiara la data, ad evitare che si confondessero con quelle antiche. Cisterna collaborò spesso col Busiri Vici (lui però, a differenza dell’architetto, una strada ce l’ha, ad Acilia); a S. Giuseppe realizzò nel 1907 la decorazione delle tre absidi; nella principale, al centro del catino c’è ovviamente il padrone di casa, Giuseppe; ma accanto a lui vediamo sulla destra un anziano benedicente, con aureola dorata, barba bianca e, ai lati, la scritta “SCS Nicomedes Presbiter”: ecco, una sua immagine da venerare ce l’abbiamo (fig.13).
Fig.13 – Immagine S.Nicomede in Chiesa S.Giuseppe
Va pure meglio se, tornando verso Porta Pia, ci si ferma all’altra Chiesa sulla Nomentana, quella delle Suore Religiose dell’Eucarestia, intitolata al Corpus Domini. Pure in quest’edificio lavorò – verso il 1910, nella navata centrale e nell’abside – il Cisterna; e anche qui vediamo, in fondo a sinistra, sotto un’immagine di S. Pietro, altre due figure divise da una colonna, una delle quali è, come scritto, ”S. Nicomedes”: sempre un anziano con aureola, barba bianca e in mano, stavolta, una Pisside (fig.14). Sotto è infine dipinta una scena più articolata, con lo stesso vecchio ormai esanime, trasportato dentro un lenzuolo da varie persone, fra cui spicca un altro uomo con sulla spalla … un remo; chi sia e che stia facendo ormai lo sapete, anche senza tradurre la sottostante iscrizione: “Iustus corpus Nicomedys Presbiteri et martirys diligenter conquisitum ad muros Urbis via Nomentana honorifice in sepulcro condidit” (fig.15).
Fig.14 – Immagine S.Nicomede in Chiesa Corpus Domini Fig. 15 – Tumulazione S.Nicomede in Chiesa Corpus Domini
Così, dopo catacombe, chiese, monasteri, Santi, archeologi, architetti e pittori, resta solo il mistero della via. Ebbene, le citate Religiose dell’Eucarestia furono costituite – originariamente col nome di “Suore belghe dell’Adorazione Perpetua” – a Bruxelles nel 1856; e la fondatrice – scopriamo ora – si chiamava Anne … “De Meeüs”. La pronuncia appare ostica per un italiano, per cui è facile si siano perse la seconda “e” e la dieresi sulla “u”, divenendo così De Meus; cioè il nome della predetta strada interna fra Ministero delle Infrastrutture e Ferrovie dello Stato Italiane: un omaggio all’Ordine che perpetua la memoria di Nicomede, il Santo dei tre misteri … ora risolti.
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