“La Madonnina di guerra” di Maurizio Rocco Lazzari

RACCONTO DEL FLANEUR ROMA2PASS PUBBLICATO IL 16 FEBBRAIO 2024.

Passeggiando tra le strade del quartiere Trieste, all’angolo tra via Chiana e via Tagliamento, ci si imbatte in una grande edicola con un altare e un mosaico raffigurante la Madonna del Divino Amore.  Sotto l’immagine c’è una scritta, in parte in latino e in parte in italiano: “MATER DIVINI AMORIS ORA PRO NOBIS – A RICORDO DELL’INCOLUMITA’ DI ROMA – 4 GIUGNO 1944” (data della liberazione di Roma da parte delle truppe alleate). 

L’edicola, chiamata familiarmente dagli abitanti del quartiere la “Madonnina”,  è una riproduzione di una antica immagine della Madonna realizzata da un pittore della Scuola romana di Pietro Cavallini, presumibilmente alla fine del XIV secolo.  La “Madonnina”, appoggiata all’edificio edificato nel 1927 dall’I.R.C.I.S. (Istituto Romano Cooperativo per le Case degli Impiegati dello Stato) su progetto dell’architetto e ingegnere Quadrio Pirani, è stata costruita alla fine della seconda Guerra Mondiale grazie a una raccolta di contributi volontari degli abitanti del quartiere.

In tal modo, i residenti intendevano esprimere gratitudine alla Madonna del Divino Amore, particolarmente venerata dai romani fin dal XVIII secolo, per aver protetto l’Urbe da più ingenti distruzioni derivanti dal conflitto, a differenza di quanto avvenuto per altre città italiane come Milano e Napoli.

Ma gli abitanti del quartiere Trieste non furono i soli a dedicare un’edicola votiva alla Madonna del Divino Amore.   Se andassimo in giro per la Capitale in una sorta di pellegrinaggio, infatti, ne potremmo incontrare tante altre in vari rioni e quartieri (come Campo Marzio, Pigna, Regola, Nomentano, San Lorenzo).

Il dipinto originale della Madonna del Divino Amore, così chiamata in quanto ripiena dello Spirito Santo ovvero del Divino Amore, era in una delle torri di cinta dell’antico Castello dei Leoni, situato tra l’Appia Antica e l’Ardeatina nella zona oggi chiamata Castel di Leva (per una degenerazione del nome del castello), dove nel 1745 venne edificato il Santuario.

Due secoli dopo, durante il periodo bellico, il dipinto fu al centro di varie traversie.  Nel gennaio del 1944, infatti, al fine di preservare il quadro dai bombardamenti aerei nemici che avevano già colpito la zona di Castel di Leva, Pio XII ne dispose il trasferimento a Roma, dapprima nella chiesa di San Lorenzo in Lucina e, successivamente, nella chiesa più grande di Sant’Ignazio di Loyola.

Qui i romani, rispondendo a un invito del Papa, si recarono numerosissimi alla fine del mese di maggio per pregare per la salvezza dell’Urbe e fu proprio nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola che Papa Pio XII, in occasione della messa di ringraziamento celebrata una settimana dopo la liberazione di Roma, definì la Madonna del Divino Amore “Salvatrice dell’Urbe”.

Se è sconosciuto il nome del pittore della sacra icona del XIV secolo, non lo è invece l’autore del quadro del 1516 (circa), custodito nel Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli e dedicato anch’esso alla Madonna del Divino Amore, ovvero Raffaello Sanzio.

All’inizio degli anni cinquanta del secolo scorso, la “Madonnina” di via Chiana operò un secondo miracolo.  Che cosa avvenne, secondo una testimone, all’epoca adolescente, che assistette all’episodio? Un autobus della linea B, proveniente da via Tagliamento, proprio all’altezza dell’edicola votiva, andò a urtare la carrozzina condotta da una signora distratta che, in quel momento, aveva deciso di attraversare la strada.  Sulla carrozzina c’era un bambino o una bambina (la testimone non ricorda bene se si trattasse di un maschietto o di una femminuccia) che venne sbalzato/a fuori e cadde sul selciato, rimanendo, miracolosamente illeso/a.  In ricordo di questo straordinario e fortunato evento, i resti della carrozzina furono custoditi in una nicchia protetta da una grata, collocata alla destra dell’altare sottostante l’immagine della Madonna del Divino Amore, per poi sparire improvvisamente alla fine del secolo ventesimo.

Per la verità, non è l’unica sparizione verificatasi nella strada che scende da via Salaria a corso Trieste.  Se si guarda in alto, al di sopra dell’edicola votiva, si può notare che nella nicchia, dove è stata posta la statua della lupa capitolina, non c’è più traccia di Romolo e Remo, i mitici gemelli fondatori di Roma”.

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