Davide Pacanowski

Davide Pacanowski nasce nel 1904  in Polonia in una famiglia di antiche origini ebraiche.  Il padre era un industriale del settore tessile, la madre scultrice, la prima sorella pittrice e la seconda pianista e concertista, morta in un campo di concentramento in Germania, insieme ai genitori. 

DA FARE

Davide Pacanowski, palazzina in via S. Angela Merici, 1951. Edificio molto particolare, come la vita del suo autore, ingegnere-architetto ebreo-polacco, progettista relativamente conosciuto più attivo a Napoli che a Roma dove comunque ha realizzato anche altre palazzine, a Via dei Monti Parioli, a via Cirillo, a via Bolsena. Il suo rapporto con questa città è stato tormentato visto che, a seguito delle leggi razziali del 1938, il suo nome fu cancellato dall’Albo degli Architetti insieme a quello di Angelo Di Castro. Sembra sia stato allievo di Le Corbusier a Parigi e forse non a caso la palazzina è vicina al linguaggio del  Movimento Moderno. Sembra quasi una rivisitazione del “Raumplan” di Loos e della villa purista di Le Corbusier, con i piani slittati tra di loro, qui utili anche ad assorbire il dislivello tra le due strade, e i volumi scalettati in copertura. Molto particolari anche i balconi a profili curvi e smussati.

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Compiuti gli studi presso la Superiore scuola reale, grazie a una borsa di studio del governo italiano, viene in Italia e si iscrive alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano. Particolarmente formativo si rivelò l’apprendistato svolto con i più affermati professionisti del capoluogo lombardo, tra cui Giò Ponti che gli trasmette l’idea di un’architettura leggera, quasi “librata nell’aria a sfidare le leggi della gravità”.

Nel 1928 si laurea e va in Inghilterra dove realizza una serie di negozi a Leeds e Leichester.  Con la grande depressione si trasferisce a Parigi per lavorare nello studio Hennebique (riconosciuto come l’inventore del cemento armato).  Applicando le nuova tecnologia, per la Societé des Bains de Mer, progetta strutture completamente nuove da realizzare sulle spiagge.  A Parigi frequenta lo studio di Le Corbusier che rimarrà un punto di riferimento costante nel suo lavoro.

Alla metà degli anni Trenta, su invito di Antonio Di Penta suo compagno di studi, P. torna in Italia e partecipa con Domenico Filippone al concorso per il palazzo della Civiltà Italiana) l’attuale “colosseo quadrato” all’EUR).  Il suo chiodo fisso è l’adozione, contro ogni logica autarchica, di tecnologie edilizie innovative e materiali costruttivi nuovi e, facendo riferimento ai caratteri di semplicità ed efficacia, propri dell’architettura minore mediterranea, redige una serie di progetti per la costruzione in Somalia di edifici per uffici e abitazioni che saranno esposti l’anno dopo a Roma nella Mostra dell’Architettura coloniale.

Con la promulgazione delle leggi razziali nel 1938, è arrestato in quanto polacco e israelita. Ma grazie alle sue acclarate capacità e conoscenze tecnologiche, esce dal carcere per dirigere i lavori di costruzione della sede centrale del Banco di Napoli, progettata da Marcello Piacentini.  Nel 1939, in occasione dell’inaugurazione dell’edificio, presenta un ambizioso progetto di “edilizia cittadina” per la sistemazione dell’area antistante la sede del Banco di Napoli, comprendente diversi fabbricati per abitazioni e uffici, un albergo, un teatro, un cinema all’aperto e un vasto parcheggio interrato.

Internato a Sepino, presso Campobasso, vi rimane quattro anni. Al di là delle sofferenze iniziali, il periodo si rivela gratificante sul piano umano e professionale: alle numerose testimonianze di affetto della popolazione locale si aggiunge la profonda considerazione dell’archeologo Amedeo Maiuri, che stava facendo degli scavi a Saepinum e gli affida importanti compiti di restauro.  A Sepino l’architetto partecip all’ampliamento del cimitero e alla costruzione del cinema.  Nel 1944, in segno di riconoscenza per la dedizione mostrata nel lavoro, P. riceve, insieme a Maiuri, la cittadinanza onoraria del comune molisano.

Nel secondo dopoguerra, ormai libero, P. torna a concepire inediti e avveniristici edifici e si impegna ad affermare la qualità dell’architettura moderna.  Nel 1945, progetta un albergo di 22 piani su uno dei moli del porto di Napoli distrutti dai bombardamenti bellici.    Nel 1946 redige per conto del duca Visconti di Modrone una proposta progettuale (non realizzata perché ritenuta troppo avanzata) per la costruzione, a Milano, di un edificio per appartamenti, un parallelepipedo segnato in facciata da una coppia di corpi scala che si avvitavano verso l’alto come moderne colonne coclidi.

Negli anni della ricostruzione postbellica rivolse la sua attenzione alle infrastrutture legate alla mobilità, rinnovando il rapporto professionale con l’impresa Di Penta. Assieme all’ingegner Carlo Cestelli-Guidi, collabora in una serie di appalti per ricostruire numerosi ponti italiani, a partire da quello monumentale di Ariccia.

Nel 1954 ottiene finalmente la cittadinanza italiana e, diviso tra Roma e Napoli e realizza una schiera di palazzine nella capitale e ville nel capoluogo partenopeo – dove convergevano, in perfetto equilibrio, ingegnose e ardite concezioni strutturali, sapienti soluzioni funzionali e limpidi impaginati prospettici.

A Roma realizza

  • il villino del 1950 in via Monti Parioli 11, adagiato sullo spalto della collina con vaste terrazze affacciate su valle Giulia,
  • lo slanciato edificio in via S. Angela Merici (1951), abilmente conformato a sfruttare l’acclività del terreno, in cui riesce a coniugare sentimento classico e tensione avanguardista.
  • via Domenico Cirillo …

Nelle ville partenopee, mirabilmente inserite nel contesto ambientale del golfo, all’astrazione dell’opera muraria oppose l’accorta disposizione dell’elemento vegetale, a riaffermare il principio dialettico tra cultura e natura. Nella villa Crespi (1952), vicina alla Terrazza di Sant’Antonio, quasi incastrata tra l’emergenza di due pini secolari e aggrappata all’estremo lembo della collina di Posillipo rivolto verso il porto di Mergellina, concretò la dicotomia tra il basamento fuso con lo sperone tufaceo della collina e le aeree solette lanciate nel vuoto, appena puntellate dallo slanciatissimo pilastro che le sezionava verticalmente. Il progetto fu esposto alla Mostra internazionale di San Paolo del Brasile del 1956 e accolto con grande interesse dalla critica (fu considerata tra Le più belle ville del mondo: in Epoca, 1956, n. 324, pp. 60-62). Cinque anni dopo portò a termine la villa Maderna in via Petrarca (1957), una sapiente e moderna rilettura dell’architettura vernacolare campana, e la villa Bruni Platania sulla collina di Posillipo (1957), in realtà una palazzina per un nucleo plurifamiliare chiusa a nord e spalancata con ampie logge verso l’abbacinante azzurro del golfo.

Negli stessi anni si dedicò anche all’edilizia economica e popolare.  Nelle case a schiera di Casoria (1953), presso Napoli, realizzate per accogliere i dipendenti della Rhodiatoce (azienda italiana operante nel settore delle tecnofibre, per la quale progettò anche lo stabilimento industriale), tralasciò il consueto allineamento dell’edificato al filo stradale, e inanellò le otto unità abitative sfalsandone le rispettive giaciture, così da disporle secondo l’asse eliotermico. Per conto dell’INA-Casa, con cui avviò un’intensa collaborazione nel corso del secondo settennio di attività, portò a termine numerosi interventi dislocati tra Campania e Molise: a Benevento, a Boiano, a Casacalenda (Campobasso), a Secondigliano (Napoli), e a Termoli. Nel fabbricato pluriuso per negozi e abitazioni dell’INA (Istituto nazionale assicurazioni) a Caserta (1959), dovendosi inserire all’interno della cortina muraria continua che delimitava via Roma, tralasciò gli sbalzi e gli aggetti della propria poetica, e reinterpretò in chiave moderna l’articolazione canonica del palazzo classico: al di sopra di un basamento segnato da puntuali piedritti – i pilotis di Le Corbusier – scavò la facciata travalicandone la consueta bidimensionalità e, verso il cielo, in luogo dell’aggetto del cornicione, interpose l’ombra profondissima di un loggiato continuo.

Nella seconda metà degli anni Cinquanta tornò a occuparsi di infrastrutture legate ai trasporti: nel 1956 progettò, per conto della società SPAN (Società partenopea anonima di navigazione)di Napoli, l’allestimento interno di quattro motonavi, realizzate dalla Società Navalmeccanica di Castellamare di Stabia e l’anno successivo portò a termine la stazione superiore della funicolare di Capri – luogo amato oltremisura, dove mito e moderno si fondono in mirabile sintesi – di cui approntò anche il disegno delle vetture.

Nel 1957 fu tra i soci fondatori dell’associazione Giardino romano e l’anno dopo vinse il concorso per la sistemazione a parco pubblico dell’area prospiciente l’aeroporto di Fiumicino, realizzata solo in minima parte, nel 1970, e successivamente distrutta.

L’interesse per il verde e i giardini lo accompagnò per tutta la vita e ne dette conto pubblicando sulle pagine de Il giardino fiorito lo scritto Cereus grandiflorus (Selenicereus grandiflorus): Regina della notte (n. 7, 1958, p. 181), nonché diversi articoli sulla rivista Fiori dove presentava propri studi e realizzazioni: Terrazze sistemate a giardino (n. 1, 1958, pp. 8-11), Palazzina in un parco (n. 4, 1959, pp. 10-13), Terrazza a giardino (n. 1, 1960, pp. 1-3).

Tra il 1960 e il 1963 prese parte, ancora una volta per conto dell’impresa Di Penta, agli appalti-concorso per le stazioni della metropolitana di Roma.

In particolare nell’ambito della proposta progettuale per la fermata Risorgimento, che prefigurò come un potente invaso ctonio dominato da file di svettanti pilastri, studiò anche la sistemazione a giardino pubblico della piazza sovrastante, rifacendosi al modello informale di derivazione anglosassone, trasfigurato dalla scuola brasiliana.

Negli anni Sessanta portò a termine due importanti edifici deputati al terziario: la sede della SET (Società esercizi telefonia) in via Monte di Dio, a Pizzofalcone (Napoli) e gli edifici del CNEN (Comitato nazionale per l’energia nucleare) alla Casaccia (Roma), risolvendoli entrambi in modo sachlich: pareti lisce, finestre in lunghezza, solette a sbalzo, slittamento dei piani verticali di tamponamento rispetto alle solette strutturali, così da renderne la compenetrazione. In questi progetti era palese l’attenzione posta alla visione notturna; le chiare volumetrie diurne si trasformavano di notte in teche luminescenti, risplendenti come i calligrafici ‘cristalli’ di Giò Ponti.

Nel 1966 progettò per la città di Foggia la chiesa di S. Antonio da Padova (aperta al culto nel 1979), coniugando la complessità geometrica con l’attenzione per il genius loci: il recupero della spazialità barocca con l’adozione del carparo. Nella grande calotta di copertura, memore della lezione della cappella Ronchamp di Le Corbusier, trasfigurò il riferimento simbolico della tenda biblica in una colossale fontana-pluviale.

Spirito investigatore e instancabile sperimentatore, nel 1969 vinse il III premio al Concorso internazionale di applicazione degli elastomeri in architettura, bandito in Germania dalla società Bayer di Leverkusen, e un decennio più tardi, per conto dell’impresa Di Penta, mise a punto a Nepi (Viterbo) il prototipo di una casa prefabbricata antisismica in poliestere rinforzato con fili di vetro e coibentata con poliuretano espanso. All’indomani del terremoto del Belice realizzò a Castello di Cisterna (Napoli), un complesso di case per i terremotati dotato di molti servizi: un asilo nido, una scuola materna ed elementare, una palestra e un centro sociale.

Continuò a lavorare fino in tarda età, rivolgendo sempre più l’attenzione alla scala paesaggistica: alla fine degli anni Ottanta, ideò per Fregene (Roma) un giardino comunale con auditorium all’aperto, centro sociale e parcheggio, e sviluppò il piano di massima per il tratto centrale del lungomare di Levante, nel quale con autentico e pionieristico spirito ambientalista prefigurava la ricostituzione della duna abrasa della violenta urbanizzazione e la reintroduzione della macchia mediterranea; agli inizi degli anni Novanta progettò un vasto garage interrato in via Agrigento, a Roma, coronato da un centro sportivo immerso nel verde.

Muore a Roma nel 1998.

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