Carlo Pincherle (Venezia 1863- Roma 1944), padre di Alberto Moravia, nasce a Venezia in «una famiglia ebrea numerosa che viveva sul Canal Grande».
Carlo aveva tre sorelle e un fratello: Gabriele (magistrato e giurista, fu presidente del Consiglio di Stato e senatore del Regno), Elena, Anna e Amelia, scrittrice, madre di Carlo e Nello, esponenti della Resistenza, assassinati nel 1937. Si laurea ingegnere a Padova.
Nel 1885 si trasferisce a Roma con la madre e la sorella Amelia presso il fratello Gabriele, il quale, dal 1881, dopo aver esercitato l’avvocatura, era divenuto segretario presso il ministero di Grazia e Giustizia. Realizza due villini tra viale del Castro Pretorio e via di Porta S. Lorenzo per l’imprenditore Clemente Vanoni e per Enrico Formentini (1894), l’altro, ancora per Vanoni, che sarebbe divenuto uno dei suoi principali committenti, per un villino in via di S. Martino della Battaglia angolo con via Sommacampagna (1898).
La crisi che investe la capitale a partire dal 1888 determina una pausa forzata nell’attività edilizia. Nel nuovo quartiere la lottizzazione di villa Ludovisi che, completata solo a partire dai primi anni del Novecento, si configurò quale terreno di sperimentazione di nuovi tipi edilizi: istituti religiosi, alberghi, residenze unifamiliari e case da pigione. Pincherle realizza, a partire dai primi anni del Novecento, numerose opere quali i villini edificati per le famiglie Spierer, Ascoli-Nathan, Levi, Mayer (villino Mayer), Capon, Vivante, tutti ben articolati internamente e caratterizzati dalla sobria eleganza degli apparati decorativi.
Analoghi per connotazione gli edifici realizzati ancora nel quartiere Ludovisi tra il 1901 e il 1910 per Vanoni, su incarico del quale Pincherle seguì i lavori del villino Florio in via Sardegna angolo via Abruzzi (1904), progettato da Ernesto Basile. In via Boncompagni angolo con via Piemonte, realizzò il villino Rasponi (1901) e, in seguito, l’adiacente casa per domestici (1908); quindi, con l’architetto milanese Achille Majnoni, il bel villino Casati (1907), salotto della mondanità romana e attualmente istituto bancario, e, nel rione Prati, la palazzina in via dei Gracchi oggi sede dell’ambasciata della Repubblica Ceca. Per sé stesso progetta i fabbricati di via Paisiello 37 e via Sesia, nel quartiere allora detto Sebastiani, e li mette a reddito e il villino di via Giovanni Sgambati 9 (1911) dove allestì il proprio studio e risiede con la famiglia.
Nel 1903 aveva sposato Gina De Marsanich; dal matrimonio nacquero Adriana (1905), in seguito pittrice di fama, Alberto (1907), Elena (1909) e Gastone (1914). Alberto, che, grazie all’aiuto del padre, stampa giovanissimo il suo primo romanzo, Gli indifferenti (1929), sarebbe diventato famoso come Alberto Moravia, col cognome di un lontano parente.
Sebbene poco incline al ricordo, Moravia ebbe occasione di parlare della famiglia a Dacia Maraini e in alcune interviste rilasciate in età matura. In particolare giudica il padre «più creativo in fatto di interni che di facciate, per lo più massicce e banali» e, in un’intervista del 1979, ne da un giudizio non lusinghiero: «centoquaranta immobili e ville per la borghesia romana, confortevoli ma completamente sprovviste di originalità: un Liberty molto addomesticato, convenzionale e borghese».
Dell’attività di Pincherle negli anni del regime fascista non si hanno notizie se non un precoce pensionamento legato alle leggi razziali. Lo scrittore ricorda quale ultima opera del padre la residenza di un giornalista, figlio di Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio, realizzata a breve distanza dall’abitazione di famiglia. Affetto da una grave forma di arteriosclerosi, muore a Roma nel 1944, durante l’occupazione tedesca.
Carlo Pincherle era lo zio dei fratelli Rosselli, assassinati in Francia per ordine del Partito Nazionale Fascista.
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