Carlo Busiri Vici

Questa pagina delinea le opera dell’arch. Carlo Maria. Busiri Vici, con particolare attenzione a quello che l’architetto ha realizzato nel territorio del Municipio II.

Carlo Maria. Busiri Vici nasce nel 1856 ed è figlio dell’architetto Andrea di cui segue le tracce.

Nel 1893 integra l’opera dell’architetto belga Verhaegen nella chiesa del Corpus Domini sulla via Nomentana, presso porta Pia, per la quale nel 1899 realizza l’altare maggiore. Interamente di sua concezione è la chiesa della Sacra Famiglia in via Sommacampagna (1895-96), demolita anni or sono per speculazione edilizia.  Di proporzioni più vaste e monumentali è la chiesa di San Giuseppe sulla via Nomentana, consacrata nel 1905, in cui egli sviluppa l’impianto della sua precedente opera.

Tra i giovani architetti romani attivi sullo scorcio del secolo passato, meglio di altri riesce ad armonizzare le nuove esigenze costruttive con l’arte del passato, come si può notare nella sua prima opera di rilievo, il palazzo Giorgioli su via Cavour, all’angolo di via Santa Maria Maggiore (1886), dove crea un un motivo divenuto poi d’uso corrente in tempi recenti. Nel 1888, costruisce per la sua famiglia, la casa d’angolo fra via Aurora e via Ludovisi, la prima a sorgere dopo la lottizzazione della villa Boncompagni Ludovisi.

Nel 1906-1907 realizza la sua opera più personale e impegnativa: l’albergo Palace, in via Veneto, ora adibito a uffici dipendenti dall’ambasciata degli Stati Uniti. Il nicchione centrale sull’attico, i busti di imperatori romani, le nicchie circolari, i mensoloni, il vasto cornicione, oltre al loggiato centrale quasi neoclassico con balaustre in ferro a nastro di impronta floreale, dimostrano come Busiri Vici, rifiutando la moda cosmopolita a base di cupolette, arrotondamenti d’angolo e balconcini (vedi il vicino Hotel Excelsior), sapesse tuttavia fondere elementi eterogenei per origine e stile in un insieme armonico e gradevole, dando inizio alla voga del “barocchetto romano”.

Classicheggiante anche il più tardo palazzo Simonetti in via Vittoria Colonna, angolo via Marianna Dionigi del 1914. Particolare cura dedica alla ricostruzione e al restauro di antichi edifici, in cui mette alla prova la sua cultura storico-artistica. Inizia nel 1913-14 con la palazzina di Villa di Grotta Pallotta in via Pinciana, un casale del Vignola, del quale conserva l’antico portale di tufo e le due nicchie ai lati, ma ne ingrandisce tutta la planimetria, elevando anche un secondo piano.

Tra il 1920 e il 1922 costruisce villa Taverna, curando raffinatamente gli interni ove valorizza le inquadrature naturali mediante grandi finestre a unico cristallo e cimentandosi anche nella progettazione del giardino.

Dal barone Fassini ha l’incarico di restaurare il castello del Sangallo a Nettuno e ne riporta all’antico la linea esterna pur ricavandone una comoda e piacevole dimora (1920-22). Per lo stesso committente nel 1920-22, ricostruisce Villa Monticello (oggi Villa Elvezia).

Nella costruzione di villa Elia (1922-24) in via di San Valentino, avvalendosi degli elementi e motivi cinque-seicenteschi approfonditi nei precedenti restauri ricostruttivi, realizza un’opera di carattere notevolmente personale, in cui un solido quadrato elemento centrale a tre piani si equilibra con due ali più basse e le riquadrature in tufo si distaccano dall’intonaco grezzo con ritmo e armonia rinascimentali. Negli interni, da lui sempre realizzati come “architettura” e mai come “addobbo”, egli si mantenne in coerenza con gli esterni, superando difficili problemi proporzionali con soluzioni raffinate e spesso originali.

Cura particolare dedica anche ad opere minori, tra cui citiamo la cappella Simonetti (1893) e la cappella Trigona Sant’Elia (1921) al Verano e il convento e cappella (oggi rimaneggiata) delle canonichesse di Sant’Agostino in via di Villa Patrizi (1900).

Muore nel 1925 nella sua casa in via Pinciana. Tre dei suoi figli divennero architetti: Clemente Busiri Vici, Michele Busiri Vici e Andrea Busiri Vici.

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