“Il Bersagliere incantato” di Massimo Petrella

Sempre, la Cronaca deve offrire piccoli tributi per ingraziarsi la Storia, sua severa matrigna.

Il 18 settembre del 1932, una domenica, poco dopo l’alba, una piccola folla di romani si era radunata intorno al piazzale di Porta Pia.  Quel giorno si doveva inaugurare il Museo del Corpo dei Bersaglieri, trasferito da poco all’interno della Porta Michelangiolesca, e si sarebbe anche completato il Monumento al Bersagliere, da scoprire poi solennemente il 23 Settembre alla presenza del Re. (in figura il Monumento al Bersagliere in una cartolina postale del 1932)  

Era molto presto per la cerimonia del Museo, ma i passanti erano attirati dai preparativi per collocare la statua sull’imponente piedistallo eretto proprio al centro della piazza, in asse con la via Nomentana.  Il Bersagliere era avvolto da un telo; spuntavano solo il braccio sinistro con la tromba, proteso in avanti nella corsa, il moschetto con la baionetta inastata, e l’intera base che imita il suolo su cui poggiano i due enormi scarponi; stava diritta, su un rimorchio parcheggiato accanto al basamento.

Una gru cominciò a sollevarla, mentre quattro squadre di operai la guidavano con le funi per non farla oscillare troppo o ruotare; facevano capo a quattro portavoce piazzati in posizioni strategiche sotto gli occhi di un omone, il caposquadra; un ingegnere piccolo e nervoso cercava senza posa il punto ideale da cui dare gli ordini; tutti erano attenti e silenziosi, e si capiva che di buonora stavano facendo un po’ di prove per prendere la mano con quell’operazione delicata in modo da eseguirla più tardi senza intoppi; non volevano fare brutte figure con le Autorità.

Quando la statua si trovò bene in alto, fu chiaro che i perni che spuntavano dalla sommità del basamento dovevano infilarsi nei fori che si vedevano sotto il terreno di bronzo del Bersagliere, due davanti e due dietro; così, una volta collegata, la statua sarebbe rimasta bloccata nella sua eterna corsa nella Storia, fissata lì sopra nei secoli a venire.  Pochi erano accorsi appositamente, abitanti del quartiere incuriositi dai preparativi; altri, tornando da lavori notturni, erano incappati lì per caso e nonostante il sonno non riuscivano a distogliere gli occhi dalla scena.

Tra la folla si trovava un ragazzino alto e magro, e suo zio, un ferroviere di mezza età; dopo anni di lavoro in America, lo zio era tornato in Italia, si era sposato, e la coppia senza figli ospitava ora quel nipote della moglie venuto dal Molise per studiare. All’alba avevano preso a nolo un camioncino di piazza per fare un modesto trasloco nella nuova casa, in Viale Regina Margherita, ma il mezzo era rimasto bloccato dalle transenne e loro erano scesi a curiosare.

Il ragazzo era appassionato di storia e geografia, lo zio gli raccontava sempre delle stazioni di Cleveland e Baltimora, di lunghissime locomotive a vapore, di Petrosino e della Mano Nera. (a destra una cartolina postale americana con la Cleveland Union Station di Cleveland, Ohio)

Nel 1930, a 13 anni, entusiasmato dalla Crociera aerea di Italo Balbo in Sud America, aveva raccolto foto e ritagli di giornale in un album improvvisato, l’aveva decorato a suo modo e l’aveva inviato proprio a lui, al mitico Comandante; quei dodici idrovolanti bianchi se li sognava la notte.  (a sinistra manifesto della crociera aerea transatlantica Italia-Brasile 1931)

Nei giorni precedenti aveva girato intorno al piedistallo con le iscrizioni e i bassorilievi, episodi di valore a volte sfortunato, Ponte di Goito, Manara, Enrico Toti, e l’immancabile acrobatico motto dannunziano; ora quei nomi, coronati dalla statua incombente, assumevano un diverso significato, e si materializzavano nella sua fantasia tra le battaglie delle grandi tele affollate del Risorgimento. (a sinistra ed a destra le  imprese dei bersaglieri sui  due  lati  del  basamento)

Da quel poco che si vedeva dell’opera, il ragazzo notava un prepotente effetto di slancio, anticipato dalla tromba e rafforzato dalla bocca del moschetto; vedeva però anche con stupore che la statua, mentre calava per appoggiarsi sul basamento, non puntava verso la Porta come avrebbe dovuto ma le dava le spalle, e che tromba e moschetto, così facendo, miravano diritti verso il punto di fuga della prospettiva di via Nomentana!

Vuota e più ampia del solito in quell’ora domenicale, senza traffico, la strada consolare sembrava attirare a sé il Bersagliere, invitandolo a percorrerla tutta a perdifiato fino alla esoterica Villa Torlonia, lungo il silenzio antico di S. Agnese, poi giù in discesa fino al Ponte Nomentano, caro agli innamorati, e più oltre tra necropoli e mausolei, ville romane e osterie, di tappa in tappa attraverso la campagna ondulata fino a Mentana, quasi ad accorrere a dare manforte ai Garibaldini alle prese con gli chassepots, in uno slancio generoso attraverso lo spazio e il tempo. (in figura il francobollo commerativo dell’Impresa di Balbo)

Al richiamo irresistibile esercitato dal vuoto della lunga strada, ammaliata dalla luce proveniente dal fondo, bassa sugli alberi dei controviali, abbagliante, la statua dondolava tranquillamente come l’ago di una bussola incantata, tutta a rovescio però rispetto alla direzione consacrata dalla Storia e dalle intenzioni dei Committenti. (in figura la prospettiva di via Nomentana ai primi del ‘900 senza il monumento al Bersagliere).

O forse, banalmente, quella notte il rimorchio era giunto in piazza rivolto per caso in quel certo verso, e così era rimasto, per cui al mattino gli addetti avevano creduto che quella fosse la direzione prefissata; insomma, comunque fosse, in effetti la statua dava allegramente le spalle alla splendida Porta incastonata tra quelle mura che invece i Bersaglieri avevano varcato lì vicino, nella fatidica Breccia del ’70.

Alcuni tra i presenti erano mezzo addormentati, altri, di istinto, trovavano normale quella voglia di correre a cui il giovanottone impetuoso non riusciva a sottrarsi; e poi, si sa, i Romani in genere sono così circondati dalla Storia che se non la prendi alla leggera quella ti opprime col suo manto polveroso. Purtroppo i perni erano simmetrici e andavano alla perfezione in entrambi i versi, per cui il ridicolo era in agguato, il silenzio altissimo.

Il ragazzo si meravigliava che nessuno intervenisse, ripassava la lezione di storia nota a tutti e richiamata cento volte dai giornali, fremeva, ma non osava parlare. Si mordeva le labbra, guardava lo zio, cercava la complicità di qualcuno più autorevole, studiava il viso dell’ingegnere, ma tutti sembravano presi dalla fascinazione femminile di quella strada che si offriva, ricca di nascondigli e di avventure.

Emozionato, le parole gli uscivano da sole, spezzate, ma no, che fanno, è sbagliato, no, i Bersaglieri sono ENTRATI a Porta Pia, non sono USCITI, a mezza bocca, lo zio sentiva e gli chiedeva di ripetere, stanno sbagliando, zio, dall’altra parte, verso la Porta, e poi più forte, giratela verso la Porta! Un professore lì vicino si svegliò come da un sonno, lo guardò, ma certo, sono entrati, LUI deve entrare, girate la statua! Il caposquadra più vicino sentì, corse dall’omone che si consultò con l’ingegnere; questo guardò la statua, poi la Porta, poi dalla parte da cui venivano le voci, si passò una mano sulla fronte e alzò gli occhi al cielo, infine si riscosse.

Facendo finta di niente, però tutto paonazzo, ordinò va bene, adesso giriamola verso la Porta, e il Bersagliere fu risollevato di poco, girato lentamente dagli uomini che ruotavano con le funi intorno al basamento, delicati come le villanelle che tendono lunghi nastri festosi intorno all’Albero della Cuccagna, e quando si trovò a puntare verso la Porta fu calato decisamente e a quel punto se ne dovette fare proprio una ragione; la Storia non si cambia solo perché è una bella giornata.

Ripeterono la manovra molte volte, tutto andò a posto.  Il professore e lo zio, in silenzio, guardarono il ragazzo: era rosso fuoco. Lentamente, la folla si disperse, c’era tempo per l’arrivo delle Autorità.

Tutti i giorni seguenti, fino all’inaugurazione del 23, quella vera, zitto zitto, il ragazzo andò a controllare la sua statua. Quando venne il gran giorno, nascosto tra la folla vide cadere le due enormi bandiere che l’avvolgevano e il monumento si svelò del tutto; il Re gli fece intorno un bel giro d’ispezione prima di tornare sul palco per i discorsi.

Solo allora trovò pace e abbozzò quel piccolo sorriso segreto che mi diventò così familiare.
Quel ragazzo, Michelino, era mio padre.

di Massimo Petrella

Il Monumento al Bersagliere

Il monumento commemorativo del corpo dei Bersaglieri è stato collocato in piazzale di Porta Pia per ricordare l’impresa del 20 settembre 1870 che si svolse proprio in questo tratto di mura dove, dopo che i cannoni dell’Esercito Italiano avevano aperto la famosa “Breccia”, entrarono a passo di carica i bersaglieri del 34° e del 12° battaglione. L’inconfondibile statua di bronzo fu inaugurata in contemporanea alla collocazione nei locali di Porta Pia del Museo Storico dei Bersaglieri venerdì 23 settembre 1932, tre giorni dopo l’anniversario.

Il monumento rappresenta appunto un bersagliere, nell’uniforme tradizionale completa del celebre cappello piumato (detto “Vaira”) nell’atto di lanciarsi in una carica brandendo il moschetto in una mano e la tromba nell’altra.

Fin dal 1923 l’Associazione Nazionale Bersaglieri meditava di celebrare con un importante monumento l’impresa dei Bersaglieri a Porta Pia.  Tuttavia la sua collocazione nella piazza fu prudentemente procrastinata da Mussolini desideroso di non riaccendere la Questione Romana, che egli voleva in qualche modo sanare attraverso un atto di riconciliazione con la Chiesa Cattolica.  Solo dopo la firma dei Patti Lateranensi, nel 1929 dunque, si riprese in considerazione l’erezione del monumento. Nel 1930 fu bandito il concorso pubblico, cui parteciparono ventiquattro concorrenti, il 5 marzo la commissione dichiarava vincitore Publio Morbiducci, sembra su suggerimento dello stesso Mussolini che ne aveva apprezzato molto il bozzetto, convinto che interpretasse appieno il carattere popolare del bersagliere. (a destra un autoritratto di Publio Morbiducci)

In realtà quello raffigurato nel monumento era un bersagliere vero e un vero popolano, si chiamava Angelo Giuseppe Carota, nato a Città Sant’Angelo in provincia di Pescara. Carota era un fante piumato di stanza alla celebre Caserma Lamarmora di via Anicia a Trastevere. Lo scultore Morbiducci si recò di persona alla caserma e selezionò il caporale Carota e un suo collega, meno conosciuto, Ruggero Mosciatti, che fece da “controfigura”.

La mattina del 23 settembre, quando fu inaugurata la statua, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III, del Principe Umberto, di Benito Mussolini, Achille Starace e del Governatore di Roma Francesco Boncompagni Ludovisi, accompagnati da cinquantamila bersaglieri provenienti da tutta Italia, il drappo tricolore che ricopriva il monumento fu tirato giù dalla figlia di Mosciatti, Silvana, che fino a tarda età ha presenziato le cerimonie e i raduni dell’Associazione Nazionale Bersaglieri.

Pubblicato il: 4 Mag 2021

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