Il 10 giugno 1940, l’entrata in guerra trovò il quartiere intorno a piazza Ungheria già in parte costruito, con palazzi, palazzine e villini spesso firmati da architetti importanti. Tuttavia questa parte della città era ancora vista come un qualcosa non ancora del tutto integrata con il resto dell’abitato dentro le mura.
In quegli anni, Roma era essenzialmente la città che si estendeva dall’asse di corso Umberto (come allora si chiamava via del Corso) fino al Vaticano da un lato e al Laterano dall’altro. I tassisti, con le loro auto dalla livrea verde e nera, non sempre erano ben disposti al tragitto “da Roma fino all’Acqua Acetosa” (con quest’ultimo termine usualmente identificavano tutto il nuovo quartiere). La stessa piazza Ungheria veniva colloquialmente denominata come “la Baia del Re”, associandola al fiordo (in norvegese “Kongsfjorden”) situato nell’arcipelago delle Svalbard nel mare Glaciale Artico; questo fiordo infatti costituiva la più remota tappa delle esplorazioni sulla via del Polo Nord e quindi per antonomasia “la Baia del Re” era un posto lontanissimo.
Erano tutte esagerazioni, ovviamente. Era pur vero che, di quel ceto di avvocati e magistrati che aveva colonizzato la zona di piazza Cavour, solo i più coraggiosi stavano affrontando la migrazione verso i Parioli, attirati dall’aria migliore. Al contrario, cineasti e attrici da un lato e le nuove leve dell’amministrazione pubblica dall’altro avevano di slancio apprezzato le abitazioni moderne e accoglienti.
Comunque, si erano già consolidate varie tranquille consuetudini del quartiere, tra cui l’esplorazione del mercatino rionale (all’epoca ubicato allo sbocco di viale Rossini sulla piazza Ungheria) o l’acquisto delle pastarelle dopo la Messa di mezzogiorno (vero evento sociale) a San Roberto Bellarmino. La chiesa dei Gesuiti di piazza Ungheria era stata progettata da Clemente Busiri Vici; molti altri edifici (su viale Liegi, su via Bruxelles, su via Paisiello) sono opere sue o di altri membri della sua famiglia, che da generazioni annovera maestri del costruire. Altri importanti professionisti (ad esempio, Guido Fiorini a via Nicolò Tartaglia) avevano firmato (e firmeranno anche in futuro) bei progetti che contribuiscono tuttora a dare al quartiere la sua fisionomia.
Erano anni in cui si viveva tra le sdolcinature dei film dei “telefoni bianchi” e l’autoritarismo del regime fascista, in una forse confusa, ma forte, tensione di passaggio verso un più moderno assetto sociale trainato dall’industria e dalla finanza. Qui ovviamente non è il luogo per analizzare in dettaglio gli effetti di questa tensione. E’ comunque indubbio che, tra gli effetti positivi (in gran parte vanificati nell’improvvido ingresso in guerra), si poté registrare un fiorire di opportunità di lavoro, in particolare nell’edilizia pubblica, che coinvolsero giovani professionisti accanto a maestri già affermati.
In questo contesto, nell’anno 1935, di fronte alla villa Heritz sulla Salaria Vetus (che in quel tratto coincide con il viale Romania) un lotto dalla strana forma triangolare viene individuato per ubicarvi un nuovo edificio militare, destinato ad ospitare il comando generale della MVSN (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale). Con i militi della MVSN (le cosiddetti Camicie Nere) il partito fascista ha di fatto una specie di suo esercito privato, cui affida la duplice funzione di normalizzare le frange “squadriste” degli iscritti al partito nonché di bilanciare il potere delle forze armate tradizionali (nelle quali l’impronta monarchica è forte, in particolare per Carabinieri e Cavalleria).
Di conseguenza, l’edificio del comando generale della MVSN è certamente luogo di lavoro ma soprattutto deve essere un chiaro simbolo della forza del regime. Anche se può sembrare incredibile per gli standard odierni, la progettazione di questo edificio così importante è affidata a Vittorio Cafiero, giovane architetto allora poco più che trentenne (nei decenni successivi lascerà molti importanti segni nella città, dal palazzo della FAO al Villaggio Olimpico). Il risultato si inserisce pienamente nel gusto dell’epoca; il nuovo edificio (inaugurato il 26 giugno 1936) ha l’ingresso monumentale su via Scipio Slataper ed è caratterizzato fortemente da una imponente torre (ben visibile arrivando da piazza Ungheria) che ospiterà il sacrario dei caduti della “rivoluzione fascista” decorato con i grandi mosaici di Angelo Canevari.
La cerimonia inaugurale del nuovo edificio è debitamente immortalata dalle cineprese dell’Istituto LUCE. Dai filmati, si nota alle spalle dell’edificio l’assenza del palazzo del comando generale dei Carabinieri: questo palazzo (come lo vediamo oggi in piazza Bligny) sarà edificato molto più tardi, negli anni ’50, e andrà a condividere l’area in cui era acquartierato il Reggimento Carabinieri a cavallo. Il frequente passaggio di questo Reggimento in alta uniforme e a ranghi impeccabili è stato per moltissimi anni (fino al trasferimento definitivo dei cavalli e dei cavalieri nella nuova caserma a Tor di Quinto) uno degli elementi tipici della vita di piazza Ungheria.
Gli anni trenta vedono il regime fascista conseguire il massimo livello del consenso popolare, anche grazie a una serie di avventure militari (Etiopia, Spagna, Albania). Quando nel 1940 si entra in guerra, la previsione che tutto si limiti a un breve periodo di ostilità accanto alla Germania nazista si rivela un errore madornale, aggravato dalla penuria di armi e materie prime le cui scorte sono state consumate in queste avventure militari. Anno dopo anno, arrivano sconfitte pesanti in Africa e in Unione Sovietica, insieme con dispendiosissime operazioni di controguerriglia nei Balcani e in Grecia.
L’occupazione alleata della costa dell’Africa mediterranea nel 1943 conduce alla perdita della Sicilia, dai cui aeroporti decollano i bombardieri alleati che il 19 luglio 1943 attaccano il nodo ferroviario di Roma per la prima volta. Questo bombardamento produce vittime e danni materiali ingenti e inoltre crea sconcerto non solo nella popolazione ma anche nella classe dirigente. Qui finisce il prodromo e appare una delle tessere del mosaico che la storia ha depositato sul quartiere dei Parioli.
La sera del 24 luglio 1943, per deliberare sulla condotta della guerra a fronte dell’emergenza in atto, Mussolini convoca il Gran Consiglio del fascismo. Questo organo (previsto da una delle tante leggi approvate a sostegno del regime fascista, anche a modifica dello Statuto Albertino) a notte fonda vota a maggioranza il passaggio del comando effettivo delle forze armate da Mussolini al re Vittorio Emanuele III, innescando una crisi che si amplifica di ora in ora.
Di fatto, il bombardamento del 19 luglio (del quale è vittima anche il comandante generale dei carabinieri, gen. Hazon) ha accelerato un insieme di differenti manovre attribuibili a vari gruppi (gerarchi fascisti frondisti, militari di alto grado, personalità attive prima dell’avvento del regime, gerarchie vaticane, membri influenti della corte sabauda ecc.). Queste manovre, più o meno coerenti o realistiche, sono comunque tutte rivolte a far uscire l’Italia dalla guerra e, soprattutto, sono in varia misura note al re, che così è nella condizione di cogliere l’opportunità del voto del gran Consiglio non solo per sostituire il capo del governo ma per demolire il regime fascista.
A questo scopo, al gen. Cerica (succeduto da pochi giorni ad Hazon al comando dei Carabinieri) viene ordinato di predisporre l’arresto di Mussolini all’uscita dall’udienza nella palazzina reale (oggi ambasciata dell’Egitto) nel pomeriggio di domenica 25 luglio. In questa vicenda storica (in merito alla quale si discuterà se sia stata un colpo di stato o l’esercizio costituzionale dei poteri regi), la zona di piazza Ungheria ha un ruolo da giocare, e non solo per le poche centinaia di metri che la separano da villa Savoia (oggi Villa Ada).
Per iniziare, va notato che la predisposizione operativa dell’arresto di Mussolini è il risultato di una riunione che si tiene presso il comando del Gruppo Interno dei Carabinieri, ospitato allora in una palazzina (negli anni cinquanta sostituita da un palazzo moderno) all’angolo tra viale Liegi e via Lutezia. Il gen. Cerica affida l’operazione al comandante del Gruppo Interno, il tenente colonnello Giovanni Frignani (poi ucciso alle Fosse Ardeatine).
In vista dell’arresto, ci si pone il problema della possibile reazione delle varie componenti del partito fascista (tra cui principalmente la MVSN), che si devono ritenere ormai informate dell’esito della votazione del Gran Consiglio e delle possibili conseguenze. Mentre i Carabinieri si preparano a effettuare l’arresto nel giardino della villa reale, viene eseguito con notevole prontezza un piano evidentemente predisposto da tempo a cura dei vertici militari. In accordo con questo piano, il Raggruppamento Esplorante Corazzato (R.E.Co.) “Lancieri di Montebello” (reparto di cavalleria passato dai cavalli ai carri armati e inquadrato nella Divisione “Ariete II”) viene fatto uscire dalla sua base all’Olgiata e inviato a presidiare piazza Ungheria e le poche altre vie di accesso alla zona di viale Romania.
La missione viene effettuata nella discrezione più assoluta. Come ebbe a raccontarmi tanti anni fa il dott. Luciano Murgia (di antica famiglia sarda, all’epoca dei fatti qui narrati era un giovanissimo sottotenente di cavalleria in “Montebello”) gli ufficiali ricevettero l’ordine di schierare le autoblindo e i semoventi ma senza spiegazioni su quanto stava accadendo; solo al rientro nella serata seppero del cambio del capo di governo e, a quel punto, capirono il senso di quel presidio armato nelle strade dei Parioli.
Nel corso di quella giornata, i fedelissimi di Mussolini discussero vari progetti di reazione. Nei pressi di Roma, era in addestramento (con carri e istruttori tedeschi) una nuova divisione corazzata, comprendente una forte aliquota di militi MVSN: un sollevamento di questa unità avrebbe creato grossi problemi di mantenimento dell’ordine pubblico.
Al termine della giornata, però, si rinunciò ad ogni movimento; dal comando generale di viale Romania fu emesso non il temuto ordine di sollevamento ma un messaggio che offriva piena collaborazione della MVSN al nuovo capo di governo, il maresciallo Pietro Badoglio; quest’ultimo (che risedeva nella sua grande villa di via Bruxelles) a sua volta fece circolare un proclama che affermava l’appartenenza della MVSN alle forze armate nazionali (e non più al partito). Il momento critico era così superato.
Quindi, se il crollo del regime avvenne quasi senza disordini (il conto lo si sarebbe pagato più avanti), fu anche grazie anche all’efficienza con cui il “Montebello” eseguì la sua missione. In anni recenti, ho avuto conferma del racconto del dott. Murgia (presente proprio a piazza Ungheria e quindi protagonista e testimone dei fatti) a seguito del ritrovamento casuale del libro di Pafi e Benvenuti (citato più oltre).
In questo libro, in particolare, sono pubblicate un paio di foto di grande interesse. La prima foto mostra due ufficiali di “Montebello” in tenuta da servizio armato che si dirigono verso un autocarro dei lancieri sistemato di fronte alla chiesa di piazza Ungheria, in posizione parallela al viale Romania.
La seconda foto riprende un’autoblindo (apparentemente una SPA 42) piazzata all’angolo dell’attuale bar Hungaria, con la mitragliatrice rivolta verso l’imbocco di viale Romania. Sicuramente, mitragliatrici di questo tipo (così come quelle degli altri blindati schierati quel giorno) avranno costituito un elemento di riflessione (se non di dissuasione) per chi doveva prendere decisioni operative all’interno del palazzo di via Slataper 2. Imbottigliato dai carri di “Montebello” tra piazza Ungheria, la zona di vigna Filonardi e i dossi di villa Ada, il comando MVSN si ritrovò senza spazi di azione e inoltre (si dice) con le linee telefoniche opportunamente messe fuori uso.
Va evidenziato che in rete si attribuisce alle due foto la data del 26 luglio: questa data sembra non corretta. Al di là del racconto molto dettagliato del dott. Murgia, è più verosimile la data del 25 luglio. Infatti, la direzione delle ombre conduce a stimare che queste due foto siano state scattate nel primo pomeriggio, probabilmente verso le ore 14:00.
In una Roma che fino ad allora non aveva cambiato granché i suoi ritmi, l’assenza di tracce del mercatino rionale e il ridottissimo traffico civile di mezzi e di persone fanno pensare ad un pomeriggio festivo. In effetti, il 25 luglio 1943 era una domenica; inoltre, già da prima dell’ora stimata per gli scatti fotografici gli alti comandi sapevano che il re aveva accordato udienza a Mussolini convocandolo a villa Ada per le ore 17:00 e quindi avevano avuto modo di schierare tempestivamente i “Lancieri di Montebello”.
Qui si conclude questa piccola storia di quartiere, che non mi risulta aver avuto di certo la notorietà di altre componenti di quelle convulse giornate.
E’ comunque doveroso ricordare che, poche settimane dopo gli avvenimenti fin qui ricordati, i “Lancieri di Montebello” parteciparono coraggiosamente alla battaglia per la difesa di Roma nei giorni successivi all’armistizio dell’8 settembre, combattendo al viadotto della Magliana e all’EUR ; in quella battaglia, lo stesso dott. Luciano Murgia fu ferito in azione e meritò la medaglia d’argento al valor militare.
Corrado Iannucci
Per chi fosse interessato ad approfondire consigliamo:
- Benedetto Pafi – Bruno Benvenuti, “Roma in guerra : immagini inedite settembre 1943-giugno 1944”, Roma, Oberon, 1985: contiene varie immagini di luoghi e personaggi di Roma e del Municipio II in tempo di guerra; in particolare riporta le due foto dei “Lancieri di Montebello” a piazza Ungheria;
- Paolo Monelli, “Roma 1943”, Torino, Giulio Einaudi editore, 2020: è un testo scritto “a caldo” come una cronaca giornalistica ; ripubblicato più volte, è utile per contestualizzare la vicenda ricordata più sopra;
- Elisabetta Cristallini – Antonella Greco, “Via Slataper n. 2. Il palcoscenico della Milizia”, Roma, Prospettive, 2009: descrive la struttura e le decorazioni interne del palazzo progettato dall’arch. Vittorio Cafiero; il palazzo , restaurato dalla Difesa alcuni anni fa, merita una visita;
- Fulvia Ripa di Meana, “Roma clandestina”, Milano, Kaos edizioni, 2000: pubblicato la prima volta nel 1944, riporta un punto di vista (femminile ma coraggioso) su Roma in guerra; l’Autrice (decorata di Croce al valore militare per la sua partecipazione alla Resistenza) negli anni quaranta viveva in via Bruxelles, non distante dalla villa di Badoglio (l’attuale ambasciata della Cina).
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