“Giacomo Balla e la via dei Parioli” di Giovanna Alatri

Questo racconto si è classificato 2° nel concorso Premio AMUSE 2023.

In questa seconda puntata del racconto “Quando ai Parioli c’erano i campi …” di Giovanna Alatri parliamo di Giacomo Balla (1871-1958)  pittore, esponente di spicco del Futurismo, che abitava ai Parioli, sul vicolo (poi via) dei Parioli, una viuzza stretta e solitaria che da Porta Pinciana conduceva all’osteria delle Tre Madonne, sul percorso delle odierne via Pinciana e via Giovanni Paisiello).

Dei tre personaggi ricordati in questo racconto (n.d.r., Giacomo Balla, Alessandro Marcucci e Giovanni Cena), Balla era stato tra i primi giunti ad abitare ai Parioli; torinese di origine, nel 1895 si era trasferito a Roma insieme alla madre, con la quale, nei primi tempi del suo soggiorno romano, alloggiava in via Piemonte, in una “[…] bottega che, dietro una povera tenda, – ha scritto Alessandro Marcucci – si capiva dovesse servire anche da abitazione. Era una personcina magrolina dalla barba e i capelli biondo scuri ramati, dagli occhi chiari, luminosi, ridenti, vestiva povero ma pulito […]”(1).

Presto il giovane pittore fece amicizia con un gruppetto di aspiranti artisti, Alessandro Marcucci, Duilio Cambellotti, Serafino Macchiati, che lo coinvolsero in incontri letterari e d’arte, permettendogli di entrare a fare parte di un mondo ricco di idee, di entusiasmo e di passioni, e anche di conoscere e amare Roma: “[…] Villa Borghese comincia a essere per mio padre – ha scritto la figlia Luce – il luogo più caro dove può godere la natura nell’armonia dei grandi alberi e dei prati silenziosi […]”.(2)

L’amicizia dei quattro giovani si consolidava sempre più e i loro incontri avvenivano spesso in casa di Marcucci a corso d’Italia, allora “popolare sobborgo”, dove Giacomo Balla conobbe Elisa, sorella del padrone di casa e sua futura sposa; la storia affettiva fra i due giovani non fu semplice, poiché ostacolata sia dallo stesso Marcucci che dalla autoritaria madre di Balla, i quali sognavano per entrambi un matrimonio che assicurasse loro quella tranquillità economica che al momento mancava a tutti.

Balla lavorava molto, eseguiva soprattutto ritratti per committenti appartenenti al mondo politico, a personaggi altolocati, alle signore dell’alta borghesia e cominciava a farsi conoscere; nel 1902 ricevette dalla Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti l’invito a esporre alcune sue opere a Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale: l’occasione gli permise di fare conoscenza con altri pittori già affermati, come ad esempio Boccioni, Severini, Roesler Franz, Giovanni Prini, con quest’ultimo in particolare stabilì una profonda e duratura amicizia; ebbe anche l’opportunità di farsi apprezzare da un vasto pubblico, di raggiungere i primi successi, e di migliorare le proprie condizioni economiche, il che gli consentì finalmente di cambiare alloggio.

Lasciata la squallida bottega-studio di via Piemonte andò ad abitare insieme alla madre in via Salaria, in una casa modesta che disponeva di un giardinetto con un pergolato dove poteva dipingere; nonostante l’ostilità della signora Balla, in quel giardinetto si recava a posare anche Elisa che nel frattempo con la propria madre e il fratello Alessandro si era trasferita vicino a via Salaria, al vicolo Carcano; Balla lavorava molto, oltre ai ritratti dipingeva paesaggi, la periferia che si stava trasformando, le nuove case in costruzione in mezzo ai prati della città che avanzava.

Nonostante la contrarietà della madre di Balla, Giacomo ed Elisa nel 1904 decisero di sposarsi in Campidoglio, avendo come testimoni Marcucci e Cambellotti; per mezzo del futuro sindaco Nathan, “[…] trovarono in un vecchio casale di campagna, o convento del’700, che era stato dei Frati della Vittoria e che ora era proprietà di un certo Sebastiani ed era su via dei Parioli, una viuzza stretta e solitaria che conduceva all’osteria delle Tre Madonne; in questa vecchia casa c’era una cappella dove la domenica veniva un frate a dire la Messa.  (n.d.r. Adolfo Sebastiani è l’imprenditore che aveva acquistato tutta quell’area su cui realizzerà il cosiddetto Quartiere Sebastiani e la vecchia costruzione in cui Giacomo ed Elisa vanno ad abitare era approssimativamente all’angolo tra le attuali via Paisiello e via Carissimi).

L’appartamento era costituito da una fila di stanze grandi che davano su un balcone lungo, volto a ponente, con la vista della cara Villa Borghese: grandi alberi attorno e prati, c’era l’eucaliptus che superava il vecchio casale arancione sperduto in mezzo ai campi dove cominciavano a costruire qualche palazzo; sole, vento, stelle e in primavera rondini che giravano con gridi di gioia intorno al tetto; fango d’inverno nelle strade appena tracciate che passavano in mezzo ai prati e gran sole e cicale d’estate. In quella casa si svolse la vita feconda e ricca di tutti quei bellissimi e svariati giorni dell’artista, la parte più bella, più tumultuosa e palpitante della sua vita; quella fu la sua casa nel breve passaggio sul pianeta […]”.(3)

In quella “sua casa”, infatti per molti anni, Balla lavorò intensamente produsse molte opere di grande bellezza, godendo appieno il privilegio di vivere e lavorare tra il verde della natura, accanto a Villa Borghese, trascurando spesso di produrre opere “redditizie” ma rivolgendo il suo interesse solo verso quanto lo incuriosiva e ispirava; per un periodo si era dedicato “[…] a studiare e dipingere i tipi più disgraziati, – ha scritto la figlia – e li avvicina, li va a vedere nei loro tuguri, li porta a casa sua e vive insieme con loro per poterne penetrare ogni espressione, ogni atteggiamento e spesso li aiuta […]”.(4)

Per l’artista era continua fonte di ispirazione l’ambiente che lo circondava: gli scorci di Villa Borghese, il cielo, la campagna, i prati che andavano scomparendo per fare posto alle nuove case; negli anni dieci fervevano i lavori per il nuovo quartiere Parioli: poco lontano dalla sua abitazione, “sorgeva un magnifico pino e là si doveva fare una piazza e allora il pittore d’accordo con gli uomini che lavoravano nelle strade fece inchiodare intorno all’albero un recinto di tavole e riuscì a salvare il magnifico pino di quella che si chiama ora piazza Pitagora”.(5)

Sin dagli esordi Balla aderì al movimento Futurista di cui fu esponente di primo piano e all’approssimarsi della grande guerra si schierò con gli interventisti: nel 1915, lui e Fortunato Depero firmarono, come astrattisti-futuristi, il manifesto “La ricostruzione futurista dell’Universo”.(6) Nel 1926, mentre il quartiere si andava affollando di nuovi fabbricati, fu costretto, a causa della morte del proprietario Sebastiani, a lasciare la casa in cui aveva vissuto tanti anni lavorando intensamente e accogliendo intorno a sé amici, colleghi e allievi, primi fra tanti Boccioni e Severini, “intorno al 1902 nel suo studio appollaiato in fondo ad uno stretto e lungo balconcino, sospeso fra terra e cielo”, descritto più tardi così bene da Fortunato Depero: “[…] Lo studio di Balla era una sala galleggiante su di una scogliera a forma di casa. Lo studio era lanciato sulle alte e verdi onde del giardino di Villa Borghese, proprio nel punto più alto dove ruggono i leoni e ridono macabre le jene dello Zoologico […]”(7).

Anche il poeta napoletano Francesco Cangiullo, ha ricordato con nostalgia il fascino di quello studio che frequentava in occasione delle serate futuriste: “[…] La Casa di Balla isolata in mezzo alla campagna, simile a una nave […] La Casa di Balla tutta iridescente e scintillante di colori dai vetri fracassati dal sole da tutte le parti, in tutte le re, la Casa di Balla traforata dall’aria e dal cielo azzurro cinguettante […] Il suo studio inombro di quadri geniali, di costruzioni dinamiche, fantastico di ogni magia […]”.(8)

Le perenni ristrettezze economiche e la mancanza di alternative immediate per trovare un alloggio obbligarono Balla ad accettare l’ospitalità offerta dai signori Ambron, prima, per un brevissimo periodo e gratuitamente, nella loro stessa abitazione di viale Parioli (n.d.r. Villa Villegas): “La villa – ha scritto la figlia Elica – era in perfetto stile moresco, fatta costruire dal pittore spagnolo Villegas nei primi anni del ‘900, aveva al centro del primo piano un magnifico patio in marmo bianco con la fontana […] le grandi stanze del primo piano davano su un bel giardino a terrazza; la villa era chiusa da un alto muro nello stile della costruzione, le stanze del piano terreno si affacciavano su quel muro e avevano le inferriate alle finestre; noi fummo alloggiati in quelle stanze; addio care finestre aperte al sole del tramonto, addio vasto orizzonte di Villa Borghese! Ricorderò sempre lo squallore di quelle stanze […].(9)

Dopo poco tempo gli stessi signori Ambron, ospitarono i Balla in una villetta a Valle Giulia, sempre provvisoriamente in attesa che trovassero una sistemazione definitiva, che con l’aiuto degli amici, venne individuata in un alloggio dell’Istituto Case Popolari a Prati di Castello, concesso per un affitto modesto e con la possibilità di riscatto: “Andremo in una nuova casa nel Quartiere Prati; – ha ricordato Elica – Là si costruiscono case popolari; quel quartiere non era molto apprezzato dai romani, dicevano che era umido e malsano, infatti si trova nella valle del Tevere, e noi eravamo abituati suoi colli dei Parioli presso Villa Borghese, ma in quel momento null’altro si poteva trovare, poi la casa era esposta a mezzogiorno, aveva molto sole e un terrazzo abbastanza grande; avremmo avuto vicini gli amici Biancale e Giovanni Prini che abitava proprio a due passi dalla nostra futura casa”.(10)

Il peregrinare abitativo dei Balla si concluse nel 1929 in via Oslavia: l’appartamento che andarono a occupare non somigliava affatto alla casa in cui avevano trascorso i primi anni della loro vita, sicuramente difficili, ma pieni di attività interessanti, di contatti umani, di amicizie e di affetti, situata in un contesto magico, ricco di bellezze e in armonia con la natura.

Nel quartiere Prati cominciava una nuova fase, l’ultima, della vita di Balla, sicuramente meno gioiosa della prima, che tuttavia aveva almeno il pregio di cancellare il senso di precarietà che l’aveva accompagnata sino ad allora: ma questa è un’altra storia.

Giovanna Alatri

Continua con la prossima puntata: Alessandro Marcucci e il vicolo Carcano

Altre puntate seguenti del racconto: Quando ai Parioli c’erano i campi …Giovanni Cena e il vicolo San Filippo.

Note

(1) Elica Balla, Con Balla, Milano, Multhipla Edizioni, 1984, vol. I, p. 47
(2) Id., p.105
(3) Id., p. 125
(4) Id., p. 131
(5) Id., p. 231
(6) Cfr. Id.,
(7) Id., vol. I, p. 328
(8) Id., vol. I, p. 329
(9) Elica Balla, Conballa, cit, vol.II, p. 234
(10) Id., p. 311
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Pubblicato il 10/05/2020

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