(SA101) Piazza Fiume e dintorni

Questa pagina contiene un sintetico memorandum degli argomenti da trattare o accennare durante le passeggiata.  La presentazione dell’evento è all’indirizzo PIAZZA FIUME E DINTORNI (SA101) (roma2pass.it)   
INTRODUZIONE
Siamo a piazza Fiume e in particolare dove sorgeva l’antica porta Salaria. Volendo utilizzare nomenclature ormai superate, siamo tra due rioni e due quartieri; (in ordine orario) il rione Sallustiano (dalle mura a via Calabria), il rione Ludovisi (da via Calabria alle mura), il quartiere Pinciano (tra le mura e via Salaria) e infine il quartiere Salario (da via Salaria alle mura).

PORTA COLLINA
Ma facciamo un passo indietro e parliamo dell’antica Porta Collina delle Mura Serviane (del VI secolo a.C.). Si trovava dove ora c’è il grande Ministero dell’Economia in via XX Settembre (nel Rione Castro Pretorio).
Da questa antica porta non usciva la Salaria che conosciamo oggi ma una strada che oggi non esiste più, la via Salaria Vetus verso l’attuale Porta Pinciana, e la via Nomentana antica, entrambe con un percorso ormai perduto ma sicuramente tortuoso, per evitare una serie di piccole alture oggi non più esistenti.
L’area fuori questa porta (approssimativamente da viale XX Settembre a qui), era chiamata dai Romani il Campus sceleratus.  Qui erano gettati i corpi dei condannati a morte e sepolte vive le vestali che avevano infranto il voto di castità.
Nel sepolcro sotterraneo in cui la sacerdotessa del culto di Vesta da punire era chiusa, era imbandita una ricca  tavola per rendere quindi più amara la morte.  Le vestali erano reclutate tra i 6 ed i 10 anni e le più giovani erano consacrate alla cura del fuoco che ardeva nel Tempio della divinità, al Foro Romano. Il loro stato sociale era superiore a quello delle altre matrone: una vestale, per esempio, poteva girare da sola in carrozza e se un console l’avesse incontrata, sarebbe stato obbligato a cederle il passo.

LEGGENDA SU ANNIBALE
E visto che parliamo di una Roma antichissima, consentitemi di raccontarvi una leggenda che si svolge qui vicino nel marzo del 211 a.C.
E’ notte, sta piovendo. Una soldato romano, di guardia sulla torre di Porta Collina, intravede nel buio una pattuglia di cavalieri che si avvicina alle mura. E’ nientepopodimeno (come diceva Mario Riva) Annibale. Dopo la battaglia del Trasimeno, in cui aveva ucciso il console Flaminio e decimato l’esercito romano, sta proseguendo la discesa verso sud e aveva fatto accampare i cartaginesi in un punto non distante da Roma. Da lì, ogni notte, Annibale si era avvicinato alle mura con i suoi più fidi compagni e aveva studiato il territorio per mettere a punto un piano per entrare nell’Urbe.
Mentre le sentinelle romane danno l’allarme, Annibale si fa dare un giavellotto da un suo uomo, avvolge la punta con uno straccio, a cui da fuoco sfregando due pietre focaie (che un suo arciere teneva sempre sotto l’armatura per conservarle perfettamente asciutte), guarda con odio quelle mura e lancia il dardo acceso all’interno della città, urlando un’invettiva.
Per il generale cartaginese, l’amarezza di quella notte era dovuta al fatto che, dopo aver visto gli apparati di difesa romani (a partire dalle mura), si era rassegnato a non attaccare, torna all’accampamento e da ai suoi soldati l’ordine di riprendere il cammino verso sud. In aprile cade Capua e l’esercito di Cartagine entra in questa ricca città romana, ma il grande sogno di Annibale di conquistare Roma è ormai dissolto.

PORTA SALARIA
Cinquecento anni dopo (nel terzo secolo d.C.), nell’ambito della costruzione delle Mura Aureliane, sul percorso della “via Salaria nova” al di là del Campus Sceleratus, è realizzata Porta Salaria. Per la Salaria Vetus (antica) invece è aperta la porta vicino al colle Pincio: Porta Pinciana.
Porta Salaria era una porta di seconda categoria dotata di un solo fornice, con un arco in pietra sormontato da una cortina in mattoni, affiancata da due torri semicircolari, con diverse dimensioni e altezze, probabilmente costruite in due fasi diverse. Oggi, possiamo vedere, “disegnato” sui marciapiedi con cubetti di porfido, i due tronconi laterali delle mura e, al centro, una lastra di marmo ci indica dove si trovava il fornice dell’antica porta.
Siamo tra due tratti delle mura Aureliane che hanno visto diversi episodi storici profondamente diversi tra loro. Quelle verso Porta Pinciana sono le cosiddette “Mura di Belisario”, il tratto oggi meglio conservato delle Mura Aureliane, ricostruito dal generale bizantino Belisario alla metà del sesto secolo in previsione dell’attacco dei Goti. Le mura verso Porta Pia sono decisamente più basse e deboli. Di questo secondo tratto di mura parleremo quando ci arriveremo.

MONUMENTI SEPOLCRALI
Come altre porte lungo le mura, anche la Porta Salaria fu realizzata inglobando materiale di costruzioni preesistenti, al duplice scopo di velocizzarne la realizza-zione e rimuovere possibili punti d’appoggio per eventuali assalti nemici. Ciò era tanto più naturale in quanto qui, lungo la Salaria, sorgeva il Sepolcreto Salario, uno dei più vasti cimiteri dell’Urbe pieno di piccole tombe e grandi mausolei. Alla costruzione delle mura, molti monumenti sepolcrali che sorgevano qui intorno vennero inglobati nelle torri e così ci spieghiamo le parti in travertino che vediamo inglobate nella struttura in mattoni.
Dalla demolizione della torre orientale di Porta Salaria nel 1871, in particolare, sono venuti alla luce due monumenti sepolcrali visibili a destra del grande cancello. Davanti a noi in basso, un grande sepolcro del primo secolo a.C., non identificato. E’ formato da un ambiente quadrangolare con muratura in blocchi di tufo ornata da lesene e una cornice.
Il secondo è dedicato a un poeta adolescente del primo secolo d.C.: è la tomba Quinto Sulpicio Massimo, costituito da un cippo di marmo, coronato da un timpano con acroteri angolari, al centro del quale, entro una nicchia semicircolare, è raffigurato in altorilievo il giovinetto in toga con un volumen (un rotolo) in parte svolto, nella mano sinistra. Il cippo originale si trova ai Musei Capitolini. La scritta DIS MANIBUS SACRUM (trad. “Sacro agli Dei Mani”, cioè agli spiriti della morte) separa la parte superiore da quella inferiore, interamente occupata da un’iscrizione dedicatoria in latino e greco, dedicata, al giovane poeta, dai genitori “infelicissimi”.
Il fanciullo infatti muore alla tenera età di 11 anni “essendosi indebolito e ammalato per il troppo studio” leggiamo sulla lapide “dopo aver gareggiato con altri 52 poeti alla terza edizione del Certamen capitolinus nel 94 d.C. e suscitato meraviglia e ammirazione nei giudici” (pur non vincendo, aggiungo io). Il componi-mento scritto dal fanciullo, è riportato in greco ai lati della statua e parla dei rimproveri di Giove a Helios, colpevole di aver lasciato condurre il carro del sole al figlio Fetonte, giovane e inesperto. Il tema è lo stesso che potete trovare nella splendida composizione in ceramica all’interno del Caffè Il Cigno a viale Parioli. L’autore è Achille Capizzano, pittore, decoratore, mosaicista e ceramista ed è di Capizzano anche la decorazione in ceramica all’ingresso del palazzo davanti a noi in via Sicilia 194. … DIA …
Dalla demolizione della torre occidentale di Porta Salaria nel 1871 vengono alla luce diversi blocchi di travertino appartenuti alla cosiddetta tomba Cornelia, oggi collocata qui vicino (lungo corso d’Italia sotto le mura, verso il Muro Torto) sui resti di un altro sepolcro a tumulo circolare con rivestimento marmoreo, a basamento quadrangolare di travertino e coronamento con rilievi di bucrani, databile alla fine del primo secolo avanti Cristo.

I VISIGOTI
Come la vicina Porta Collina con i Galli nel quarto secolo a.C., anche Porta Salaria, nonostante fosse stata rinforzata dall’imperatore Onorio, non riesce a bloccare i nemici di Roma. L’episodio più grave è il cosiddetto Sacco di Roma dei Visigoti condotti da Alarico nel 410 d.C. Dopo essere stati respinti per tre volte dai Romani, i Visigoti entrano di notte da questa porta senza trovare resistenza e dilagarono nell’Urbe, saccheggiandola per tre giorni. L’assenza di qualunque memoria relativa a questo assalto vincente fa pensare che che la porta si sia aperta con il tradimento di naturali alleati dei Visigoti che vivevano sotto il giogo dei Romani: pagani, ariani o schiavi germanici, per esempio.
I Visigoti, appena penetrano in città, appiccano il fuoco ai grandi Horti Sallustiani, una splendida villa fra Campo Marzio e Porta Collina con enormi giardini. Poi con-tinuano con incendi, stupri, devastazioni e violenze di ogni genere che pare abbiano risparmiato solo le basiliche di San Pietro e San Paolo (dove si rifugiano molti romani terrorizzati). Le altre chiese, con i templi e le case, furono saccheggiati e devastati: è documentato l’incendio della basilica di S. Maria in Trastevere e di molti altri edifici. Nel Foro Romano, tra i resti della grandiosa basilica Aemilia sono ancor oggi evidenti i restauri successivi ai danneggiamenti di allora.
Alarico si allontanò da Roma portando con sé immensi tesori e, come ostaggio, la sorella di Onorio, Galla Placidia, che poi sposò Ataulfo (cognato e successore di Alarico). Il re visigoto infatti non farà in tempo a raggiungere le provincie del Nord Africa, perché muore a Cosenza. Narra la leggenda che il suo corpo, con il suo cavallo e tutta la sua parte del bottino, è seppellito nell’alveo del fiume Busento, le cui acque sono deviate per l’occasione e poi reimmesse nel loro letto usuale.

DEMOLIZIONE DI PORTA SALARIA
Circa un secolo dopo arrivano i Goti e per quarantanni (dal 527 al 565 d.C.) andranno avanti le cosiddette Guerre Gotiche. L’imperatore bizantino Giustiniano I invia a Roma l’esercito condotto dal generale Belisario che si stabilisce su una collina qui davanti all’interno delle mura, in un vecchio edificio fortificato che da allora prende il nome di Torre di Belisario.
Facciamo un salto di parecchi secoli ma rimaniamo in questi luoghi davanti a noi. Siamo nel 1858, il principe Ludovisi Boncompagni, per ampliare la sua già enorme tenuta, acquista Villa Borioni, una vasta proprietà adiacente alle Mura Aureliane che aveva qui davanti il suo accesso principale. Il casino nobile della Villa, che possiamo vedere in alcune fotografie dell’epoca, era stato costruito proprio sui ruderi dell’antica Torre di Belisario che, nonostante i più di mille anni trascorsi, manteneva ancora questo nome!
Avanziamo al 1870. E’ il 20 settembre 1870 e, dopo una giornata di bombardamen-ti, i bersaglieri italiani entrano a Roma da un grande squarcio delle Mura, oggi noto come la Breccia di Porta Pia. La guerra degli italiani contro il cosiddetto Papa Re è vinta ma i danni a Porta Salaria sono tali da consigliare di demolirla e ricostruirla.
Due anni dopo, Virginio Vespignani riceve l’incarico di ricostruire la porta. Il progetto aveva una forma particolare, costituita da un vasto corpo centrale coperto che, sul fronte esterno, aveva un solo fornice mentre, sul lato interno ne aveva tre. Sul lato interno a destra, dove ora ci sono serrande chiuse di un bar chiuso pochi anni fa, sorgeva una famosa osteria chiamata “La Torre di Belisario” in ricordo dell’antica villa che sorgeva qui di fronte.
Ma la porta di Vespignani durerà meno di cinquantanni perché è demolita nel 1921 per motivi di viabilità e oggi la Porta Salaria è l’unica delle porte delle Mura Aureliane a non essere in piedi.

ETTORE FERRARI
Il grande portale sul lato destro di via Piave, a pochi metri da dove sorgeva Porta Salaria, da accesso al piccolo isolato triangolare all’interno delle mura dove abbiamo visto il monumento al “poeta bambino”. Nelle grate in ferro si leggono delle iniziali: EF. Era l’accesso al giardino e alla casa di Ettore Ferrari, un’area con antiche abitazioni, addossate alle mura lateralmente alla porta, e dove c’è anche una fontana, da molti anni all’asciutto, una torre decorata con fori per i fucili sotto le finestre e una grande porta utilizzata dallo scultore per accedere allo studio.
Ettore Ferrari (1845-1929), figlio d’arte, si afferma come scultore celebrativo: buona parte delle sue opere, infatti, raffigura grandi protagonisti del Risorgimento. Ferrari è massone e Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani ed è politicamente impegnato nelle vicende di fine secolo del movimento democratico e repubblicano. In questo studio si sono svolti accesi convegni politici. Nel 1897 è pianificata la spedizione garibaldina in appoggio della Grecia contro l’impero turco. Qui furono tenute numerose riunioni con la carboneria romana e con i rappresentanti stranieri dell’Alleanza Repubblicana Universale, per mantenere vivo, a Roma e in Italia, l’ideale repubblicano.

OPERE DI FERRARI
E’ una sua opera il monumento a Giordano Bruno a piazza di Campo de’ Fiori, inaugurato nel 1889 dopo che era stato respinto un primo progetto caratterizzato da un espressione di sfida alla Chiesa giudicata non accettabile. In ogni caso, lo sguardo del filosofo di Nola oggi al centro della piazza è ancora significativamente rivolto verso la basilica di San Pietro in Vaticano.
L’artista esegue diversi monumenti equestri di Giuseppe Garibaldi, innalzati nelle piazze italiane. Fra questi, anche quello destinato al Gianicolo, ma che venne “esiliato” a Rovigo perché considerato irrispettoso per la giovane monarchia italiana: in questa statua infatti, Garibaldi tiene la corona dei Savoia sotto le staffe!
Particolarmente lunga infine fu la realizzazione di una delle sue opere più note: il monumento a Giuseppe Mazzini all’Aventino, dove domina il Circo Massimo e fronteggia il Palatino. Dall’incarico, ricevuto da Ferrari nel 1902, infatti, ci vollero ben 47 anni per arrivare all’inaugurazione della statua e l’artista, che aveva terminato vent’anni prima le sue opere scultoree di bronzo e marmo, era ormai morto.

LATRINA PENSILE
Avanzando verso piazza Fiume e guardando il lato esterno delle mura, a destra dell’antica porta in alto, si nota una sorta di garitta semi cilindrica poggiata su due mensoloni di travertino. Si tratta di una latrina pensile, l’unica rimasta delle 260, utilizzate dai soldati romani di guardia e che un tempo “ornavano” l’intera cerchia delle Mura Aureliane.

CORSO D’ITALIA
Siamo sull’antico stradello che per secoli è stato chiamato via delle Mura, che seguiva il percorso esterno delle possenti mura di difesa. Esternamente a questa via, approssimativamente tra la Salaria odierna e la Salaria Vetus, si estendeva il Sepolcreto Salario, una vasta area utilizzata come cimitero, prima dai pagani e poi dai cristiani.
Oggi qui, al posto del vicolo delle Mura c’è Corso d’Italia, uno dei grandi viali lungo le mura, con viale del Muro Torto a valle e viale del Policlinico a monte. Il suo nome “importante” deriva dal fatto che 1. lungo il suo percorso si trova la Breccia di Porta Pia, dove l’esercito del Regno d’Italia è entrato in Roma, 2. nei rioni dietro le mura (il Sallustiano e il Ludovisi) le strade sono intitolate alle regioni italiane 3. negli attigui quartieri Salario e Trieste, le strade sono intitolate a città italiane e città storicamente italiane ma che appartengono a stati confinanti (come Fiume).
Il sottovia di Corso d’Italia (che corre sotto a noi lungo le Mura da viale del Castro Pretorio a viale del Muro Torto) è stato intitolato all’architetto e urbanista romano Ignazio Guidi (1904-1978) che lo ha progettato nel 1960, per le Olimpiadi di Roma.
Tra le opere di Guidi citiamo la caserma dei Vigili del fuoco di via Genova, il dispensario antitubercolare di piazzale degli Eroi (oggi Ospedale Oftalmico), il grande edificio dell’Anagrafe sulla via del Mare (oggi via Petroselli) e il cinema Europa su via Salaria a pochi metri da qui. Nel secondo dopoguerra, è nominato direttore dell’Ufficio speciale per il Nuovo Piano Regolatore di Roma e partecipa alla stesura del Piano del 1962 (quello delle Olimpiadi). Tra i “lavori fuori Roma” di Guidi citiamo i piani per la ricostruzione di Anzio e Nettuno, entrambe gravemente danneggiate nel corso dello sbarco degli americani.

VILLINO CALDERAI
Attraversiamo con gli occhi corso d’Italia e, tra il Palazzo della Rinascente e via Tevere, vediamo un grazioso villino. E’ il villino Calderai progettato nel 1902 da Amedeo Calcaprina per la famiglia Calderai. Appena costruito, il villino costituiva una delle più esplicite espressioni del Liberty a Roma. Le conferivano tale impronta la ricchissima, variopinta e originale decorazione in stucco e maiolica e la torretta d’angolo con copertura di lastre di vetro di differenti colori.
Nel 1910, la proprietà passa ai Torlonia che commissionano a Gustavo Giovanno-ni (che stava lavorando alla costruzione del vicino stabilimento della Birra Peroni) una pesante ristrutturazione e semplificazione che, con eliminazione di maioliche floreali e colorate e di altri dettagli decorativi, sottrae all’edificio gran parte del suo aspetto Liberty. Rimangono ancora oggi pochi dettagli di “art nouveau”: la splendida cancellata in ferro battuto, le balaustre dei balconi, sempre in ferro battuto, il cornicione in maiolica tra primo e secondo piano, i fiori di ceramica del cornicione dell’attico.
Del complesso è parte anche la piccola casetta all’angolo tra corso d’Italia e via Tevere, originariamente adibita a scuderia. Per più di cinquant’anni, dal 1933 al 1989, ha ospitato la storica gelateria Fassi con i tavolini nel giardino sotto gli alberi (oggi eliminati per realizzare il parcheggio sotterraneo durante l’ultimo restauro del complesso avvenuto nei primi anni del Duemila). Oggi Fassi ha aperto una gelateria all’inizio di via Piave verso via XX Settembre.

VILLINO ANDERSON
Spostiamo il nostro sguardo sul palazzo della Rinascente e torniamo indietro a inizio secolo. Qui, circondato da un giardino, c’era il villino Anderson, costruito nel 1904 da Carlo Morgini (progettista, tra l’altro, del carcere di Regina Coeli). Il padrone di casa era il fotografo Domenico Anderson (1854-1938), uno dei pionieri della fotografia a Roma, che qui stabilisce anche il suo studio.
Nato a Roma da madre romana (e quindi romano a tutti gli effetti), era figlio del fotografo inglese James Anderson, uno dei pionieri della fotografia, molto apprezzato sia dai romani che dai turisti stranieri. Domenico Anderson proseguì con successo l’attività del padre, realizzando campagne fotografiche a Roma e in tutta Italia e producendo così una prima e preziosa documentazione di immagini del patrimonio storico artistico italiano. I figli di Domenico continueranno l’opera del padre fino al 1963, quando l’intero archivio, costituito da oltre 30.000 negativi su lastra di vetro, entra a far parte della collezione Fratelli Alinari di Firenze.

LA RINASCENTE
A piazza Fiume, all’angolo tra via Salaria e corso d’Italia, vediamo il Palazzo della Rinascente, inaugurato nel 1961, terza sede a essere aperta dopo quelle di Milano e di Roma in via del Tritone. Il grande edificio davanti a noi è nato nel 1957 dall’ingegno di due celebri architetti milanesi del Novecento: Franco Albini e Franca Helg.
Vista l’importante stratificazione archeologica sottostante, era necessario realizzare un palazzo particolarmente leggero e sicuro e i due architetti disegnarono il nuovo edificio equilibrando gli elementi portanti, colonne portanti in calcestruzzo e acciaio, con i rivestimento di vetro e graniglia. E’ stato così possibile alleggerire la struttura e lasciare le scala a vista.
Il palazzo, semplice e lussuoso nella stesso tempo, era specchio dei mutamenti di gusti e abitudini della città e ben presto diventa a Roma un punto di riferimento, non solo per lo shopping, ma anche per darsi un appuntamento. Era quello un periodo in cui nasceva un’Italia nuova, i ricordi della guerra erano alle spalle, il boom economico era realtà e la Rinascente contribuiva a creare una nuova moda.
Vediamo un po’ di storia della Rinascente. La ditta è creata a Milano intorno alla metà dell’Ottocento dai fratelli Bocconi che acquistano un albergo a pochi passi dalla Galleria, lo strutturano e lo adibiscono a grande magazzino col nome “Alle città d’Italia’’. E’ il primo in Italia, realizzato sul modello francese de “Le Bon Marché”, reso celebre da Émile Zola nel romanzo “Au Bonheur des Dames”.
Con l’inizio del nuovo secolo, le sedi della grande azienda milanese si estendono a Roma e nelle principali città italiane e fanno del suo proprietario uno degli uomini più ricchi d’Italia. Nel 1908, dopo aver creato l’Università Commerciale Luigi Bocconi in memoria del suo terzo figlio morto nella campagna d’Africa, Ferdinando Bocconi muore, gli altri figli non riescono a portare avanti gli affari e l’impresa entra in crisi.
Durante la prima guerra mondiale, Senatore Borletti rileva l’attività commerciale dei Bocconi e le da una svolta puntando sulla qualità ed eleganza, senza aumentare troppo i prezzi. Nel 1917 nasce “La Rinascente” (nome suggerito dal poeta Gabriele D’Annunzio, amico di Borletti, per simboleggiare la rinascita dei vecchi magazzini Bocconi). Nella notte di Natale 1918, a poche settimane dall’inaugurazione della sede in piazza Duomo, un incendio distrugge il complesso e il negozio riapre le porte al pubblico solo tre anni più tardi.
Due parole sul Borletti: due volte “senatore”, perché si chiamava così e aveva un seggio nel Senato del Regno. Entra giovanissimo nell’azienda paterna di filati e tessuti e la fa diventare un colosso multinazionale, dirige i consorzi industriali dei produttori, presiede la SNIA Viscosa e altre ditte italiane e straniere, tra cui la Casa Editrice Mondatori. Sostiene “l’impresa di Fiume” di Gabriele d’Annunzio e porta avanti numerose iniziative di beneficenza e di sponsorizzazione dell’arte, riportando, per esempio, a nuovo splendore il teatro della Scala.

PIAZZA FIUME
Abbiamo visto che piazza Fiume nasce nel 1921 con la demolizione di Porta Sa-laria. Ma è una piazza strana, interna e nello stesso tempo esterna alle antiche mura, con edifici di aspetto, storia ed epoca differenti tra loro, il flusso dei pedoni si scontra col traffico veicolare e i pedoni stessi si concentrano in tre diversi punti della piazza: 1. davanti alla Rinascente, l’edificio della piazza con maggiore personalità, 2. l’area sotto le Mura Aureliane, caratterizzata da fermate di bus e parcheggio taxi, 3. nella confluenza di via Bergamo, dove la piazza da accesso a un piccolo cen-tro di vita o “movida” che si snoda anche nelle vie adiacenti, fino a piazza Alessandria.
Il nome della piazza è quello della città di Fiume (oggi in Croazia) che, con la vittoria nella prima guerra mondiale, entrerà a far parte del Regno d’Italia.
A tal proposito, c’è da dire che a partire da fine Ottocento, cresce in Italia il “movimento irredentista” che vuole la liberazione dei territori italiani sotto dominazione straniera, a partire da Trento e Trieste e preme affinché alle strade e piazze dei quartieri Salario e Trieste (l’area che allora si chiamava genericamente “Fuori Porta Pia”) siano assegnati nomi di città (o aree) con prevalente popolazione italiana inserite da secoli in stati stranieri: via Savoia, via Nizza, via Corsica, piazza Istria, viale Pola, via Gradisca e tante, tante altre ancora.

VIA NIZZA
L’attuale via Nizza nasce da un antico sentiero, che costeggiava il muro della scomparsa Villa Capizucchi, e arrivava a via Nomentana. Era chiamato vicolo Alberoni, perché arrivava a Villa Alberoni (il cui ricordo è l’attuale Villa Paganini).
Villa Capizucchi, che abbamo citato, era una grande proprietà su via delle Mura (l’attuale corso d’Italia) tra Porta Pia e Porta Salaria. Dopo il cannoneggiamenti italiani verso le mura e l’assalto dei bersaglieri sulla la breccia, il casino nobile della Villa era praticamente demolito e il suo parco distrutto. La villa non si riprese più e il vasto territorio su cui si estendeva divenne il quartiere di piazza Alessandria).
Una traversa di via Nizza verso via Savoia è via Velletri. Al civico 13 di questa via nel piano sottoterra, c’è una discoteca che, fino a qualche anno fa si chiamava Alien. Ma facciamo un ulteriore passo indietro. Nel 1940, si era trasferita qui la notissima Sala Pichetti, un punto di riferimento a Roma per la musica dal vivo e il ballo. A quel tempo, oltre che per il ballo, la sala era un punto di riferimento per la musica jazz che qui si poteva ascoltare con pochi soldi. Le origini di questo locale risalgono agli anni Venti, quando aveva sede in via del Bufalo (un vicolo parallelo a via del Tritone).
Concludiamo la storia della Sala Pichetti con un episodio avvenuto nel 1944. Un reggimento inglese di stanza a Roma, pubblica su un quotidiano un annuncio che invita signore e signorine a un “tè danzante” con rinfresco offerto nella Sala Pichetti di via Velletri. Forse era una buona idea per favorire i rapporti anglo-romani ma l’evento non ebbe successo: un po’ prima dell’ora indicata, dei giovani romani iniziarono ad arrivare con aria minacciosa nelle vie intorno e tutte le ragazze che avevano accolto il gentile invito inglese decisero di tenersi alla larga.

VIA BERGAMO
In via Bergamo 3, all’angolo con via Nizza e con una facciata su piazza Fiume, sorge un edificio dal carattere Liberty. E’ un’opera del 1919 dell’architetto Ezio Garroni autore anche del noto Villino Astengo, in via del Tempio 1 (su lungotevere de’ Cenci, dopo la Sinagoga) e di diversi edifici romani, anche nel nostro Municipio II. Garroni è stato interprete sensibile delle raffinate istanze stilistiche dell’art nouveau, che all’inizio del nostro secolo tentarono, con scarso successo, di penetrare nell’ambiente culturale romano, ancora saldamente ancorato alla tradizione. A conferma di ciò, nel corso di lavori di manutenzione e verniciatura che si sono svolti negli anni, il palazzo ha perso quasi tutti i decori liberty voluti dal progettista (come peraltro è accaduto anche nel vicino Villino Calderai).
Al piano terra, il palazzo ospita da decenni negozi che hanno contribuito a fare la storia della piazza: la libreria Minerva, le calzature Pisapia, le biciclette Lazzaretti, le calze de La Calza.
Raggiungiamo il segmento di corso d’Italia che corre verso la vicina piazza porta Pia. Qui abbiamo un dettaglio “goloso”: al civico 104, tra Piazza Fiume e e Porta Pia, c’è la Gelateria Azzaro, siciliana, che nell’anno 2022 (secondo Trip Advisory) ha fatto i migliori gelati nel Municipio II.

VIA VALENZIANI
Avanziamo e arriviamo al tratto di mura tra Porta Pia e Porta Salaria dove si concentrarono i tiri dei cannoni savoiardi e crearono la famosa Breccia di Porta Pia. Sapete perché il comando italiano scelse proprio questo punto per creare la breccia nelle mura e entrare a Roma? Dietro la Breccia di Porta Pia, all’interno della cerchia muraria c’era e c’è una vasta proprietà chiamata Villa Paolina, in ricordo di Maria Paola Bonaparte, detta Paolina, moglie del principe Camillo Borghese nonché sorella di Napoleone, che qui aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita. E furono i potenti proprietari della villa che, prima dell’arrivo degli italiani, impedirono ogni lavoro di rinforzo delle mura che delimitavano il loro giardino da Porta Pia a Porta Salaria. La villa è ancora lì, ha l’ingresso su via Piave ed è oggi la sede dell’ambasciata di Francia presso il Vaticano.
Giriamo a destra su via Valenziani e fermiamoci. Qui notiamo quanto le mura fosse-ro deboli e spendiamo due parole su Augusto Valenziani: uno dei pochi ufficiale dell’esercito italiano, caduti a Porta Pia, medaglia d’argento al valore. Nasce a Ro-ma e nel ‘49 partecipa alla difesa della Repubblica Romana come volontario e poi alla III Guerra d’Indipendenza come ufficiale dell’esercito italiano. Alla Breccia Porta Pia, è uno dei primi ufficiali a superare di corsa la barricata esterna. Lui infatti ha un motivo in più rispetto ai suoi soldati di far presto. Deve riabbracciare, dopo tanti an-ni, la vecchia madre che lo aspetta a Roma. Muore per la fucilata di uno zuavo pon-tifico e non riuscirà così a baciare la mamma. Il suo busto sul Gianicolo (1920) è opera dello scultore Publio Morbiducci, artista romano noto per il monumento del Bersagliere a Porta Pia.
La stele funeraria della sua tomba al Verano è inserita nel Monumento ai caduti per la liberazione di Roma nel 1870 che ricorda anche Andrea Ripa, altro ufficiale romano caduto nell’attacco delle Mura, a cui è intitolata una strada dall’altra parte di corso d’Italia. La loro morte evidenzia la larga partecipazione dei militari romani nella battaglia del 20 settembre.

CASA-STUDIO DI ETTORE FERRARI
Avanziamo su via Valenziani sul marciapiede destro, fino al civico 10.  C’è uno spiazzo, in fondo al quale c’è un edificio basso con un portale decorato in modo il particolare.  Abbiamo scovato l’accesso posteriore dello studio di Ettore Ferrari, una costruzione ormai isolata. Il basso edificio che vediamo davanti a noi, con il suo bel portale decorato con dipinti, e il suo giardino sono è stati stretti “mortalmente” dai due grandi palazzi a sinistra, quello davanti a noi su via Sulpicio Massimo e un altro con ingresso in via Piave 61.  Ma cerchiamo di capire meglio!

Per tornare al punto in cui siamo partiti, ripercorriamo corso d’Italia per pochi metri e ci infiliamo, diretti a via Piave, su via Sulpicio Massimo.  Questa piccola strada è stata creata per dare uno sbocco al traffico, di mezzi pubblici e privati, proveniente da via Calabria e, nello stesso tempo, creare un percorso circolare (intorno alla casa di Ettore Ferrari) indispensabile per la circolazione a piazza Fiume.

Concludiamo guardando quello che abbiamo intorno lungo questa piccola via.  A sinistra, c’è il grande muro con una sola finestra in alto che oggi limita l’atelier dello scultore.  A destra, ritroviamo resti di antiche costruzioni adiacenti al lato interno delle mura che “arredavano” il giardino di Ferrari.  C’è un piccolo balcone con una balaustra con sopra due piccole colonne che sorreggono il tetto di copertura.  Ma guardando meglio la colonna di sinistra non c’è.  Al suo posto c’è un martinetto in ferro, servito dai ladri per scaccarla dal resto della costruzione e portarla via!

FINE
Grazie per l’attenzione la nostra passeggiata a piazza Fiume è terminata.

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