(PI402) Via Bertoloni, il cuore dei Parioli

Descrizione della passeggiata urbana R2p “Via Antonio Bertoloni, il cuore dei Parioli” (codice PI4101) che potremo chiamare anche “Lungo la Salaria Vetus”, perché si svolge su uno dei percorsi dell’antichissima strada che dall’età del bronzo, ben prima quindi della fondazione di Roma, metteva in comunicazione il mar Tirreno con il mare Adriatico permettendo così il commercio delle antiche popolazioni italiche.

Introduzione (alla partenza):

Fermata: via Paisiello angolo Viale Gioacchino Rossini

Incominciamo con un po’ di storia dei luogo in cui siamo.

INDOVINELLO … Conoscete via Emilio de Cavalieri, che taglia l’incrocio dove siamo e funziona da scorciatoia verso piazza Ungheria? Che senso ha?  Nessun piano regolatore disegnerebbe una tale strada storta.

Questa breve strada dedicata, a un compositore seicentesco, ci mostra il tracciato dell’antica via Salaria Vetus che dalla Porta Collina delle Mura Serviane correva sulle attuali via Paisielloviale Romania verso Antemnae. Ne parliamo oggi perché anche Via Antonio Bertoloni  segue il tracciato della via Salaria Antica, ma è un tracciato diverso dovuto alla “privatizzazione” del territorio di Antemnae che era diventata un latifondo degli Acilii.

Vi ricordo invece che la Salaria che conosciamo (allora detta Salaria Nova) sarà realizzata solo in epoca repubblicana nel secondo secolo a.C. sempre a partire da Porta Collina.  Con la costruzione delle Mura Aureliane nel terzo secolo d.C., mentre per la Salaria Nova è realizzata Porta Salaria (a piazza Fiume), per la Salaria Vetus è realizzata Porta Pinciana da dove la vecchia strada usciva seguendo il percorso delle attuali via Pinciana, via Paisiellovia Bertoloni, correndo sulla cresta di un Monticello prima di scendere verso il Tevere e riprendere il suo percorso lungo il fiume.

Con l’arrivo dei barbari e la caduta dell’impero, questi luoghi fuori-porta diventano pericolosi e quindi saranno assai poco frequentati.

Nel medioevo, la strada da Porta Pinciana prende il nome di Vicolo dell’Imperiolo.  Un asse viario che porta in una zona che domina il Tevere (ha infatti  la stessa altezza del colle Quirinale) passando in un grande cimitero romano appena fuori le mura (il Sepolcreto Salario) per poi incontrare le catacombe che oggi conosciamo come catacombe di Panfilo anche catacombe, come vedremo presto.

Nel Cinquecento, qui nasce la Vigna dei Gesuiti, una grande proprietà ecclesiastica che si estendeva sul lato destra del vicolo dell’Imperiolo, da qui fino al Monticello, dove ora sorge l’Ambasciata svizzera in via B. Oriani.  La grande tenuta è divisa in due dal  vicolo delle Tre Madonne, e la parte al là del vicolo si chiamava La Pariola.

Nell’Ottocento, l’antico Vicolo dell’Imperiolo si chiama vicolo dei Parioli.

A fine secolo la parte davanti a noi della Vigna dei Gesuiti, diventa Villa Taverna realizzata da Carlo Busiri Vici e oggi residenza dell’Ambasciatore USA in Italia.  Nasce qui vicino viale dei Parioli che collegava la via Salaria alla Via Flaminia.  Ma è ancora tutto immerso nel verde dei campi.  Solo l’area fuori le mura, vicina al nuovo corso d’Italia, si incomincia a riempire di edifici.

Con il piano regolatore del 1909, redatto da Edmond Sanjust (che peraltro abitava qui vicino), si salvarono le aree verdi dell’area intorno a noi: villa Borghese, Villa Glorivilla Taverna, la villa oggi nota come villa Elvezia e furono disegnate la strade davanti a noi: Viale Gioacchino Rossini, piazza Ungheria, piazza Pitagora.  Nel piano non c’è ancora il viale che, pochi anni dopo fu realizzato con il nome di viale dei Martiri Fascisti (l’attuale viale Bruno Buozzi) che mette in comunicazione la zona costruita intorno a piazza Pitagora e piazza Ungheria con la via Flaminia.

INDOVINELLO … Nel 1911, sono istituiti i primi 15 quartieri, tra cui questo, … ma siamo nel quartiere Parioli o Pinciano? … Siamo nel quartiere inizialmente intitolato a Vittorio Emanuele III e che alla fine della seconda guerra mondiale prenderà il nome di Pinciano.

Appena dopo l’approvazione del Piano regolatore, il primo nucleo cittadino che nasce da queste parti è il quartiere Sebastiani che realizza una serie di villini tra vicolo dei Parioli e Villa Borghese (allora via Mercadante ancora non c’era).  Col tempo, i pochi vecchi edifici presenti nell’area sono demoliti, come il convento in cui aveva preso casa il pittore Giacomo Balla.  Campi e frutteti sono acquistati da costruttori.

Per le nuove case, orientato alla classe medio-alta, la tipologia edilizia prevalente è il villino. Realizzati dai migliori architetti di inizio novecento, i villini hanno stili diversi tra loro: liberty, neo-medievale, barocchetto, fino ad arrivare all’architettura moderna.

Dopo i villini arrivano le palazzine e nasce un nuovo quartiere che, pur essendo lontano dal centro della città in cui si va a lavorare, presenta innegabili vantaggi di luce, verde, vivibilità insomma, e la sua popolazione cresce.  All’angolo di via Bertoloni con viale Rossini, vediamo un edificio del 1929, con piacevoli stucchi e diverse sopraelevazioni. Sulle sue pareti, come andava di moda allora, il proprietario parla ai passanti con una scritta: DECORE PVBLICO COMMODITATE MEA – A FVNDAMENTA EXSTRUCTA ANNO DOMINI MCMXXIX (Costruita nel 1929 per il decoro pubblico e la mia comodità).

Negli anni Trenta iniziano a sorgere i villini e le palazzine di viale dei Parioli alta e quelle giù tra via Bertoloni e il nuovo viale dei Martiri Fascisti (cioè l’attuale viale Bruno Buozzi).  Dopo la guerra il quartiere è completamente edificato.

Negli anni Sessanta, il quartiere Pinciano-Parioli diventa il centro della vita mondana romana. per vedere i personaggi della “dolce vita”, la sera dovevi andare a via Veneto, ma la mattina era più facile vederli qui, dove risiedevano.  Nel 1960, alle sei di mattina in quest’incrocio mentre rientrava  a casa Muore di Fred Buscaglione.

Lasciamo la cosiddetta area dei Musicisti ed entriamo nell’area degli scienziati con la via dedicata a INDOVINELLO … Chi è stato Antonio Bertoloni? … Bertoloni (1775-1868) è stato un medico condotto emiliano che diventa, per passione, il più famoso botanico italiano dell’Ottocento.  E’ l’autore dei venti volumi in cui cataloga tutte le piante italiane con descrizione e indicazione delle aree in cui crescono.  La sua ricca collezione di piante essiccate è tuttora vanto dell’Università di Bologna.  Al suo nome è dedicata l’ofride Bertoloni, un’orchidea spontanea che è possibile trovare tra l’erba delle nostre colline.

Fermata: primo tratto di via Bertoloni

A sx, nel muro di cinta di Villa Balestra, ritroviamo la traccia qui passava la Salaria Vetus: sono i caratteristici blocchi di basalto che lastricavano le vie dell’antica Roma, che l’architetto di Villa Balestra, Carlo Busiri Vici ha voluto lasciare come testimonianza.  Più avanti, al civico 1E, il grande cancello di Villa Taverna è oggi il viale di accesso ai prestigiosi edifici costruiti sul frazionamento del giardino della villa. Entrando a sinistra, notiamo la vecchia casa del custode della villa.

A dx: ai civici 8 e 12 due villini plurifamiliari degli anni Trenta: il primo caratterizzato da tre colonne di bow-windows, nel secondo, arretrato rispetto alla strada, dominano i toni scuri del peperino.  Entrambi avevano sul muro un inferriata di ferro che fu requisita all’inizio della seconda guerra mondiale (“il ferro alla patria”, impose Mussolini). Entrambi con aggiunte all’ultimo piano.  Sono i primi di numerosi villini che vedremo lungo la nostra passeggiata.

Proseguiamo fino a piazza Pitagora

Fermata: Arrivati su piazza Pitagora attraversiamo via Stoppani e guardiamoci intorno

Prima di tutto due parole sui lavori stradali. Ha iniziato Terna per rinnovare le linee elettriche sotterranee e poi qui hanno trovato resti romani di una villa o della Salaria Vetus  e tutto si è bloccato. Non mi sembra che ci sono state finora comunicazioni ufficiali della Sovrintendenza ma ci terremo informati

Iniziamo a guardarci intorno partendo da Via Antonio Stoppani.  Chi sia Stoppani (1824-1891) ve lo dico io: prete, geologo, paleontologo dell’Ottocento, partecipa alle Cinque Giornate di Milano, è il primo presidente del Club Alpino Italiano a Milano, nonché zio di Maria Montessori (1870-1952). Il suo viso però lo conosciamo tutti …

INDOVINELLO: Dove, noi che non siamo giovanissimi, abbiamo visto il viso di Stoppani?  … Vi do un indizio: la sua opera più nota si intitola “Bel Paese” …  è suo il volto che, per molto tempo, è stato sull’etichetta del notissimo formaggio Galbani (un prodotto indirizzato a tutte le regioni italiane).  A dx della via c’era il Cinema Embassy, una volta cinema Astoria. Realizzato dall’ing. Riccardo Morandi oggi ingiustamente noto per il crollo del viadotto Polcevera. In realtà autore, nel dopoguerra, di molti cinematografi romani (come  il Cinema Bologna, l’Alcyone, l’Espero, il Majestic, l’Augustus, il Giulio Cesare, il Cinema-Teatro Quattro Fontane e il Maestoso a via Appia Nuova).

FOTO Qui, all’angolo di via Stoppani con la piazza, vediamo diverse costruzioni recenti. Sono tutte costruite sul terreno dell’antico Villino Fraschetti, costruito da Giovanni Battista Milani nel 1920 e caratterizzato da un grazioso torrino ottagonale.

FOTO

Il giardino del villino confinava con i terreni di Villa Villegas, una grande villino di fine Ottocento, residenza e atelier di un pittore sivigliano di grande successo, Josè Villegas.  Questo edificio, realizzato in perfetto stile moresco dallo stesso Villegas in collaborazione con l’architetto palermitano Ernesto Basile, è stato il primo edificio a essere costruito sul nuovo Viale dei Parioli ed era completamente circondato dal verde e allora via Antonio Stoppani non esisteva.

Alla morte dell’artista spagnolo, la villa è acquistata dall’antiquario Filippo Tavazzi, che lo spoglia di tutto il mobilio.  Dopo la guerra è la residenza del cardinale Massimo Massimi e, alla sua morte negli anni Cinquanta, è demolita, approfittando del fatto che non era ancora scattato il vincolo della sovrintendenza che dovrebbe tutelare tutte le costruzioni più antiche di cinquant’anni. Al suo posto sono realizzate le due grandi palazzine dalla inseparabile coppia di architetti Amedeo Luccichenti e Vincenzo Monaco.

FOTO

Palazzo Pitagora è un modernissimo palazzo che occupa il posto del Collegio residenziale femminile dell’istituto Santa Elisabetta, una scuola materna ed elementare di suore francescane e missionarie, aperta nel 1931.  L’edificio adiacente era quello delle aule della scuola ma è stato completamente trasformato in un palazzina residenziale.  Molti anziani signori che ancora abitano qui intorno hanno frequentato questa scuola ed è bello ricordare quanto hanno fatto le suore dell’Istituto S. Elisabetta nell’ultima guerra per soccorrere alcune famiglie ebree ai tempi delle retate dei nazisti.

L’attuale via delle Tre Madonne è solo l’ultimo tratto dell’antico vicolo delle Tre Madonne che dovete immaginare come uno stradello di campagna costeggiato dagli alti muri delle proprietà nobiliari o religiose. Deve il suo nome a una particolare edicola che era qui, all’incrocio con la Salaria, caratterizzata da tre immagini della Madonna sui diversi lati della torretta votiva.  Nel Seicento il vicolo, partendo da dove siamo ora, seguiva l’attuale omonima via, per poi scendere lungo il muro di cinta di villa Borghese e di altre ville e vigne. Il vicolo seguiva l’attuale via Aldrovandi e, arrivato dove oggi inizia viale delle Belle Arti, continuava dritto, seguendo il muro di cinta occidentale del Giardino del Lago.  Da lì lasciava a destra la Vigna Giustiniani scendeva in discesa fino al vicolo del Muro Torto che raggiungeva proprio in corrispondenza del grande cedimento delle Mura Aureliane (il Muro Torto, appunto).  Questo tratto del vicolo delle Tre Madonne è scomparso con l’estensione ottocentesca di villa Borghese fino a Porta del Popolo.

Continuando a descrivere quello che vediamo dal centro di piazza Pitagora, c’è viale Bruno Buozzi una volta viale dei Martiri Fascisti, di cui parleremo un’altra volta.

Poi Via Francesco Siacci, un importante asse viario che scende a piazza Euclide cambiando altre due volte il suo nome.

la grande palazzina Giorgi, con ingresso in via Bertoloni 1, realizzata nel 1927 da Oscar Giorgi Alberti, della famiglia di Nicola Giorgi l’imprenditore che, insieme a Angelo Filonardi e il principe Ladislao Odescalchi (il fondatore di Ladispoli) con il supporto finanziario della Banca Tiberina, concepì e realizzò il nuovo viale dei Parioli.  Uno dei primi edifici a Roma in cui è utilizzato il cemento armato. E’ un edificio dalla pianta a “V”, con il vertice verso la piazza e i due bracci che seguono via Bertoloni e via Francesco Siacci (costruito sul terreno di Marco Vitelli (villino Vitelli)).

Avviamoci su via Bertoloni fino alla farmacia sulla sinistra.

Fermata: Via Antonio Bertoloni davanti alla farmacia

siamo davanti a Vigna de Antonj: un casale utilizzato per secoli per la villeggiatura estiva dei proprietari.  Sul primo cancello è riportata la scritta MCMXXIV, cioè 1924, l’anno in cui l’antico casale fu trasformato in grande villino, esempio di gusto eclettico con dettagli decorativi neo barocchi che andavano di moda allora.  Sul secondo l’iscrizione: SOLI DEO GLORIA (Gloria Solo a Dio) voluto dal cardinal Clemente Mìcara, potente vicario della Diocesi di Roma che abitò qui dal 1951 alla sua morte nel 1965.

Dopo la guerra, la Gran Bretagna, in attesa della ricostruzione della propria ambasciata in via XX Settembre (fatta saltare in un attentato sionista), prende in affitto questa residenza. Gli abitanti dei paraggi ancora si ricordano della giovane regina Elisabetta che qui alloggiò durante una visita in Italia.  Qui è stata realizzata la prima moschea a Roma: per pochi anni, infatti, il villino è stato affittato al Centro Islamico, prima che si stabilisse giù alla Grande Moschea.  Oggi, la proprietà è in mano di una famiglia di costruttori romani.

Dall’altra parte della strada è aperta la grande Farmacia delle Tre Madonne, fondata nel 1937, nell’omonima via dall’altra parte di piazza Pitagora, da due soci marchigiani.  Uno dei due era Francesco Angelini poi fondatore dell’omonima società farmaceutica e i mobili originari degli anni Trenta della farmacia infatti sono visibili ad Ancona, nell’uffici direzionali  dell’Angelini Pharma SpA. Dalla farmacia si accede a una sottostante cavità sotterranea, probabilmente delle vicine catacombe, oggi utilizzata come deposito.

Villino Vitelli  in via Bertoloni 5 unifamiliare, in stile barocchetto romano, con piacevoli stucchi, uno dei pochi villini dell’area che ha ancora la cancellata di ferro anteguerra.  Qui, secondo una schema che ritroviamo in altri edifici di questa epoca nel quartiere, sono state realizzate due autorimesse con sottostanti mini-abitazioni per i chauffeur.  Il villino è stato realizzato dall’ing. Oscar Giorgi Alberti nel 1927 per Marco Vitelli in cambio del terreno adiacente, su piazza Pitagora, in cui il costruttore realizzò il suo palazzo.

Villino De Pinedo  caratterizzato da un bugnato di finto peperino (ormai non percepibile perché tutta la costruzione è stato drasticamente imbiancata) e un’altana, oggi trasformata in superattico.  E’ stata la sede romana di Banca Sella e, ancora prima, una scuola cristiana, la Petranova, ancora attiva oggi in via Pavia.  E’ stato l’abitazione del comandante Francesco De Pinedo, nobile napoletano, aviatore, ufficiale di Marina reso celebre dall’ammaraggio che fece nel Tevere, davanti a Palazzo Marina, nel 1925 con il suo idrovolante Gennariello, dopo un volo di 55.000 chilometri in cui, via Tokyo, arrivò in Australia.  Successivamente fu intitolato a lui lo scalo realizzato sul fiume: lo Scalo De Pinedo, tra ponte Matteottiponte Nenni (che allora non esistevano).  Fece numerose altre trasvolate, in perenne conflitto con Italo Balbo, che considerava un parvenue.  Fu Sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, lasciò il servizio attivo nel 1932 e morì in seguito a un incidente verificatosi durante il decollo da New York dove voleva stabilire un nuovo primato di distanza in linea retta.

Fermata Via Antonio Bertoloni davanti al Villino Sant’Ermete … DA VEDERE

INDOVINELLO … nel passo carrabile di via Bertoloni 26, c’è uno strano Tombino protetto … cosa è? … prova di coraggio dei ragazzini di tanti anni fa.

Prima di passare all’altro lato due parole su due edifici che abbiamo appena superato. Sono due Palazzine Provera e Carrassi, storica società di costruzioni dei Parioli.  Se vi entrate vedrete che le scale hanno uno spazio centrale molto ampio, con uno spreco di spazio.  E’ solo una delle soluzioni architettoniche utilizzate per ridurre il peso a metro quadro della costruzione visto le cavità sottostanti.

E’ arrivato il momento di rivolgere ancora lo sguardo dall’altra parte della strada (lato sx) dove c’è un villino unifamiliare.  Ma ci dobbiamo mettere un po d’immaginazione visto che tutto è schermato dal muro davanti a noi.  Nel giardinoa, in corrispondenza dell’ingresso carrabile a sinistra (n. 11), c’è un vialetto in discesa verso un antico manufatto definito in un antico documento “sito coperto con bottino ove passa l’acqua di Trevi”.  E’ in realtà un pozzo d’ispezione dell’acquedotto dell’Acqua Vergine, l’acquedotto romano ancora funzionante che alimenta la Fontana di Trevi, che qui passa in galleria a più di 40 metri di profondità.  Acqua Vergine percorso …

Ma rivolgiamo la nostra attenzione al l’edificio che presenta bassorilievi, un grande stemma, una torretta, con un’immagine della madonna.  I pilastri del cancello sulla strada riportano due scritte: S.ERMETE e GUGLIELMI.  Siamo davanti al il Villino Sant’Ermete, una costruzione antica, un casale della vigna “La Pariola”, una delle tenute agricola della grande Vigna dei Gesuiti di cui abbiamo già parlato.  Al civico 13A, c’è un ingresso secondario del villino. In basso c’è uno spiazzo adibito a posteggio auto limitato dal muro di cinta posteriore pieno di frammenti di scavo, prova inconfutabile, ammesso che ce ne sia stato bisogno, della presenza di una catacomba nelle vicinanze.

Sotto la costruzione, infatti, c’è la basilica ipogea ingresso delle Catacombe di Sant’Ermete, un complesso dedalo di cunicoli che si sviluppano e sotto i nostri piedi e che contengono tombe e pitture di grande valore artistico.

La storia del casale inizia alla fine del Cinquecento quando papa Gregorio XIII dona alla Compagnia di Gesù la vigna, denominata La Pariola, sul vicolo dell’Imperiolo dopo il bivio con il vicolo delle Tre Madonne, per offrire ai giovani religiosi che studiavano a Roma un luogo dove trascorrere periodi di riposo e tranquillità.  Nella seconda metà del Cinquecento, grazie a uno sprofondamento del terreno, qui sono scoperti i ruderi della basilica ipogea di ingresso a un complesso catacombale e i Gesuiti decidono la costruzione di un casale per proteggere la basilica.  L’edificio è costruito da Martino Longhi il Vecchio (il costruttore della torre campanaria del Palazzo Senatorio sul Campidoglio), con uno stile derivato da costruzioni del Vignola. Si rifanno a questo edificio originario i falsi archi separati da lesene e la torretta che vediamo ancor oggi.  Da allora, la storia dell’edificio sarà indissolubilmente legata con quella delle catacombe sottostanti.

Oggi le chiamiamo Catacombe di Sant’Ermete e il cimitero cristiano si sviluppa nel sottosuolo di un’ampia zona intorno, tra piazza Pitagora e l’inizio di via Barnaba Oriani.  Alcune gallerie si diramano inoltre sotto via Felice Giordano e via Angelo Secchi, rispettivamente verso le due valli oggi percorse da via Francesco Siacci e viale dei Parioli.  Il nome attuale delle catacombe è quello del primo martire le cui spoglia furono qui tumulate.  In realtà è l’antico cimitero di Bassilla anche se non è chiaro se Bassilla fosse una martire qui sepolta o la matrona romana proprietaria del terreno concesso ai cristiani (come Priscilla o Trasone).

Alla fine del VI secolo, come in altre catacombe romane, all’ingresso di queste catacombe si costruisce una basilica ipogea per celebrare i riti relativi ai santi martiri qui sepolti e adorati.

Nel VII secolo qui si stabilisce una comunità benedettina, che ha lasciato nella basilica un affresco con la più antica immagine a noi nota di San Benedetto, dopodiché della catacomba, con relativa basilica ipogea, si perde la memoria.

Otto secoli dopo, nel Cinquecento, Papa Gregorio XIII dona al Collegio Germanico-Ungarico dei Gesuiti la vigna La Pariola, sul vicolo dell’Imperiolo e sono i Gesuiti che, dopo un sprofondamento del terreno, ritrovano i ruderi della basilica ipogea.  L’ingresso delle catacombe dalla basilica era parzialmente crollata, ma Antonio Bosio, nel 1608, riesce a infilarcisi e scopre percorsi, tombe e numerosi affreschi. Le gallerie infatti sono in molti tratti interrate e per procedere nell’esplorazione il Bosio riferisce che “bisognò andar con il corpo per terra serpendo alquanto innanzi”. Di questa ricognizione il Bosio fa una relazione corredata dalla riproduzione di disegni ed epigrafi.

Già in questa epoca, il cimitero non si trova in buono stato di conservazione e molti sepolcri si presentano violati e privi delle lastre di chiusura.  Successivamente il casale è ampliato e abbellito. Dalla catacomba sono estratti molti corpi di presunti martiri, soprattutto da due preti archeologi: Marcantonio Boldetti e Giuseppe Marangoni che spesso scavavano tombe senza alcun metodo e senza documentare le loro scoperte. Molte iscrizioni lapidarie sono rimosse dalle tombe e trasportate in chiese o palazzi privati. Molte di esse le ritroviamo nella pavimentazione di Santa Maria in Trastevere e sulle pareti dell’atrio.

Nel 1870, arrivano i Piemontesi e, con la legge delle Guarentigie, le proprietà dello Stato della Chiesa passano allo Stato Italiano. La vigna La Pariola è venduta e smembrata e questo casale, ormai con solo un piccolo giardino intorno, cambia diversi proprietari tra cui Riganti, l’imprenditore che aveva aperto (giù a Villa Poniatowski) l’omonima conceria, la Conceria Riganti.  In questi anni, il casale è fortemente rimaneggiato rispetto all’originale costruzione dei Gesuiti, per esempio con l’aggiunta di un piano e una completa ristrutturazione di gusto neo-seicentesco (ben visibile negli ovali delle arcate al piano superiore della costruzione attuale).

Nel 1911 il casale è acquistato dal marchese Giuseppe Maria Guglielmi delle Rocchette che, alla sua morte nel 1942, lascia il complesso alla Santa Sede che ne è l’attuale proprietario.  Il Marchese Guglielmi nel lascito dispone che “venga conservato a Roma questo insigne Monumento da me con tanta cura salvato dalla distruzione, abbellito e restaurato … affinché si facessero sempre, con il ricavato degli affitti, restauri nei tanti monumenti Sacri di Roma.” a cominciare dalla manutenzione del sottostante cimitero che, con i Patti Lateranensi del 1929, era stato affidato alla Commissione di Archeologia Sacra.  Oggi il villino è stato affittato dall’APSA (Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica) a costruttori romani mentre la sottostante basilica ipogea e il vasto cimitero sono chiusi al pubblico.

Al n. 15 c’è una piacevole palazzina che il progettista voleva realizzare in stile razionalista ma viene bloccato dal proprietario che gli impone lo stile neoclassico. Il compromesso che trovarono per pianare la disputa lo vedete davanti a voi: una palazzina razionalista con delle arcate al piano nobile che richiamano quelle dell’adiacente Villino Sant’Ermete.

Via Felice Giordano è una stradina che scende verso la clinica Parioli e arriva a via Francesco Siacci. Felice Giordano, ingegnere, geologo e alpinista, fu uno dei fondatori del Club Alpino Italiano. Nel 1864 scalò tra i primi il monte Bianco dal versante italiano.  Qui c’è stato per decenni un terreno non costruito in cui si accampavano persone umili venute dalla campagna intorno a Roma. Per esempio, c’era uno spiazzo con la lattaia Clotilde e dietro delle casupole in cui abitavano persone, genericamente chiamate “le lavandaie”, che andavano a servizio nelle case dei primi abitanti qui intorno.  Al civico 19 di via Bertoloni all’angolo con via Felice Giordano, sorge una palazzina costruita negli anni Sessanta su un terreno che per decenni aveva funzionato da discarica di tutto il quartiere. Qui abitò per anni, con tutta la famiglia, un dignitosissimo profugo istriano che si era costruito lì una baracca.

ai n. 23-25 una moderna palazzina degli anni Sessanta. Qui, prima di questo edificio, sorgeva la villa del Marchese Guglielmi, proprietario anche del villino Sant’Ermete e grande benefattore delle chiese del vicinato. Al primo piano aveva la cappella dedicata a tre Santi, Ermete, Proto e Giacinto, che riposavano nelle vicine catacombe, e una palestra per i giovani delle associazioni cattoliche da lui patrocinate.

La moderna Palazzina in via Bertoloni 27 del 1954 è di Cesare Pascoletti, il progettista, tra l’altro,  del Palazzo ENEL a viale Regina Margherita e del Palazzo della Società Astaldi in via Po

Fermata ingresso carrabile del parcheggio della Clinica

Villa Peragallo fu costruita nel 1922 per il Commendatore e Grande Ufficiale del Regno Cornelio Peragallo, ricco uomo d’affari genovese, azionista della Banca Nazionale del Lavoro e proprietario dell’Hotel Savoy a via Ludovisi.  Il figlio di Cornelio, Mario Peragallo (1910-1996), fu una figura centrale della vita musicale romana, allievo di Alfredo Casella, compositore di musica dodecafonica e direttore d’orchestra.  Oggi l’unica traccia rimasta del casino nobile della villa è l’edificio pesantemente rimaneggiato, oggi sede dell’Ambasciata di Romania, con ingresso in via Nicolò Tartaglia 36, ma la villa originaria aveva l’accesso da qui, a via Antonio Bertoloni, ed era al centro di un parco che occupava l’intero isolato, tra le attuali  via Atanasio Kirchervia Nicolò Tartaglia e via Angelo Secchi.

Il casino fu costruito nel 1922 da Marcello Piacentini e la facciata dell’edificio è ancora visibile dietro il posteggio della Clinica Mater DeiSubito dopo, sul lato sinistro del parco sono stati costruiti la villa oggi Ambasciata del principato di Monaco e due villini che vedremo in via Atanasio Kircher.  Negli anni sessanta il parco della villa fu completamente lottizzato con la costruzione della Clinica Mater Dei e di quattro palazzine a destra. Il muro alla base di queste palazzine su via Angelo Secchi è il muro originario della villa.

Passiamo alla Clinica Mater Dei tanti personaggi celebri hanno terminato qui la loro vita, citiamo solo Anna Magnani, che muore qui per un tumore e nella sua vita ha avuto diverse relazioni con il nostro municipio. . Nata nel 1908 a via Alessandria a due passi dalla Fabbrica Gentilini, va all’asilo che sorgeva in via Salaria tra via Adda e via Po, prima di andare ad abitare al centro dove risiederà per tutta la sua vita. Frequenta con Paolo Stoppa la scuola di arte drammatica Eleonora Duse diretta da Silvio D’Amico, oggi Accademia Nazionale d’Arte Drammatica con sede qui vicino in via Vincenzo Bellini.  Le sue spoglie riposano nel piccolo cimitero di San Felice Circeo che lei amava tantissimo.

Fermata Via Antonio Bertoloni 41

Sul lato sx di via Antonio Bertoloni (al civico 41) sorge il Villino Sacripante, un fabbricato condominiale progettato da Filippo Sacripante, proprietario del terreno, e da un giovane Vittorio Cafiero.  Il villino è stato la sede romana di Christie’s, la casa d’aste più antica del mondo e di PhiloBiblon, leader mondiale nel commercio di libri antichi.  Sulle tre facciate del villino altrettante scritte informano e ammoniscono i passanti: sul lato sinistro del fabbricato (da dove noi veniamo) leggiamo OLIM HIC PECUS, HODIE HOMINE (Una volta qui pascolavano le pecore, oggi vi abitano gli uomini). Sulla facciata, SEMPER DEUS (Dio c’è stato e ci sarà sempre) e sul lato destro UT POTUI SIC FECI (Come ho potuto – secondo le mie possibilità – così ho fatto), Sulla facciata è collocata una immagine mariana inserita in un tondo in travertino ed altri simboli meno religiosi (come una cornucopia e degli obelischi ai lati dei cancelli di ingresso).

Il progettista della palazzina è un giovane Vittorio Cafiero (1901-1981), architetto romano. Alcune sue opere sono: La Caserma della Milizia Volontaria Nazionale Sicurezza (le Camicie Nere), nel quartiere Della Vittoria, dietro piazza Mazzini, poi Caserma Montezemolo e oggi uffici della Corte dei Conti (1935),  il Comando della Milizia, tra via Slataper e viale Romania, oggi Caserma Slataper (1935),  il Ministero delle Colonie in viale Aventino (1938) e successivo adattamento dell’edificio in Palazzo della FAO, inaugurato nel 1951,  il Ponte di Tor di Quinto su cui la via Olimpica supera il Tevere (1957-60),  il Villaggio Olimpico (1959), il progetto urbanistico del Viadotto di corso Francia (1959).

Notare gli obelischi deformi che decorano gli accessi-

via Bertoloni ???  Qui abitava Antonio Catricalà.  All’inizio del 2022 aveva 69 anni quando si è tolto la vita nel suo appartamento.  Avvocato, sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Monti, viceministro dello Sviluppo del governo di Enrico Letta, magistrato del Consiglio di Stato, presidente del CdA della società Aeroporti di Roma. Pochi giorni prima di uccidersi era stato nominato presidente dell’Istituto Grandi Infrastrutture.

Fermata all’angolo Via BertoloniVia Lagrange

Alla fine della nostra strada a sx, all’angolo con via Francesco Denza, sorgono due palazzine gemelle progettate negli anni Sessanta da Ugo Luccichenti una dietro in via Bertoloni 49 e una davanti in via Bertoloni 55  L’ingresso della prima è segnato da un piccolo (e moderno) obelisco grigio che riprende quelli sui cancelli del villino che abbiamo visto poco fa.

Per secoli, qui c’era stata l’Osteria del Monticello, una delle osterie “fuori porta” (come quella della Garbatella, che ha addirittura dato nome al quartiere, o quella delle Tre Madonne qui vicino) che circondavano Roma e in cui si veniva a mangiare, a godersi il fresco delle serate estive e a bere il vino che, non essendo assoggettato al dazio che pagavano le merci entrando in città, era a buon mercato.  Di questa osteria ne parla anche Trilussa che abitavo.  Negli anni Sessanta, come mi ha raccontato Giancarlo Magalli (che da bambino abitava qui vicino ed era spesso mandato dai genitori a comprare il vino nell’osteria), era frequentata da artigiani e fornitori che con i loro carretti trainati da cavalli (non si potevano certo permettere le automobili) portavano ai negozi e alle abitazioni del nuovo quartiere il vino dei castelli, l’acqua della fonte dell’Acqua Acetosa, le barre di ghiaccio per le ghiacciaie, le derrate alimentari e molte altre merci.  All’ora di pranzo, legavano i cavalli alla staccionata nella polvere e andavano a mangiare sotto la pergola, anticipando scene che i romani avrebbero visto al cinema nei film western dopo qualche anno.

Ma perché l’osteria si chiamava del Monticello?  e la villa qui davanti, oggi chiamata Villa Elvezia perché ospita Ambasciata Svizzera, una volta si chiamava Vigna Monticello.   Il Monticello è la piccola altura in cui siamo percorsa dall’attuale asse viario via Antonio Bertolonivia Barnaba Oriani, tra le due valli che scendono verso il Tevere oggi percorse da viale dei Parioli e dall’asse via Siacci, via Antonelli, via Chelini, piazza Euclide.  E’ la più piccola delle tre alture che costituiscono i Parioli: il Monte San Valentino verso la via Flaminia (oggi Monti Parioli), il Monticello al centro e il Monte San Filippo, l’area intorno a piazzale delle Muse (verso Monte Antenne).  Il toponimo “il monticello” appare fin dal 1400 per indicare il montarozzo sul cui crinale correva il vicolo dell’Imperiolo ( che seguiva il percorso ormai dimenticato della Salaria Vetus che dai Parioli scendeva all’Acqua Acetosa nella valle del Tevere, per poi raggiungere il guado sull’Aniene.

I Romani chiamavano quest’altura Colle del cocomero e, da qualche parte qui intorno, c’era l’ingresso, ormai perduto, alle catacombe Ad clivum cucumeris, esplorate, tanto per cambiare, da Antonio Bosio.  Un documento del Cinquecento, nell’archivio di San Pietro in Vincoli, ci dice che in quell’epoca non era ancora dimenticata l’antica denominazione, poiché la contrada è chiamata Torre Cucumera.  A fine Ottocento, Giuseppe Tomassetti identifica il “cocomero” in un pinnacolo monumentale di laterizio ai suoi tempi ancora in piedi, forse un monumento sacro dedicato al Sole oppure i ruderi di un sepolcro, costruito lungo la Salaria Vetus.  All’ingresso delle catacombe sorgeva una chiesa che conservava la testa del martire Giovanni, un prete dei tempi di Giuliano l’Apostata che, dopo aver data sepoltura a Santa Bibiana, fu a sua volta decapitato proprio qui. La cosa divertente è che sue spoglie, nella chiesa, erano divise: la testa in un altare e il corpo, senza testa, in un altro. E le cronache dicono che ognuno dei altari era frequentato da gruppi distinti di devoti che chiedevano qualcosa al martire senza passare mai sull’altro altare.

Via Francesco Denza  Numerose linee tranviarie collegano il quartiere con il centro della Città e con i quartieri adiacenti: http://www.tramroma.com/tramroma/rete_urb/tram/storia/rot_perd/parioli.htm. Nella memoria degli abitanti è rimasto il tram n. 3 che su via Antonio Bertoloni faceva capolinea e ripartiva senza fare manovre ad U perché non c’era spazio sufficiente. Il manovratore trasferiva i comandi da un capo all’altro del mezzo e i passeggeri provvedevano a ribaltare i sedili. Poi arrivano gli autobus, come il 52 pieno, a una certa ora, da “signore bene”» che andavano in centro: Il tram di Villa Glori di Francesco Trombadori

Via Barnaba Oriani con l’hotel degli Aranci, una volta villa Chiovenda Largo Elvezia e l’antica Villa Monticello oggi Ambasciata della Svizzera. 

Via Giuseppe Luigi Lagrange, una stradina che scende da piazza Santiago del Cile, realizzata sul tracciato di un antico viottolo che dal vicolo dell’Imperiolo scendeva giù nella valle dove ora corre viale dei Parioli e risaliva sul Monte San Filippo lungo le attuali via Giosuè Borsi, via Alberto Caroncini, via di Vigna Filonardi.   Giuseppe Luigi Lagrange era un italiano, uno di quelli che oggi chiameremo “cervelli in fuga”. Ha vissuto prima a Berlino e poi a Parigi, dove è diventato parlamentare e poi è morto. Matematico e astronomo, a lui dobbiamo l’attuale metro e chilogrammo: ha infatti fatto parte della commissione che ne ha stabilito le misure esatte.  Per il resto ha inventato un sacco di cose matematiche e astronomiche che spesso portano il suo nome.

Al civico 3, all’angolo con via Bertoloni, un villino plurifamiliare decorato con affreschi a motivo d’arazzo, stucchi, ferri battuti. Il sottotetto ornato da una fascia monocroma con putti che sorreggono festoni fra giochi di nastri svolazzanti e stemmi. E’ evidente anche la sopraelevazione di un piano del villino.

Fermata Via Giuseppe Luigi Lagrange angolo Via Nicolò Tartaglia

Al civico 18, dall’altra parte della strada, c’è un villino rossiccio. E’ la Casa di Riposo di Maria Santissima del Rosario, con annessa Cappella delle Suore della Carità, ordine fondato dal Principe di Palagonia e di Lercàra Frìddi

Nell’Ottocento i Gravina sono una delle più influenti famiglie siciliane. Appartiene a loro Palazzo Comitini, sede in passato della Provincia di Palermo e in cui, nell’epoca napoleonica quando la corte borbonica si trasferisce a Palermo, i Gravina ospitano l’ammiraglio Nelson.  Sua madre, rimasta vedova senza figli maschi, seguendo precise disposizioni testamentarie del consorte, aveva sposato il fratello più giovane del marito defunto.  Dopo due gemelli nati morti e quattro sorelle (di cui tre si monacheranno) nasce un maschio a cui è dato il nome di Francesco Paolo per la grande devozione della famiglia per il santo di Paola.  Francesco Paolo Gravina sposa nel 1819 Maria Nicoletta Filangeri dei principe di Cutò, la quale però ben presto lo tradisce con Francesco Paolo Notarbartolo dei principi di Sciara. Quando la notizia si diffonde, il principe rispedisce a casa la consorte e non la vedrà più. Rimasto solo il principe avrebbe potuto rifarsi una famiglia per garantirsi la successione ma il Gravina, conformemente agli insegnamenti della chiesa, non vuole divorziare e ciò gli ha meritato l’appellativo di “ultimo principe”. E’ allora che inizia il suo apostolato di carità che, dopo essere stato pretore di Palermo (cioè sindaco), lo porta a dirigere le strutture pubbliche che cercano di affrontare l’emergenza colera che esplose negli anni ’36-’37 investendo in  questa missione tutto il suo tempo e il suo patrimonio. Il principe, per esempio, alloggiava in una stanza vicino all’ufficio del suo segretario, per meglio sovrintendere ai ricoveri.  Nel 1847, unico laico ad istituire un ordine religioso, fonda l’ordine delle Suore di Carità e ottiene l’approvazione della regola.  La rivoluzione anti-borbonica del ’48 lo vede schierato, all’interno del parlamento siciliano, in favore dell’indipendenza dell’isola. Quando i Borboni ritorneranno, a differenza di molti nobili siciliani lui non fa abiura, alienandosi così le simpatie della corona. Muore a 54 anni e il suo funerale, in cui per sua volontà la sua salma era vestita di un saio francescano, è seguito da una folla enorme.  Nel testamento, il principe lascia una cifra per messe in suffragio della moglie e del suo amante mentre loro finalmente si sposano. Nel 1990 l’arcivescovo di Palermo, Pappalardo ha dato il via alla sua causa di beatificazione.

Al civico 9, è la casa generalizia e la Cappella delle Serve di Maria Riparatrice con arredi anni ’50 e matroneo da cui le suore possono assistere, non viste, alle funzioni religiose.

Davanti a noi Via Nicolò Tartaglia, una stradina parallela a via Antonio Bertoloni che porta a via Angelo Secchi.  Il giorno di gloria di questa strada fu nel il 24 aprile 1930, quando Edda Mussolini sposò il conte Galeazzo Ciano. Un lungo tappeto rosso fu srotolato sulla via e numerosi mazzi di fiori punteggiavano il percorso della sposa che uscì dalla casa di famiglia in via Angelo Secchi per raggiungere Villa Torlonia.

Nicolò Tartaglia fu un matematico del Cinquecento. Nato da una famiglia poverissima, da ragazzo è ferito alla mandibola e gli rimane una evidente difficoltà a parlare. Il soprannome “Tartaglia” che tutti gli affibbiarono divenne il suo nome ufficiale che utilizzò anche per firmare le sue opere. Non frequenta scuole ma, grazie alla sua immensa passione per la matematica, studia come autodidatta e iniziò a guadagnarsi da vivere come insegnante. Risolve l’equazione di terzo grado ma confida la soluzione a Gerolamo Cardano che la pubblica. Ancor oggi la formula è detta di Cardano-Tartaglia. Disegna il famoso “triangolo di Tartaglia”, peraltro già noto ai cinesi, che permette di calcolare facilmente i coefficienti nello sviluppo delle potenze di un binomio. Dà un importante contributo alla diffusione delle opere dei matematici antichi: è sua è la prima traduzione in italiano degli Elementi di Euclide.

Fermata  Via Nicolò Tartaglia angolo via Via Atanasio Kircher

Su un edificio di via Nicolò Tartaglia sventola la bandiera del Venezuela. E’ un edificio per abitazioni che, in effetti, ospita anche l’Ambasciata del Venezuela ma che attira la nostra attenzione per una serie di dettagli notevoli.   Sulla facciata, notiamo tre statue di donna, sulla strada poi una recinzione particolare a balaustri giganti (parzialmente nascosti da un’improvvida pianta rampicante) e due cancelli in ferro battuto di notevole fattura inseriti in due grandi portali laterali con timpani spezzati, uno dritto e l’altro rovesciato. Sul cancello principale leggiamo le iniziali dei soci che hanno realizzato l’edificio: MCA e GDA.  Al centro dell’edificio, una torretta si alza verso il cielo, sulla balconata del terrazzo di copertura due tozzi obelischi decorati con bassorilievi.  Entrando nel cancello sulla sinistra scopriamo dettagli particolarissimi: una fontana con una scultura piena di simboli futuristi e un portale d’ingresso con ai lati due pilastri di travertino con in cima grandi lanterne. Lampioni simili sono all’ingresso della Ferrovia della Roma Nord a piazzale Flaminio.   E’ una palazzina costruita nel 1930 dall’ing. Guido Fiorini per una cooperativa e, prima della guerra, chiamata Palazzina Acerbo dal nome del gerarca fascista che ci abitava, Giacomo Acerbo, prof. di economia e politica agraria, più volte decorato al valor militare, deputato fascista che, dopo la marcia su Roma, fu ministro dell’Agricoltura e Foreste e delle Finanze. Membro del Gran Consiglio del fascismo, il 25 luglio 1943 votò contro Mussolini e quindi condannato a morte in contumacia dal tribunale fascista di Verona, arrestato sotto il governo Bonomi, fu condannato a 30 anni, ma poi amnistiato.

Guido Fiorini  è uno strano ingegnere che, dopo aver ideato e sperimentato tecniche costruttive d’avanguardia (“tensostruttura”) che gli valsero l’amicizia e la stima di Le Corbusier, aderisce al Futurismo e si dedica alla scenografia; e lo fa talmente bene da vincere, nel 1951, il Nastro d’argento per la scenografia del film “Miracolo a Milano” diretto da Vittorio De Sica.

Via Atanasio Kircher è una stradina del quartiere Pinciano che da via Antonio Bertoloni porta a via Nicolò Tartaglia.

In questa stradina, Mussolini acquista un piccolo appartamento per una donna che dopo essersi rivolta a lui per chiedergli di aiutare suo marito, attivista fascista finito in carcere, era diventata uno dei suoi amori giovanili.   Con lei abitava sua figlia, Elena Curti, nata pochi giorni prima della Marcia su Roma, figlia naturale del duce ma mai riconosciuta. La ragazza seppe chi fosse suo padre soltanto nel 1941, a 19 anni, quando sua madre glielo rivelò. Da allora Mussolini avrà con Elena un rapporto fortissimo e lei lo seguirà fino alla fine: c’era anche lei, il 27 aprile 1945, nell’autoblindo su cui viaggiavano il duce e Claretta Petacci fermato a Dongo dai partigiani. Anche lei fu picchiata, rasata a zero e processata ma fortunatamente, anche grazie all’intervento di un prete, fu poi assolta da ogni accusa e liberata.

Athanasius Kircher è stato un gesuita tedesco a lungo vissuto a Roma, tipico rappresentante dell’enciclopedismo seicentesco. I suoi interessi spaziano dagli studi linguistici alla geologia, dalla filologia all’ottica, dal magnetismo alla matematica e alla musica, dalla filologia all’esame delle civiltà antiche. Nella sua lunga vita, tenta di interpretare i geroglifici egiziani presenti in alcuni obelischi romani,  costruì diversi automi, un tipo di orologio magnetico e il primo megafono, è il primo a osservare i microbi col microscopio e, in grande anticipo sul suo tempo, scopre che la peste era causata da un microrganismo infettivi, proponendo così misure efficaci per prevenire la diffusione della malattia. Raccoglie, fin dal 1651, antichità classiche, cristiane, orientali e della civiltà dell’America Meridionale e costituisce nel Collegio Romano un museo, nel 1913 diviso tra il Museo Preistorico Etnografico Luigi Pigorini, il Museo Nazionale Romano e il Museo di Villa Giulia. Nel Museo di  Villa Giulia la Collezione Kircheriana è costituita da una nutrita collezione di ceramiche e di bronzi, fra cui la celeberrima Cista Ficoroni, ma anche bronzetti votivi etruschi e italici e suppellettili e vasellame connessi al banchetto.   Oggi all’interno del Liceo E.Q. Visconti in piazza del Collegio Romano è visitabile un  piccolo museo molto particolare il Wunder Musaeum che raccoglie parte della grande collezione di “mirabilia” del gesuita.

Villini in via Atanasio Kircher al civico .. l’ingresso di due villini plurifamiliari gemelli costruiti sul terreno di Villa Peragallo. Garage con appartamenti per l’autista.

Perché queste strade sono così strette? …

Luogo Via Nicolò Tartaglia angolo via Secchi (tempo previsto/occorrente)

Nella palazzina a sx, ha lo studio Enrico Lucherini, il più famoso addetto stampa della cinematografia italiana, nonché inventore di questo lavoro.

Questa presenza ci ricorda che negli anni Sessanta e Settanta i Parioli, e in particolare questo viale, sono stati il centro della magica stagione del cinema italiano.  Erano da queste parti gli uffici di molte agenzie cinematografiche e di molti produttori ma anche numerosi attori, registi, sceneggiatori: Carlo Ponti, Suso Cecchi D’Amico, Sergio Leone, Roberto Rossellini e Ingrid Bergman, Cristina Comencini, Bruno Vailati, Bernardo Bertolucci, Luciano Emmer, Steno e i fratelli Vanzina, Laura Morante, Eleonora Rossi Drago, Giovanna Ralli, Serena Grandi, Valeria Marini, Eleonora Giorgi, Massimo Franciosa, Carlo Pedersoli (Bud Spencer) e Mario Girotti (Terence Hill), Audrey Hepburn, Virna Lisi, Dino Risi, Franco Cristaldi e Claudia Cardinale, Pasquale Squitieri, Renato Rascel, Stefania Sandrelli e Nicky Pende, Barbara Bouchet (che aveva la palestra in fondo al viale dei Parioli nel complesso Lancia), Marcello Mastroianni (che compra in via Angelo Secchi una garconniére per una ballerina sua cara amica) e tanti altri.

Inoltrandoci per pochi metri su via Secchi troviamo a sinistra, al civico 9, la palazzina costruita per Filippo Virgili nel 1929 dall’architetto razionalista Pietro Aschieri (1889-1952). In questa casa Benito Mussolini acquista un grande appartamento all’attico per la figlia Edda (1910-1995) che si trasferisce qui nel 1933 con il marito Galeazzo Ciano (1903-1944).  La casa è arredata secondo il gusto dei padroni. Numerosi sono i tappeti portati dalla Cina dove Galeazzo era stato console generale. I quadri sono scelti con cura: Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Giovanni Boldini.  Edda è una donna dal carattere forte e spregiudicato, fuma sigarette americane, beve gin e whisky, ha la passione per le carte. Qui organizza grandi ricevimenti con decine di invitati che finiscono spesso intorno ai tavoli da gioco. Intorno alla coppia si riuniscono molti esponenti della Roma-bene e, frequentando questa casa, alcuni di loro si convincono a spostarsi qui ai Parioli. Galeazzo e Edda si tradiscono vicendevolmente ma ne sono consapevoli e sembrano felici; sono gli anni in cui tutto sembra luminoso intorno a loro e la tragedia della fucilazione di Ciano, accusato dal suocero di tradimento, sembra davvero lontana.

Nel dopoguerra Edda continua ad abitare qui e molti la ricordano per il suo sguardo triste. A lei gli abitanti dei Parioli associano tre bellissime signore che frequentano il suo salotto e invecchiano con lei: Doris Duranti, diva del cinema italiano durante il ventennio fascista, compagna del gerarca toscano Alessandro Pavolini e amica di Galeazzo (livornese come lei), Miria di San Servolo, sorella minore di Claretta Petacci, anche lei attrice negli anni prima della guerra, e infine Romilda Villani, madre di Sofia Loren. Negli anni Ottanta si deve trasferire in un appartamento di via Paolo Frisi dove morirà nel 1995.

Prossimi appuntamenti

Ringraziamenti

Da esaminare

Pagine a livello inferiore:

Pagina al livello superiore:

Passeggiate urbane R2p

Pagine allo stesso livello:

CONDIVIDI QUESTA PAGINA:

I commenti sono chiusi.