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Giardini di guerra ovvero Orti di guerra nei giardini del Municipio II

Tratto dal libro “Orti di guerra” di Alberta Campitelli e Palombi Editore, che ringraziamo.

La guerra non si addice ai giardini e il secondo conflitto mondiale ha lasciato tracce anche in questo caso.  I problemi per i giardini di Roma ebbero inizio già dal 1935, con la campagna “il ferro per la patria, quando la minaccia del conflitto già incombeva sull’Europa.  Per ottenere il ferro necessario alla produzione di armi, in tutta Italia furono rimosse cancellate e recinzioni di opere pubbliche che presero la strada delle fonderie. Nonostante le resistenze opposte dall’allora Sovrintendente ai monumenti di Roma Antonio Munoz che fece presente la funzione di protezione delle recinzioni, i monumenti e i giardini persero ben presto gli elementi metallici, anche recenti, realizzati per evitare usi impropri di esotiche fioriture, di sculture e di fontane.

Le diatribe si protrassero per anni e solo con la legge 408 del maggio 1940 la raccolta fu massicciamente avviata, interessando anche le modeste recinzioni dei monumenti cittadini. Ovviamente Villa Borghese su la prima a farne le spese e le belle passeggiate, apposte a protezione delle aree più pregiate subito dopo il passaggio del parco al Comune di Roma avvenuto nel 1903, furono implacabilmente rimosse.  E pensare che villa Borghese, all’atto della sua apertura al pubblico era stata dotata, dall’amministrazione comunale, di ben ventotto guardiani, dei quali quattro erano addetti all’apertura e chiusura dei cancelli.  Seguirono le recinzioni di tutti gli altri giardini di Roma.

Con l’entrata in guerra dell’Italia, provocò rapidamente enormi disagi alla popolazione, stremata dalla mancanza di derrate alimentari e, per poter sfamare la popolazione, furono introdotti, non solo a Roma e in Italia, i cosiddetti “orti di guerra” che, a partire da 1941, si diffusero ovunque ci fosse un fazzoletto di verde da destinare alle coltivazioni.  In realtà, la politica autarchica italiana aveva già attivato, nel 1925, la cosiddetta battaglia del grano, mirata ad un sostanziale aumento della produzione agricola nel tentativo di raggiungere l’autosufficienza senza dipendere dalle importazioni dall’estero.  Lo scoppio della guerra fece scoppiare in problema e l’aumento della produzione agricola divenne un obiettivo prioritaria.  Inoltre, l’inverno aveva colto alla sprovvista gli italiani che, convinti che la guerra sarebbe durata pochi mesi, non avevano organizzato scorte.  La fame, che si era diffusa anche nelle campagne, e lo sviluppo della “borsa nera” indussero il Ministro dell’Agricoltura a lanciare, nel marzo 1941, una massiccia campagna per l’uso di tutti gli appezzamenti di terra disponibili per la coltivazione di alimenti di prima necessità.  Gli orti di guerra si affermarono diffusamente grazie a un martellante propaganda: ben presto sui giornali campeggiarono titoli cubitali accanto a foto che mostravano scolaresche  inverte a dissodare fazzoletti di terra accanto alle loro scuole.  Parecchi giardini pubblici venivano arati e seminati a grano e fagioli (invece che a fiori e piante ornamentali) mentre i dipendenti del Servizio Giardini erano incaricati di piantare cavoli e patate e di mietere il grano.

Faceva sottofondo a tanto fervore la radio, l’EIAR, che trasmetteva a ritmo continuo una canzonetta tra le più popolari, dal titolo “Orticello di guerra”.   A Milano il Corriere della Sera annunciava “L’aratro traccia al parci i solchi per le patate” e commentava il raccolto di ben duemila quintali di patate su dieci ettari i parco.  Non era da meno Roma, dove la rivista del Comune esaltava la trasformazione dell’aspetto della Capitale.  Al cinema si potevano vedere possenti buoi che dissodano le modeste estensioni delle aiuole, la parola d’ordine era “nessuna zolla di terreno resti incolta” e vennero utilizzati perfino i siti edificabili.

Venendo ad alcuni quartieri del nostro municipio, anche le signore della buona società davano l’esempio allevando in casa galline e conigli e convertendo i loro giardini in orti produttivi.  D’altra parte, le signore della buona società davano l’esempi, allevando in casa galline e conigli e convertendo i loro bei giardini in orti produttivi.   Nei cinegiornali compaiono numerose città, tutte impegnate nell’epica impresa e, nel caso di Roma, scorrono le immagini delle Terme di Caracalla, via valle Murcia e delle aiuole ai lati dei Fori Imperiali.

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